Non ci sono più i don Cristelli
Scomparsi i “preti scomodi”, quali le testimonianze dal mondo cattolico?
La recente scomparsa di don Vittorio Cristelli, prete quanto mai scomodo e difatti a suo tempo brutalmente rimosso, ad opera del vescovo, dalla direzione di Vita Trentina, ha messo in evidenza tutta una serie di questioni. Ci sono ancora preti autorevoli eppur scomodi? La Chiesa, a iniziare da quella trentina, la stessa religione, cosa ha da dire alla società dell’oggi? Come agisce, se agisce? Come vivono questa temperie i cattolici impegnati nel sociale?
Abbiamo posto queste domande, in maniera non a caso anche scomoda, ad alcuni cattolici, impegnati nel sociale spesso nel solco delle sollecitazioni del Concilio Vaticano II, per quanto ormai molto lontano.
Si tratta di don Cristiano Bettega, parroco di Trento Nord, Maurizio Agostini, già segretario delle Acli, Fulvio Gardumi, giornalista, a suo tempo redattore nella Vita Trentina di Cristelli, e Walter Nicoletti, giornalista che nelle Acli odierne è coinvolto in prima fila. .
Ne è sortito un dipanarsi di ragionamenti, un intersecarsi di sensibilità, un sovrapporsi di sguardi ora realisti, disincantati ed anche amari, ora improntati a decise, nonché volontaristiche, spinte ottimiste.
Il lettore ne trarrà le sue conclusioni. Per parte nostra registriamo come i nostri interlocutori siano in fin fine accomunati da un forte ottimismo della volontà; che nelle vicende umane è stato fonte di tante illusioni, ma anche un indispensabile, grande motore della parte migliore della storia.
Nel triste oggi forse si intravede il “cristianesimo del domani”
Sto buttando giù queste poche righe in una sera afosa di questa estate anomala; una cappa da togliere il respiro, un cielo velato, senza sole e senza luna, quasi come se non sapesse decidersi a far sul serio e che piuttosto fa pensare che l’estate sia stanca prima ancora di avviarsi. Oltretutto la Nazionale ha perso contro la Svizzera: non si odono clacson in giro per la città, sembra quasi che tutti si siano tappati in casa. Atmosfera di rassegnazione, o quanto meno di non-gioia, di non-entusiasmo: tipica di chi sembra non aver nulla da attendere.
Non mi stupisce, in realtà, questa atmosfera; anzi, mi fa pensare se non sia in qualche modo lo specchio della società in cui viviamo e anche della Chiesa, che alla società del suo tempo e del suo spazio geografico è inevitabilmente legata, checché se ne dica. Dobbiamo dircelo, con molta onestà: entusiasmo e convinzione, voglia di impegnarsi sul serio per cambiare il mondo in meglio non se ne trova in giro così tanta; non la si trova tra i palazzi delle istituzioni, ma nemmeno nelle scuole o in tanti ambienti educativi e sociali, e a dire il vero non abbonda nemmeno tra i banchi delle chiese.
Per l’amor del cielo, la storia ha sempre conosciuto l’alternanza tra momenti particolarmente fecondi di creatività e altri suonati più in sordina e senza chissà che trasporto. Mi pare però che una caratteristica ricorrente in questo nostro tempo storico e nel nostro Occidente, quindi anche nel nostro Trentino, sia quella tipica di chi batte in ritirata, o quanto meno constata di non avere molta forza per inventare strategie potenzialmente vincenti. E questa considerazione, ripeto, mi pare possa descrivere tanto la società in generale tanto la Chiesa, parte di questa stessa società.
Tutto finito, quindi? Alcuni sicuramente diranno di sì; altri magari addolciranno la pillola, dicendo che forse soltanto quasi tutto può dirsi finito: dichiarando però sostanzialmente che il resto finirà in tempi rapidi. Che sia davvero così?
Non lo credo: non lo voglio credere e nemmeno lo posso credere. Non voglio e non posso pensare che la nostra società sia tutta racchiusa nell’immagine di una serata afosa e senza clacson, e non lo posso e non lo voglio pensare nemmeno della Chiesa.
Tomáš Halík, prete nato a Praga nel 1948, perseguitato dal regime cecoslovacco e successivamente docente di sociologia nella sua città e con diverse pubblicazioni all’attivo, ha scritto recentemente un saggio dal titolo provocatorio: “Pomeriggio del cristianesimo. Il coraggio di cambiare” (Vita e Pensiero 2021). Il pomeriggio, si pensa giustamente, è il penultimo momento della giornata; poi scende la sera e chi s’è visto s’è visto, la giornata è finita e non torna più. Immagine inequivocabile di una società e di una Chiesa avviate verso il tramonto. Oppure – ed è questa la tesi di Halík – il pomeriggio è il tempo della maturità, il tempo in cui si può ancora raccogliere il frutto della giornata di lavoro. Fuori dalla metafora, è proprio questo il motivo per cui non voglio e non posso credere che noi si stia arrivando alla conclusione di tutto e che quindi non rimanga che rassegarci. No, non è così: nonostante l’apparenza, non è così.
Ciò che dà forza a questa convinzione è il vedere che la Chiesa – mi concentro su questa ora, in queste mie ultime righe – sta riprendendo fiato là dove non si direbbe e dove non è facile accorgersene. Stanze di ospedale in cui chi si definisce non credente trova però lo sguardo di un credente pronto ad ascoltare, soltanto con la disponibilità a raccogliere il frutto di una vita che si spegne; panchina al parco cittadino, sulla quale ti trovi a condividere casualmente pezzi di vita e a costruire relazione; gruppi di credenti che non si preoccupano che le campane nel loro circondario non suonino più e si raccolgono lo stesso, inventando nuove forme di preghiera e di carità. Eccetera. Voglio dire questo: se aspettiamo che la Chiesa riprenda fiato grazie a figure pubbliche particolarmente dotate, grazie all’illuminazione di qualche esperto o di qualche vescovo o grazie a conferenze e piani di azione, ho l’impressione che rischiamo di trovarci addosso un’altra dose di rassegnazione.
Abbiamo bisogno, io credo, di qualcosa di completamente nuovo, che forse ancora non conosciamo nella sua fisionomia precisa ma di cui piano piano intuiamo il contorno. Un nuovo modello di Chiesa, che abbia il coraggio di sperimentare, anche di sbagliare se serve, ma che non sia essa stessa la prima venditrice di rassegnazione; una Chiesa che fondi se stessa non sul suo potere, una Chiesa che riconosca di essere piccola e accolga questa realtà non con nostalgia ma come stimolo ad essere sì piccola, ma feconda; una Chiesa che non guardi ai numeri e che non cerchi il placet dell’opinione pubblica, ma sappia piuttosto essere sfacciatamente coerente, coraggiosamente di parte, e possibilmente dalla parte giusta: che è quella di un Vangelo che non si accontenta mai di accontentare i benpensanti o i potenti, ma rompe continuamente le scatole a favore dei più poveri e degli ultimi.
Utopia? No, non credo; non voglio e non posso crederlo. Con Halík sono convinto piuttosto che “il cristianesimo di domani sarà soprattutto la comunità di una nuova ermeneutica, di una nuova lettura, di una nuova e più profonda interpretazione […] della parola di Dio nei segni dei tempi” (p. 80).
Il “cristianesimo di domani” che per tanti aspetti però è già quello di oggi: quel cristianesimo in cui i clacson dell’entusiasmo popolare probabilmente continueranno a tacere, ma quello in cui ci accorgeremo di quanto sta nascendo con discrezione e con caparbietà, con il coraggio di chi vuole davvero cambiare le cose e ha tutte le carte in regola per farlo e per riprendersi in mano la propria vita. Anche la vita di Chiesa. Anche da noi.
Don Cristiano Bettega
Il mondo cattolico esiste ed opera. Ma si interessa solo alla cura del suo orto
Un amico mi dice: ”Il mondo cattolico non esiste più”. E’ un paradosso ovviamente. La Diocesi di Trento, con il suo vescovo, le sue parrocchie, le sue commissioni, esiste. Associazioni di ispirazione cristiana continuano ad esistere, alcune in discreta salute. Vita Trentina prosegue le sue pubblicazioni con contributi autorevoli e firme significative per la nostra comunità. Il Terzo settore contiene importanti imprese sociali e cooperative che sono espressione dichiarata del mondo cattolico.
E’ vero, però, che non si percepisce più nel dibattito sociale, politico, culturale, una presenza riconoscibile da tutti come espressione di fermenti ed elaborazioni in corso nel mondo cattolico. Cos’è successo? E’ accaduto nella comunità cristiana la stessa cosa che è accaduta nella comunità civile e la parola che meglio descrive la deriva in atto ormai da qualche decennio è: frammentazione. Il crescente individualismo che affligge il nostro tempo ha interessato non solo individui e famiglie, ma anche la dimensione dei piccoli gruppi associati attorno a qualche centro di interesse. Ci siamo ancora, ci occupiamo di noi stessi, del nostro clan famigliare, del gruppo che frequentiamo, ma è diminuito il senso di appartenenza a una dimensione collettiva più grande e si è appannata la dimensione solidaristica su cui si costruisce un comune patto sociale. Quello che fanno gli altri, quello di cui hanno bisogno, mi interessa poco e a patto che non interferisca con il mio particolare campo di azione.
Per restare nel campo ecclesiale, penso che anche don Dante, don Grosselli e don Cristelli, pur con il loro carisma e le riconosciute capacità di iniziativa e di leadership, faticherebbero oggi a superare il livello della testimonianza per divenire motore di animazione sociale e di mobilitazione. La passione e l’apertura mentale vissute nei decenni del dopo Concilio e dei movimenti degli anni ’60 e ’70 del ‘900 hanno costituito il contesto in cui le loro vicende si sono inserite, portandoli ad essere figure di riferimento per alcune generazioni. Capaci di garantire ascolto, tensione verso il futuro, occasioni di formazione di riflessione critica, anche non benevola, all’occorrenza, verso ciò che si muoveva nella Chiesa e nella società. Quel contesto non c’è più, anche per l’intervento normalizzatore e, non di rado, repressivo del lungo papato di Wojtyla e, da noi, dell’episcopato di Giovanni Maria Sartori.
Non ci manca, è bene dirlo, una presenza univoca o neointegralista del mondo cattolico nelle vicende civili, che pure qualcuno auspicherebbe. Ci manca il coinvolgimento e la partecipazione attiva e plurale sulle grandi questioni, talora inedite, che il nostro tempo ci pone.
Qualche esempio: il vescovo Lauro Tisi, a proposito di migranti, invita esplicitamente all’apertura e all’accoglienza, ma l’elettorato trentino continua tranquillamente a premiare chi le politiche dell’accoglienza le smantella, chi depotenzia la cooperazione internazionale, chi, col bonus bebè, discrimina tra i neonati. Su un altro fronte, i vescovi italiani licenziano un documento sui temi della bioetica, dall’aborto all’eutanasia, di stampo francamente regressivo e nella comunità cristiana regna il silenzio. Ricordo per contro negli anni ’70 l’animato dibattito in occasione dei referendum per l’abolizione delle leggi sul divorzio e sull’aborto che portarono, per esempio, le Acli Trentine ad assumere posizioni difformi rispetto all’indicazione di fare quadrato, che veniva da Roma.
Le organizzazioni cattoliche, o di ispirazione cristiana, dunque, esistono e operano ancora, ma è come se si limitassero a curare il loro orto, a registrare, in silenzio e direi quasi con indifferenza, l’accordo o il dissenso rispetto alle posizioni che emergono o che vengono enunciate, senza sentire il bisogno di farle diventare oggetto di discussione, accettando sensibilità diverse, per andare al nocciolo delle questioni. Scegliendo di accompagnare la libera formazione delle coscienze dei cittadini, credenti e non, con l’indicazione di valori da salvaguardare e promuovere nelle mutate condizioni storiche. Consapevoli che da una stessa tensione di fondo, anche dallo stesso riferimento di fede, possono derivare proposte operative legittimamente diverse, ma convinti che confrontandosi con rispetto e attenzione alle diverse ragioni, è possibile trovare su ogni tema, anche il più delicato, dei punti di convergenza su cui costruire proposte e azioni. Punti provvisori e riformabili, dei quali assumersi laicamente piena responsabilità, senza cercare benedizioni e senza temere dissensi. In particolare sarebbe importante che tra i cattolici impegnati in politica e nel sociale rinascesse la voglia di mobilitarsi, come nella impegnativa e felice stagione postconciliare, per rilanciare questa modalità di presenza nel confronto sociale e nella politica.
Maurizio Agostini
Dalla “primavera conciliare”
alla “gelata” di papa Wojtyla
Quando muoiono grandi personalità ci si trova spesso a riflettere sconsolati sul vuoto che hanno lasciato, non solo nell’ambito degli affetti familiari e dei rapporti umani, ma anche nel più vasto ambito sociale e culturale. Antichi modi di dire trentini per rendere questo sentimento di vuoto incolmabile sono ad esempio: “è ‘nà fòr la razza” (o “la soménza”) oppure “i ha pèrs el stamp”. Espressioni derivate dal linguaggio contadino o artigiano per dire che, guardandosi in giro, non si vedono all’orizzonte personalità del calibro dello scomparso.
Riflessioni di questo tipo ce le siamo scambiate con alcuni amici e conoscenti all’indomani della scomparsa di don Vittorio Cristelli, un prete e un giornalista che ha lasciato un notevole segno nella storia del Trentino recente.
Ci siamo confrontati su questo fenomeno e ognuno di noi ha avanzato delle interpretazioni personali, con sottolineature diverse e punti di vista a volte concordanti a volte meno.
Il mio parere è che viviamo in una società “liquida”, dove è più difficile che in passato definire i settori in cui eccellono le varie personalità: siamo in una fase di transizione in cui non sappiamo ancora individuare le nuove tendenze e i nuovi campi di impegno, che potrebbero essere, ad esempio, l’intelligenza artificiale o le nuove tecnologie informatiche e i loro riflessi nella vita di tutti i giorni, nella cultura e nella società. Tutte discipline in continua e vorticosa evoluzione, per cui è difficile avvistare nuovi talenti o nuove personalità in grado di dare un’impronta significativa in questi campi.
La seconda riflessione che mi sono trovato a fare è che personalità come quella di don Cristelli, uomo di frontiera tra mondo ecclesiale e società civile, sono difficili oggi da trovare anche nella politica e nella società in generale. E’ esperienza comune constatare come i politici del Dopoguerra, i padri costituenti, i governanti dell’epoca della ricostruzione fossero dei giganti rispetto alla media dei politici odierni. Giganti del pensiero, dell’etica civile e dell’azione politica. Sulle cause di questo fenomeno si potrebbe discutere a lungo, ma non è questo il luogo.
Piuttosto vorrei proseguire la mia riflessione guardando alla Chiesa di oggi. Visto che si parla di preti come Cristelli (ma anche come don Grosselli, don Dante e altri che hanno anch’essi lasciato un’impronta determinante sulla società trentina), viene da chiedersi se ci sono in questo momento, e dove siano, personalità altrettanto significative. Bisogna evitare giudizi affrettati e sommari, proprio perché siamo in una società “liquida” e quindi facciamo più fatica a individuare le nuove figure emergenti.
Ma forse qui è più agevole focalizzare alcune cause, tra cui la perdita di centralità dell’esperienza ecclesiale in una società sempre più secolarizzata, i ritardi con cui la Chiesa cattolica risponde ai rapidi mutamenti sociali (il cardinal Martini diceva che la Chiesa è indietro di 200 anni), il venir meno del clima di speranza e di entusiasmo che aveva caratterizzato l’epoca del Concilio Vaticano II e gli anni immediatamente successivi. Dopo quell’avvenimento epocale, che qualcuno aveva definito “primavera conciliare” è arrivata una “gelata”, che ha spento molti entusiasmi e bloccato le aperture al mondo e alle novità. Gli storici sono abbastanza concordi nell’indicare il lungo pontificato di Papa Wojtyla come responsabile di questa “gelata”. In quegli anni le grandi personalità delle chiese latinoamericane, esempi di innovazione e di coraggio (da Helder Camara a Oscar Romero, da Leonardo Boff a Frei Betto, da Paulo Evaristo Arns a Pedro Casaldàliga, tanto per citare i più famosi), sono stati allontanati, puniti e sostituiti da vescovi conservatori se non reazionari. In quegli anni nella Chiesa cattolica si è assistito al prevalere dei “movimenti”, dalle cui file sono uscite la maggior parte delle vocazioni dell’epoca, mentre le voci dissonanti sono state messe a tacere.
Nella Chiesa trentina la "gelata" ha assunto il nome di Giovanni Maria Sartori, il cui primo atto è stata proprio la cacciata di don Vittorio Cristelli dalla direzione del settimanale Vita Trentina, che era diventato un modello di dialogo e di apertura conciliare a livello nazionale.
Per concludere queste rapide e sintetiche riflessioni, che richiederebbero ben altro approfondimento, si potrebbe tornare all’immagine iniziale della “soménza”. Negli ultimi decenni si è assistito al crollo delle vocazioni sacerdotali, per lo meno nel mondo occidentale. In Trentino si è passati dalle decine e centinaia di aspiranti preti degli anni '50 e '60 alle poche unità che attualmente frequentano il Seminario (qualche anno addirittura non è entrato nessun nuovo aspirante). E per una questione puramente statistica, su piccoli numeri è più difficile che emergano personalità, in tutti i campi, non solo in quello ecclesiale. Poi, naturalmente, ci sono sempre le eccezioni. Sarà il futuro “liquido” che abbiamo davanti a dirci se si è perso lo stampo e si è estinta la razza, o se potremo aspettarci nuove e confortanti sorprese.
Fulvio Gardumi
Economia solidale
e bisogno di spiritualità
La domanda che ci poniamo è come recuperare il senso e il contenuto di una rinnovata radicalità del Vangelo. Le prime risposte le Acli le hanno trovate in questi anni nelle encicliche e nelle esortazioni di papa Francesco ed in particolare nelle encicliche “Fratelli tutti” e “Laudato si’”, rispettivamente dedicate alle questioni sociali ed ambientali.
Ed è proprio nella connessione fra questione sociale e ambientale che è possibile ritrovare il terreno di un nuovo protagonismo cristiano incentrato sui temi della pace e dell’ambiente nell’ottica del limite (alla crescita indefinita) e dell’equilibrio (fra economia ed ecologia).
Le tre questioni, pace, ambiente ed economia, non possono procedere più su binari divisi e contrapposti, ma è necessario individuare un terreno comune sia nell’analisi sia nella proposta operativa. Le Acli non si occupano di analisi e di denuncia, invece si impegnano nella testimonianza, nelle opere, nelle proposte concrete. Da qui l’impegno, in primo luogo per la pace, il superamento dei conflitti e l’avvio sempre e comunque di trattative per evitare la deriva militarista e il ricorso all’aumento delle spese per gli armamenti o addirittura alla prospettiva nucleare. Dall’altra, l’impegno per l’ambiente che si traduce nel turismo sostenibile proposto da Enaip, nel risparmio energetico e sviluppo delle rinnovabili rientranti nei programmi didattici dei nove CFP, nell’agricoltura integrata di qualità e biologica cui si dedica Acli Terra, così come l’impegno sul presidio della montagna e l’autogoverno dei territori.
Cosa c’entra tutto questo - pace, ambiente sostenibilità economica - con la radicalità del Vangelo? C’entra in primo luogo se consideriamo il bisogno diffuso, nella nostra epoca, di spiritualità. Non in senso teologico o confessionale, ma nella ricerca di un percorso di senso culturale, etico e politico, che unisca quello che oggi è drammaticamente diviso. Che unisca l’economia con l’equilibrio con l’ambiente, che promuova un modello di sviluppo senza scandalo per la decrescita, quando questa significa lotta allo spreco e al superfluo, sistemi di produzione e consumo legati al territorio, economia del riuso, del risparmio, della sobrietà e dei corretti stili di vita. Sono contenuti di carattere individuale e sociale, da collegare attraverso un grande progetto di riconversione ecologica dell’economia, locale e nazionale, che valorizzi i mercati regionali e le reti di prossimità.
Stiamo giungendo alla fine del ciclo lungo della globalizzazione ed assisteremo in futuro, volenti o meno, al ritorno al territorio e alla dimensione locale, ed è bene pertanto preparare il terreno con una cultura che tenda ad umanizzare l’economia, a promuovere reti di collaborazione che sviluppino, come nel caso del Trentino, forme antiche e moderne di cooperazione ed autonomia.
La spiritualità entra in tutto questo sotto forma del superamento delle antiche fratture cartesiane fra corpo e mente, fra economia e ambiente, fra benessere materiale e sviluppo della persona in tutte le sue dimensioni. L’uomo, oltre all’entità fisica, possiede da sempre anche un’anima, una psiche e uno spirito che vanno coltivati con attenzione e responsabilità. L’uscita dall’economia e dal modello di sviluppo “no limits” può e per molti versi deve coincidere con un nuovo umanesimo e un nuovo Rinascimento per superare l’attuale crisi dell’Occidente ed aprirci al “salto d’epoca” prospettato da Francesco.
Un altro terreno sul quale sviluppare la radicalità del Vangelo rimane infine quello della formazione e della generatività sociale. L’esperienza degli ultimi anni dimostra che quanto abbiamo seminato con la pedagogia sociale, la formazione alla partecipazione e alla politica, generano sempre nuove opportunità di sviluppo.
Esempi che evidenziano l’assenza di una proposta sociale e politica di alto profilo in grado di intercettare i bisogni e le tendenze di una parte importante della società, che non necessariamente si riconosce nelle scorciatoie del populismo e della semplificazione autoritaria. Esistono da questo punto di vista moltitudini di cittadini e cittadine senza rappresentanza che spesso si rivolgono o reagiscono con l’inattività partecipativa e l’astensionismo politico. Ecco allora che diventa importante offrire un terreno aggregativo alternativo sia alla deriva populista da una parte e a quella tecnocratica dall’altra per generare forme partecipative che puntino all’economia sostenibile, solidale ed egualitaria e alla rigenerazione delle nostre comunità.
Le Acli saranno impegnate nei prossimi anni cercando di realizzare progetti operativi a partire dal bisogno di ricostruire le nostre comunità a partire dalla persona e dalle sue relazioni.
Walter Nicoletti