Il mio ricordo del prof. Renzo Leonardi
Tempo fa, in un pomeriggio assolato, assieme a pochi parenti e amici, accompagnai le ceneri del prof. Renzo Leonardi nel cimitero del suo paese natio, Tuenno, dove aveva trascorso i suoi primi anni, tra il paese e l’alberghetto che la famiglia possedeva in riva al lago di Tovel, rimanendovi residente anche quando gli studi prima e il lavoro poi lo fecero emigrare.
Il distacco mi risultò tanto improvviso quanto doloroso e pieno di rimpianti di cose fatte, iniziate e che avrei voluto ancora fare assieme a lui. Un ultimo incontro ricordo, in compagnia di un caro amico, entrambi appassionati di fisica quantistica, che da neofiti cercavamo di capire e che Renzo, con pazienza, illuminava col suo profondo sapere e facendoli apparire così chiari.
All’ingresso del cimitero lo salutai, ripassando alcuni episodi, ben vivi nella mia memoria. Suo cognato, al termine della breve cerimonia, mi ha poi sollecitato a scriverli.
L’incontro e l’ammirazione nei suoi confronti si palesò a seguito di un episodio di importanza storica, le conseguenze del terribile incidente nucleare di Chernobyl. Il 27 aprile del 1986 stavo rientrando da un viaggio e a Nairobi e in attesa dell’aereo che mi riportava in Italia, mi corse l’attenzione sulla prima pagina di un giornale locale che riportava l’incidente di Chernobyl, col grave pericolo di ricaduta di elementi radioattivi interessante tutta l’Europa.
Dato il mio ruolo di allora, di responsabile dei vigili del fuoco del Trentino e della Protezione civile, potevo disporre delle attrezzature campali dei vigili del fuoco di Trento per organizzare un paio di squadre, e appena a Milano mi collegai col laboratorio chimico provinciale, dove erano presenti apparecchiature di controllo della radioattività e una attrezzatura nuovissima, ancora imballata, della quale non c’era una conoscenza pratica per un uso immediato. Conoscendo l’amico De Francesco, già direttore del laboratorio e allora professore all’università di Trento, sollecitai, suo tramite, i tecnici del laboratorio a permettermi di disporre dell’attrezzatura e del personale frettolosamente istruito.
Le notizie relative all’evento crescevano di ora in ora evidenziandone importanza e dimensione: l’allarme presso la popolazione era grande, e le comunicazioni che giungevano dalle nazioni più vicine a Chernobyl venivano interpretate secondo la sensibilità e le competenze dei giornalisti che ne scrivevano, creando la necessità di dare una comunicazione ponderata e credibile, per evitare il diffondersi del panico e soprattutto per dare corrette istruzioni di comportamento onde ridurre al minimo i pericoli per la salute. La potenziale contaminazione atmosferica con ricadute nei pascoli e nelle campagne comportava una particolare attenzione all’uso dei prodotti che si raccoglievano in quel periodo, fieno e verdure, così come alla gestione dei giardini delle scuole, che dovevano essere esclusi come aree di gioco, e ai filtri dei condizionatori che accumulavano sempre più polveri radioattive.
Renzo, che allora non conoscevo, era stato coinvolto nell’evento perché sollecitato ad aiutare un’azienda produttrice di latte, allarmata dalle notizie che il latte potesse essere contaminato a seguito delle piogge che avevano trascinato a terra le polveri radioattive.
Una telefonata al prof. Leonardi perché si dedicasse con me alla gestione dei problemi della protezione civile, avvenne entro poche ore e fu accolta positivamente.
Già il secondo giorno di operazioni, al tavolo di governo della protezione civile , Renzo, col suo bagaglio di conoscenze che applicava all’evento, ed io, che mi riferivo ai testi predisposti per affrontare il pericolo radioattivo in caso di guerra atomica, studiavamo azioni che poi divenivano indicazioni alla popolazione.
Anzitutto doveva essere affrontato il rischio di contaminazione dei prodotti alimentari: acqua potabile, verdure, funghi e naturalmente latte. I sacri testi da guerra atomica suggerivano comportamenti radicali, ma noi, che avevamo nel frattempo i primi dati dei campioni sul territorio, potemmo elaborare una pratica operativa adatta al caso, anche tra quelle non contemplate dai manuali, che le ritenevano inapplicabili. Ad esempio, il latte fu messo in sicurezza in quanto i produttori poterono utilizzare fieno di importazione non contaminato proveniente dalla Spagna.
Un momento di allarme si diffuse quando un settimanale riportò che il Trentino risultava l’area più contaminata d’Italia. Scoprimmo subito, però, che noi avevamo trasmesso per primi i dati di misura della contaminazione, che le altre province d’Italia dovevano ancora far pervenire. Il giorno stesso la cosa fu chiarita: potemmo garantire che la situazione era sotto controllo e si proseguì dando indicazioni comportamentali, ai quali la popolazione si attenne disciplinatamente.
Seguirono giorni difficili, con l’attenzione tutta rivolta alle nubi che provenivano da Chernobyl, alimentate dai radionuclidi prodotti dall’incendio della centrale atomica e dalle operazioni di spegnimento. Ogni notizia veniva esaminata ed elaborata con Renzo.
Quell’anno, su suo suggerimento, la Protezione civile integrò le strumentazioni, si dotò di una stazione di misura continua della radioattività in aria, posta sulla Paganella e integrò il personale con un fisico, rendendo la materia del pericolo radioattivo un settore maturo di pronto intervento del Corpo Permanente dei Vigili del fuoco di Trento.
Restammo poi buoni amici, anche quando prendemmo nuove strade: Renzo impegnato nel compito di realizzare la protonterapia, gioiello della sanità trentina, e io, cessato l’impegno in Provincia, come consigliere comunale di Trento.