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QT n. 3, marzo 2023 Servizi

Acqua e centrali: quattro anni persi

Su questa partita, vitale per il Trentino, la giunta Fugatti ha inanellato solo disastri.

Se c’è una questione che a pieno titolo possiamo definire “vitale” per il Trentino, quella è la partita idroelettrica. Lo abbiamo detto fino alla noia negli ultimi anni, evidenziando che prima ancora che un problema di soldi che rischiamo di perdere, è un problema di controllo dell’acqua. Lo abbiamo detto da tempi non sospetti e adesso, purtroppo, i fatti ci danno ragione: la carenza di acqua si prospetta come il futuro immediato, che sperimenteremo tra qualche mese al più tardi, se il cielo non ci assiste (letteralmente).

L’intreccio tra il problema di quanta acqua abbiamo e di come la usiamo, di quanta ne serve per i campi, quanta per le persone e quanta per produrre energia idroelettrica è tale che qualunque governante degno di questo nome ne avrebbe fatto la sua principale preoccupazione.

Invece, a scorrere i vari contorcimenti della giunta Fugatti in materia, possiamo solo dire che la cosa è stata trattata con ignavia, superficialità e pressappochismo.

Ripercorrendo le decisioni prese negli ultimi quattro anni troviamo una sequela di leggi-boutade. La prima, che doveva regolare la riassegnazione delle grandi concessioni idroelettriche in scadenza (attualmente il termine, dilazionato causa Covid, è al 2024), aveva incocciato nella impugnazione del governo per violazione sia delle nostre competenze che delle norme generali della concorrenza. La giunta aveva fatto marcia indietro malamente, senza riuscire ad evitare il conflitto in Corte Costituzionale. La quale ci ha dato poi parzialmente ragione. Ma è stata una magra soddisfazione.

Il problema infatti sta all’origine. La giunta Fugatti non ha mai nemmeno preso in considerazione seriamente l’idea di saltare a piè pari le concessioni e fare un piano perché acqua e centrali ce le potessimo tenere invece che doverle affidare al mercato.

L’assessore competente in materia, Mario Tonina, ha cianciato più volte di prenderci le centrali, di comprarle con l’azionariato popolare. Ma erano chiacchiere buone per i titoli dei giornali. Su questo non si è mai mossa una foglia in Provincia. E a chi gli chiedeva (qualche timida proposta dalle opposizioni è venuta) una sorta di provincializzazione, si è limitato a rispondere che Bruxelles non consente di fare società in-house per questa materia.

Vero. Peccato che in questo ambito ci sia una strada maestra: nazionalizzare (provincializzare nel nostro caso). Lo ha fatto recentemente la Francia che, di fronte alle insistenze di Bruxelles perché mettesse a gara le concessioni, non ha fatto altro che ri-nazionalizzare la società elettrica proprietaria degli impianti, chiudendo così ogni discussione.

Detto per inciso, se si fosse avviato un programma serio per comprare quel che ci manca (le centrali, visto che dighe e condotte sono del nostro demanio), l’opzione provincializzazione sarebbe stata ad un passo.

La seconda legge è quella sulle cosiddette piccole e medie centrali, per buoni due terzi proprietà dei Comuni. Come siamo riusciti ad essere i primi in Europa che mettono sul mercato l’acqua dei Comuni - di nuovo perché “ce lo chiede l’Europa” - dio solo lo sa. Un pasticcio che adesso si cerca di rattoppare, magari abrogando la legge fatta solo due anni fa, ma ancora non si sa bene come uscire dal vicolo cieco normativo in cui questa giunta ci ha infilati. Anche in questo caso con un andirivieni da Trento a Roma per via del governo che ha cercato di limitare al massimo le nostre competenze e con rinculi della giunta degni del miglior Fantozzi.

Infine arriviamo ai giorni nostri.

Il duo Tonina-Fugatti si rende conto che la partita sta per essere persa. Il tempo è passato e non sono riusciti a difendere la nostra acqua e l’energia che ce ne viene.

Quindi a fine 2022 partorisce una pensata geniale: spostiamo il problema, facciamo una legge che proroga le grandi concessioni.

E Bruxelles che vede le proroghe come fumo negli occhi? Non c’è problema, dicono tra le righe: adesso c’è un governo “amico”, ci daranno una mano.

Un capolavoro di “ci sono” e “ci fanno” allo stesso tempo.

E infatti, puntualmente, a inizio febbraio il governo “amico” impugna la legge, dopo che Fugatti per avere l’ok del governo ha passato più tempo sul treno per Roma che in piazza Dante.

Sono molto dispiaciuti a Roma - Calderoli dixit - ma la matrigna Europa ha mandato ben due lettere ricordando che le regole della concorrenza sono sacre, se vogliamo i soldi del Pnrr.

Ma che non si preoccupino i trentini - sempre Calderoli dixit - adesso faranno un tavolo tecnico. Un tavolo tecnico per discutere quello che il governo “amico” non ha nessuna intenzione di darci?

Che non ci sia la minima intenzione è chiarissimo, se andate a vedere quello che invece è successo con i bagnini. Non è la prima volta che accade, ma ci pare sempre assurdo.

Il governo ha recentemente, per l’ennesima volta, forzato le regole della concorrenza per non mandare a gara le concessioni delle spiagge. Poi Bruxelles ha fatto la voce grossa e adesso si tratta.

Ma come? Per i bagnini il governo è disposto a immolarsi su una pira ardente e per la nostra acqua ed energia fa quello che “ce lo impone l’Europa”?

Qui, siamo sicuri, Fugatti e Tonina “ci sono”.

Come hanno fatto a non capire che questo governo non vuole assolutamente lasciare in mano al Trentino le centrali? Le avvisaglie c’erano tutte e particolarmente in quelle sottolineature di vari esponenti dei Fratelli di Giorgia che sempre rimarcavano, mentre Fugatti faceva su e giù da Roma come uno yo-yo, che l’energia è una questione nazionale.

Quindi, se vogliamo tenerci l’energia e soprattutto l’acqua, è ora di rendersi conto quanto vitale sia questa partita per il Trentino, per tutti noi.

L’avevano capito i nostri nonni e bisnonni quando, oltre un secolo fa, in un Trentino marginale e povero, si resero conto che l’energia idroelettrica era una delle fonti dell’autogoverno. E cominciarono a costruire le prime centrali, che furono soprattutto un’opera collettiva, dei Comuni, dei consorzi, delle cooperative. Lasciarle andare via oggi con indifferenza sarebbe un tradimento della nostra storia.

Mettereste un fabbro alla guida di un Boeing 747? No, vero? Ebbene questo è quello che Lega e Fratelli di Giorgia hanno appena fatto con le recenti nomine nella Commissione dei 12. Per chi si è distratto negli ultimi decenni, ricordiamo che la Commissione dei 12 è il luogo in cui Governo e Provincia si consultano - costantemente - per definire l’ampiezza e la portata della nostra Autonomia. Dove ogni norma che ci riguarda viene discussa per capire fin dove arriva il nostro potere di autodeterminarci. Un lavoro complesso e delicatissimo. Tra i membri di questa commissione, fino a poco tempo fa, c’era un “pilota” espertissimo, il dottor Gianfranco Postal, ex dirigente del dipartimento affari istituzionali della Provincia, uno che conosce lo Statuto e le sue evoluzioni fin nei minimi dettagli, visto che per anni ha gestito, da tecnico, le negoziazioni col Governo. Ed è stato anche magistrato della Corte dei Conti, tra le altre cose. Va detto che le nomine sono di indicazione politica e quindi, ad ogni giro di valzer, i partiti al governo hanno diritto di indicare tecnici di loro fiducia. Quindi niente da dire sul ministro Calderoli che - in base ai suggerimenti venuti da piazza Dante - ha indicato persone vicine a Lega e FdI. Postal, a suo tempo, era stato nominato su indicazione del PD. Assieme a Postal sono usciti dalla Commissione il forzista Giorgio Leonardi, già assessore regionale e l’avvocata fassana Rosa Michela Rizzi, a suo tempo “nominata” dai Cinque Stelle. Il loro curriculum era autonomisticamente meno “pesante” di quello di Postal, ma certamente anche loro ne sapevano in un modo o nell’altro. Il problema infatti non sta solo nella rimozione di Postal, che pure è un tecnico di grande valore, che tiene alla nostra Autonomia sopra ogni altra cosa, quanto nelle persone con le quali è stato sostituito. Che sono due commercialisti e il capo di gabinetto di Fugatti in Regione, Marcello di Francesco Torregrossa. Passi per il capo di gabinetto che comunque non ha un curriculum travolgente, ma quello che lascia basiti è il dare in mano la nostra Autonomia a due commercialisti, Maurizio Cataldo, studio a Bolzano, iscritto al partito di Giorgia, e Mariano Decarli, studio a Rovereto. Ora, con tutto il rispetto, nei loro curricula non c’è niente, ma proprio niente che indichi una qualunque competenza in questo delicatissimo settore. Ci sarebbe piaciuto che Postal rimanesse dov’era. La sua fedeltà all’Autonomia è sempre stata certamente superiore ad ogni indicazione politica. E la sua competenza lo metteva al riparo da spinte di interessi politici del momento. Ma almeno al suo posto - e anche a quello degli altri due membri - sarebbero dovute andare persone con una competenza specifica. Invece no, sappiatelo. Nella sala macchine di quel Boeing 747 che è la nostra autonomia ci sono (detto con rispetto per loro, ma anche per la verità dei fatti) due maniscalchi e un apprendista.