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Un anno di chiusura; e adesso?

Un anno di chiusura dei teatri. Doveva questo essere un articolo in cui valutare come la scena trentina ha attraversato questo periodo, dal misto iniziale di preoccupazione e curiosità per una sfida inedita alla lenta ripresa estiva, dai progetti per la nuova stagione fino al nuovo stop e allo sconforto per la mancanza di prospettive. Poi, in pochi giorni, l’iniziativa “Facciamo luce sul teatro”, nuove manifestazioni di piazza di artisti e maestranze, l’annuncio del ministro Franceschini sulla (simbolica) riapertura dei teatri (in zona gialla, con misure rigide) per il 27 marzo. Partendo da questo contesto, abbiamo tastato il mood del teatro trentino, raccogliendo i punti di vista di un campione rappresentativo, ma non esaustivo né definitivo, di programmatori, direttori, artisti, organizzatori, tecnici.

Iniziamo questo viaggio dal Centro Santa Chiara, la cui offerta virtuale abbiamo già raccontato. Come spiega il direttore Francesco Nardelli, un’operazione di comunicazione e testimonianza, di proposta di contenuti aggiuntivi nonché in streaming, nella consapevolezza che lo spettacolo dal vivo rimane imprescindibile nelle sue forme in presenza.

Quanto alla riapertura, Nardelli è dubbioso: a fine marzo le stagioni tendono ad avviarsi alla conclusione, e la disponibilità delle compagnie è tutta da verificare. C’è poi l’incertezza sullo scenario epidemiologico. Per queste ragioni, per il direttore è più razionale ragionare ad una programmazione estiva.

Anche per Claudia Gelmi, direttrice del Coordinamento Teatrale Trentino, si tratta di un’apertura repentina. Un segnale, tuttavia, un cambio di passo rispetto al silenzio che era calato sul settore. Negli ultimi mesi l’ente ha lavorato su progetti online, investito su innovazione tecnologica e comunicazione. Dal vivo, si lavora ad una riapertura tra primavera ed estate, sulla base dell’esperienza della scorsa stagione calda. Nella speranza di poter poi tornare a programmare con un minimo di visione.

Per Denis Fontanari, direttore artistico dei teatri di Pergine e Meano, è stato un anno divisibile in quattro fasi: una prima chiusura totale, dove ci si è barcamenati per sopravvivere ma anche parlati tra operatori; la “furibonda” ripresa estiva, con tantissimi piccoli eventi, soprattutto produzioni trentine; la finta riapertura autunnale, con la scommessa su una stagione quasi normale; la mazzata della seconda chiusura, che però ha spinto a ragionare su sistemi alternativi. Pur con tante preoccupazioni, e comprendendo chi sceglierà di non riaprire, Fontanari conta di tornare a organizzare, creare, produrre, stando alle norme, dopo Pasqua. Con una piccola programmazione ponte verso la stagione estiva all’aperto.

Mirko Corradini è favorevole alla riapertura, ma a buone condizioni, non quelle prefigurate. Gli aiuti pubblici finora ricevuti sono serviti per non andare in fallimento. Il direttore del Teatro di Villazzano propone che ai programmatori venga dato un budget sostanzioso, da impiegare però all’80% in cachet da pagare alle compagnie. Inoltre, sarebbe stato meglio ripartire a maggio con spettacoli all’aperto e riaprire i teatri a ottobre.

In quest’anno, tante cose hanno fatto soffrire: l’impossibilità di raccontare storie da un palco, il sentirsi inutili, la paura che quanto passato non sia servito a cambiare davvero qualcosa.

Il Teatro Portland è una delle realtà più penalizzate dalle limitazioni. Difficile riaprire, spiega il direttore artistico Andrea Brunello, con il 25% di capienza: vuol dire non poter contare sugli incassi. O meglio, si può fare, ma ci vogliono una progettualità e investimenti.

Quanto alle rivendicazioni di settore, Brunello non ha sentito l’urgenza di andare in piazza. Considera positivo questo senso di partecipazione, ma ritiene che più che contro la politica, si sarebbe dovuto protestare contro il lassismo di certa gente nei confronti della pandemia.

All’impegno sindacale si sono dedicate con passione Marta Marchi e Sara Rosa Losilla. A questa tematica tanto delicata e complessa ci riserviamo di occuparci in un’altra occasione.

Anche per Maura Pettorruso il punto non era chiedere di riaprire, ma di avere delle prospettive di progettazione. Perché il teatro ha tempi lunghi, di programmazione, di costruzione del lavoro, meccanismi che non sempre le istituzioni riescono a capire.

Per l’artista è stato un anno di riscommessa. Ci si è riavvicinati ad altri mezzi come la radio; si è ricorsi all’online, ben sapendo che quello non è teatro, ma un palliativo.

Per Carolina de la Calle Casanova, attrice e drammaturga, non è stato un anno senza teatro, piuttosto senza lavoro. Sono stati mesi dove l’artista si è chiesta che tipo di teatro è necessario oggi, quando nel mezzo di una pandemia mondiale le priorità vanno ricalibrate. Ponendo al centro delle sue riflessioni lo spettatore: la domanda piuttosto che l’offerta di teatro. La riapertura? Una proposta assurda, perché in una situazione tale e perché aprire un teatro non è solo accendere delle luci o manifestare, richiede programmazione, investimenti, preparazione, studio.

Per Daniele Filosi, professione organizzatore, la riapertura è quanto di più retorico e propagandistico si potesse pensare. Ma osserva anche che il settore stesso, tra mille contraddizioni, per mesi ha chiesto di riaprire, quando sarebbe stato meglio rivendicare ristori seri per imprese e lavoratori (qualcosa è arrivato, ma non abbastanza, specie a imprese private e service) e ragionare da giugno se con condizioni adeguate.

Secondo Filosi, soprattutto, il settore sta perdendo un’occasione fondamentale per ripensare i propri tempi e modi, per una sorta di maggese. Ci si è fermati sì, ma malvolentieri. Invece l’occasione andava presa sul serio.

Chi versa in una situazione drammatica sono i tecnici: lo conferma Luca Tombolato. Il Covid ha aggravato una condizione dove già i budget erano ridottissimi; con le chiusure – riferisce – sono morte intere figure professionali, che per campare si sono dovute reinventare. La riapertura darà ossigeno a poche persone del comparto spettacolo, che per riprendersi avrà bisogno minimo di uno-due anni. Le commissioni a free lance esterni tarderanno ad arrivare, o arriveranno con margini molto bassi. Molto arrabbiato per tutto ciò, Tombolato però crede molto nelle persone, nel fatto che quando la situazione sarà risolta avranno il desiderio di tornare a fruire di svago e cultura.

In breve, specie dopo un anno simile, non c’è riapertura e ripartenza se non ci sono sicurezza e investimenti, e soprattutto progettualità.