Arco: l’agricoltura non è importante?
Il sindaco di Arco per una volta ci ha dato ragione. Dopo aver a lungo sbeffeggiato come inutili allarmismi le dichiarazioni di quanti erano preoccupati della destinazione urbanistica del Linfano (e in verità della Busa), adesso applica di nuovo il suo metro di giudizio: l’agricoltura e il suolo non contano, bisogna edificare. Aveva anche affermato che non c’era da preoccuparsi, l’area di coltivazione del pregiato broccolo di Torbole presidio Slow Food diventava edificabile ma restando di proprietà pubblica, tramite AMSA, e quindi non finiva in mano a speculatori. Prima delle elezioni dello scorso anno ci aveva illuso dichiarando che l’ipotesi del centro ludico-sportivo al posto dei broccoli era tramontato. Anzi, affermava che lì era possibile creare un piccolo parco agricolo con tutte le peculiari produzioni agricole locali. Passate le elezioni, ecco che rispunta il progetto della piscina sovracomunale.
Ci sono due impianti natatori giudicati obsoleti, ma li possiamo buttare via, per poterci liberare finalmente dalla troppa campagna. In sintonia con la sindaca di Riva, si cercano aree per una nuova piscina piuttosto che provvedere alla ristrutturazione dell’esistente e si trovano in una zona ambientalmente preziosa e fragile. Che dire? Non hanno gli abitanti il diritto di avere una bella piscina moderna? Qualsiasi opposizione che abbia a cuore l’ambiente rischia di passare per un’antipatica austerità da Savonarola: ma dobbiamo ripetere come cittadini e associazioni amanti dell’ambiente e preoccupate per la vivibilità della zona che i terreni agricoli residui sono essenziali per una vita equilibrata nella valle (già troppo costruita e trafficata); in particolare poi è folle sacrificare una zona speciale in cui cresce il broccolo di Torbole, e che è sconsiderato aumentare ulteriormente il traffico in fascia lago. Più che di Savonarola, forse ci tocca il ruolo della sacerdotessa Cassandra, che aveva il dono di predire le catastrofi e la maledizione di non essere mai ascoltata.
Gli abitanti della Busa hanno il diritto di ritrovare un equilibrio con l’ambiente già malmenato: le risorse dovrebbero essere destinate a recuperare luoghi già compromessi, a rinaturalizzare antropizzazioni inopinate, a preservare il suolo, a limitare il traffico. Spendere milioni per strappare alla natura ulteriori aree agricole è un attentato al futuro dei nostri giovani e significa non aver capito nulla della crisi economica e ambientale nella quale siamo sempre più immersi e che richiede azioni a ogni livello, anche comunale. Una visione miope dello sviluppo, magari anche drogato dalle risorse per la ripresa, ci porta a immaginare vantaggioso attirare ancora più turisti e sacrificare spazi e verde. È una illusione deleteria. Quel modello di vita dovrebbe essere il ricordo di un passato disattento e ingenuo: avremmo bisogno piuttosto di amministratori capaci di guardare un po’ più in là della ruspa e della betoniera e capire il senso del nostro tempo (e capire anche cosa vogliono i nostri preziosi ospiti turisti), che dovrebbe esser quello di prendersi cura dei luoghi per non pentirci poi per aver sperperato un patrimonio che non tornerà.
Parlando di questi terreni ci si riferisce spesso all’interesse comune dei cittadini che sarebbe perseguito valorizzandoli economicamente da parte di AMSA. Siamo sicuri che il vero interesse comune sia solo quello economico? Crediamo che il bene comune sia perseguito anche tutelando i terreni agricoli, la biodiversità, il paesaggio. Ma, anche volendo appiattire ogni ragionamento sul piano economico, per il nostro territorio il paesaggio ha anche un valore economico imprescindibile, visto che è elemento fondamentale per creare l’attrattività turistica. Scelte di questo tipo, in conclusione, hanno solo delle ricadute negative sul bene comune.