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QT n. 2, febbraio 2021 Monitor: Mostre

“Tree Time”

Tra i rami del pensiero ecologico Trento, Muse, fino al 30 maggio.

Cecylia Malik, 365 trees

Da qualche anno si è fatta strada anche nel senso comune l’idea che le foreste danno all’uomo dei benefici che precedono e prescindono dallo sfruttamento diretto.

È vero che a cavallo tra Otto e Novecento, di fronte all’enorme consumo di legname per l’ industria e per la guerra (le foto lo dimostrano) si era cominciato a pensare al loro ripristino, anche inventando, per esempio, la Festa degli alberi. Tutto era però all’interno di un imperativo economico – poter disporre indefinitamente di una risorsa fondamentale come il legno - e se vogliamo anche paesaggistico, specie nei territori vocati al turismo come la nostra regione.

È solo molto più avanti, forse addirittura al tempo nostro del disastro di “Vaia”, che il senso del valore del mondo vegetale ha “bucato” il limite economicistico e insieme l’ambito degli ecologisti per militanza e per professione. I quali moltiplicano le proprie azioni per rinforzare questa consapevolezza.

È qui che si inserisce la mostra allestita dal Muse, evoluzione di un progetto del Museo Nazionale della Montagna allestito a Torino nel 2019, giusto prima dello scoppio della pandemia, e dopo una lunga serie di eventi devastanti per il tessuto forestale del mondo, in parte direttamente provocati come la deforestazione dell’Amazzonia, in parte apparentemente spontanei e comunque inauditi come gli incendi in Siberia, Indonesia, Australia, California, per arrivare alla tempesta che ha colpito le Alpi Orientali.

Nel frattempo il movimento innescato da Greta Thunberg ha messo i governi e i cittadini di fronte alle proprie responsabilità verso il clima, e per buona sorte il neo eletto presidente americano ha in questi giorni firmato il ritorno degli Stati Uniti nel programma mondiale di riduzione dell’inquinamento atmosferico.

Combinando informazioni scientifiche e interventi artistici, la mostra e i testi che l’accompagnano non si focalizzano tanto sulla storia dell’attività distruttiva e predatoria dell’uomo nei confronti delle foreste, attività che pure viene scientificamente assunta come fattore influente sui cambiamenti climatici in atto, quanto sulle conoscenze e le azioni possibili per transitare da un modello di puro sfruttamento ad un rapporto simbiotico tra uomo e piante.

Cecylia Malik, 365 trees

Alcuni artisti hanno cominciato tra i primi a porre questo problema: pensiamo alle azioni di Josef Beuys tra gli anni Settanta e Ottanta; a quelle dei coniugi Harrison, sempre in quegli anni; alle stesse fotografie di Vittorio Sella prese durante la spedizione in Uganda al Ruwenzori nel 1906, tutte cose presenti nel percorso della mostra. La quale tuttavia concentra, a mio parere, troppi autori in poco spazio; e soprattutto, dopo l’efficace video iniziale che ripercorre alcune tappe fondamentali del “pensiero verde”, lascia perdere il criterio storico e alterna gli interventi dei venti artisti convocati con vecchi documenti, minuti reperti e installazioni contemporanee che richiederebbero una fruizione lenta e dilatata, resa più difficile da tempi e modalità di visita forzatamente contingentati a causa del Covid.

Nonostante ciò, vediamo il “pensiero ecologico” diramarsi in varie direzioni che meriterebbero ciascuna un’attenzione particolare. Alcune prediligono il senso di allarme, come fa Giorgia Severi combinando calchi di corteccia e segnali catarifrangenti. Altre rimangono affascinate dai processi più nascosti della vita arborea, dalle architetture grandi e minime delle radici e delle comunità fungine che vivono tra loro in simbiosi (Sunmin Park); dalla potenza prodigiosa dei semi (Gabriella Ciancimino); dal flusso linfatico che viene tradotto, attraverso un sofisticato procedimento, in flusso sonoro (Ortica e Marchi). Per approdare all’idea, cara al curatore della mostra Andrea Lerda ma qui poco più che accennata, di una concezione urbanistica che rovesci i criteri della città consolidata e ponga il bosco al centro stesso di un nuovo modo di abitare: il bosco come “condizionatore naturale”, grande produttore di ossigeno, moderatore del clima, regolatore del ciclo dell’acqua, generatore di suoli fertili, amico dei nostri sensi e della nostra mente.

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