La buia estate di Hong Kong
Una testimone italiana delle manifestazioni di protesta. Da “Una Città”, mensile di Forlì.
Hong Kong sta attraversando la sua estate più buia, ed è difficile scriverne senza sentirne il peso. Mentre ero seduta a scrivervi, è stato confermato il quinto suicidio: i dettagli non sono noti, dato che a Hong Kong si presta molta attenzione a come si parla di suicidi, per non incoraggiare emulazioni. Quel che so è che di nuovo una persona giovane si è sentita talmente sconfortata dalla situazione, che ha preferito togliersi la vita.
Quasi tutti quelli che conosco, del resto, sono sotto shock o depressi. La crisi, iniziata con il maldestro tentativo del Capo dell’Esecutivo di Hong Kong, Carrie Lam di introdurre una legge che avrebbe consentito l’estradizione verso la Cina, scoppiata a marzo, si è via via aggravata. Malgrado le manifestazioni che hanno visto milioni di persone scendere in strada, la legge è stata in un primo tempo solo sospesa ma non ritirata. Le richieste dei manifestanti sono state ignorate e loro caricati, colpiti da lacrimogeni, spray al peperoncino, proiettili di gomma. Tutte le contraddizioni di una società libera ma senza democrazia stanno venendo a galla ed è impossibile prevedere come ne usciremo.
Ieri sera, con una specie di turbante in testa per proteggermi da eventuali manganellate e una mascherina contro i lacrimogeni, ho seguito una manifestazione che, a un certo punto, sembrava essersi impossessata della città. Migliaia di persone vestite di nero, col volto coperto come combattenti ninja, camminavano verso ovest: agli incroci, si vedevano altre migliaia di persone in movimento verso la stessa direzione, anche se non era chiaro quale fosse la meta. Il percorso autorizzato era stato superato, ma i manifestanti continuavano a marciare, creando barricate; la polizia non si vedeva. Arrivati all’Ufficio centrale di rappresentanza di Pechino, alcuni, mascherati, hanno cominciato a scrivere graffiti: “Fuck Cheena” e “Hong Kong Libera”. Di nuovo, niente polizia. Intanto continuava il vandalismo.
All’improvviso sirene spiegate e polizia in assetto di guerra, che batteva gli scudi per terra con un rituale da pre-attacco. Stavolta però non ci sono stati avvertimenti, e ci siamo trovati avvolti da una nube di lacrimogeni, mentre volava di tutto: ombrelli, insulti, proiettili.
Mentre me ne andavo verso il centro, il mio telefono è impazzito: tutti hanno cominciato a scambiarsi video e messaggi su qualcosa di incredibile che stava succedendo nel quartiere periferico di Yuen Long. Centinaia di uomini, appartenenti alle triadi, il crimine organizzato di Hong Kong, sono scesi nelle metropolitana e si sono messi a picchiare con spranghe quelli vestiti di nero, probabili partecipanti alla manifestazione, di ritorno a casa.
Le chiamate alla polizia sono rimaste senza risposta: erano tutti impegnati con i manifestanti. Intanto, la stazione di Yuen Long si riempiva di scene che non potremo dimenticare: una donna incinta a terra, picchiata in modo insensato. Il fratello del mio amico Kris, ora in ospedale con la schiena piena di lividi, un labbro rotto e il naso accartocciato.
Oggi dovunque c’erano capannelli di persone impegnate a guardare nei telefonini le immagini dello scempio. Il bilancio: 46 feriti, uno grave, ma molti non sono andati in ospedale per timore di essere arrestati. Nel corso della giornata, sono emersi video che mostrano la connivenza fra alcuni membri della polizia e i gruppi criminali di Hong Kong.
Come spiegare tutto questo? Davvero il governo vuole uscire dalla crisi passando dal caos e dalla violenza? Alla conferenza stampa, Carrie Lam ha parlato per dieci minuti dei “maestosi simboli della nazione” (lo stemma cinese) sfregiati dai “vandali”. Solo dopo aver sofferto per questo affronto si è degnata di dire che la violenza vista alla stazione della metropolitana è “inaccettabile”. In mani così inette, la divisione rischia di diventare sempre più profonda.
Sono andata a cena con un’amica, entrambe incapaci di staccarci dalle news dei cellulari, e abbiamo parlato delle difficoltà che lei ha, per esempio, nel parlare coi suoi genitori. “Ho detto a mia mamma di stare a casa, di non andare a fare la spesa in posti che non conosce. Non parliamo molto di politica, ma nel quartiere dove lei abita le triadi ci sono. Non so come dirle di stare attenta”. Dietro di noi due genitori di mezz’età stavano bisticciando col figlio. Lui mostrava i video dei picchiatori, e il padre scuoteva la testa incerto, mentre la madre aveva un’espressione piena di rabbia: “Sono mesi che manifestate, perché? Non se ne può più. Ve la siete andata a cercare!”. E il figlio: “Ma come fai a dire queste cose? Davvero potresti andare a vivere in Cina?”. E ha continuato a mostrare alla madre altri video. Alla fine, l’ha convinta: “Hai ragione. Questi sono dei mostri”. La mia amica, ha fatto una specie di applauso silenzioso, dicendo: “Bravo quel figlio, aveva le risposte giuste”. Quando siamo andate via, la strada verso casa era piena di persone in attesa alle fermate dell’autobus: dai loro telefonini arrivavano le urla e il rumore delle sprangate.