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Un presidente di polso

Ecuador: a un anno dalle elezioni presidenziali, Lenin Moreno, successore di Rafael Correa, sta dimostrando capacità di leadership e con le sue riforme ha provocato un’insanabile spaccatura col partito che l’ha candidato.

Marco Grisenti
Lenin Moreno

Il 2 aprile 2018 il governo del presidente dell’Ecuador Lenin Moreno ha compiuto un anno. Dal suo insediamento, se da un lato il paese sembra aver superato la violenta polarizzazione partitica tra Alianza Pais e il colorito emisfero dei suoi oppositori, nella quale aveva stagnato per gli ultimi dieci anni, dall’altro Moreno è probabilmente riuscito ad attirare più antipatie dal suo stesso partito: le depurazioni condotte al suo interno hanno infatti causato forti scontri, e calamitato il consenso degli altri partiti.

Ricapitolando, il leader socialista di Alianza Paìs (AP) vinceva un anno fa delle elezioni, tra le più contestate della storia democratica del paese, in un ballottaggio estenuante sul candidato conservatore Guillermo Lasso, di fatto per una manciata di voti (51%).

Dopo aver convocato incontri con il mondo imprenditoriale e sociale, il 24 maggio Moreno assume la direzione del paese e subito inizia a marcare un netto distacco rispetto alle politiche del suo predecessore Rafael Correa. Moreno non solo ne prende le distanze, ma annuncia uno stile totalmente diverso: sopprime l’Enlace ciudadano (uno spazio riservato al governo nelle emittenti radio-televisive) e le famose sabatinas, i comizi nei quali Correa settimanalmente dava fondo alla sua voce e inveiva contro tutti, e promette un governo di dialogo e di unità nazionale, un miglior rapporto con la stampa e i giornalisti, oltre a un’apertura al settore privato, strizzando l’occhio agli antagonisti storici di AP.

Il nuovo presidente viene cosi accusato di tradimento dai membri della Revolución Ciudadana, movimento con cui Correa ha governato il paese nei dieci anni precedenti, durante i quali fu promulgata l’attuale Costituzione ecuadoriana.

La rottura emerge fin dai primi mesi di governo, quando Moreno instaura un Fronte di lotta contro la corruzione, composto da membri della società civile, pubblica e privata, volto a combattere i molteplici e deprecabili casi di corruzione nelle istituzioni pubbliche che erano scoppiati negli ultimi anni di gestione Correa, e che avevano contribuito a far precipitare il suo consenso sotto il 30% alla fine del mandato. La misura mira a ristabilire giustizia fiscale e civile, e coinvolge nomi prestigiosi delle amministrazioni pubbliche, arrivando fino al vicepresidente della Repubblica Jorge Glas, braccio destro di Correa, sul quale pesano svariate accuse relative a presunte mazzette. Il processo si realizza in tempi record e a dicembre 2017 il Tribunale penale della Corte Nazionale di Giustizia condanna Glas a 6 anni di carcere per associazione illecita nel cosiddetto caso Odebrecht.

Si scatena un polverone: i sostenitori di Correa, Glas e la vecchia guardia di AP gridano alla persecuzione giudiziaria e all’abuso di potere e si riversano in piazza. Correa torna dalla sua villeggiatura in Belgio per ricoprire di insulti l’attuale presidente, sostenendo che il processo si fosse svolto in maniera irregolare e che si fosse condannato un innocente. L’indignazione nei confronti dei vertici di AP è alta, ma rimane l’appoggio a Moreno per aver contribuito a portare alla luce questo e tanti altri colpevoli vicini a Correa.

A gennaio si nomina una nuova vicepresidente, Maria Vicuña, e la popolazione si rende conto che il timone del governo ha davvero cambiato rotta.

Moreno, critico nei confronti dell’amministrazione autoritaria che caratterizzava Correa, dichiara di voler chiudere con l’appoggio a paesi come il Venezuela, e favorisce i contatti con varie istituzioni del Paese, cominciando dalla Confederacion de Nacionalidades Indigenas del Ecuador (CONAIE), fino ai sindaci oppositori di Guayaquil e Quito. In uno scenario che ha visto, tra l’altro, la città di Quito ospitare i negoziati di pace tra il Governo Colombiano e l’Ejercito de Liberacion Nacional (ELN), giunti al loro quinto ciclo.

Il nuovo anno parte bene per Moreno, promotore del referendum del 4 febbraio 2018, che si proponeva di riformare precisi tratti della Costituzione e consultare la popolazione su temi di importanza nazionale, tra cui eliminare la rielezione senza limiti del presidente e così impedire il ritorno al potere di Correa. I sette quesiti referendari includevano punti come l’esclusione dai pubblici uffici di soggetti colpevoli di corruzione, l’istituzione di un consiglio per la partecipazione dei cittadini e il controllo sociale ad elezione popolare (e non più governativa), l’eliminazione della prescrizione per crimini sessuali contro i minori, l’abrogazione di un’imposta patrimoniale sulle plusvalenze immobiliari, così come una considerevole riduzione dell’area di estrazione petrolifera all’interno del parco nazionale Yasunì.

Il sì trionfa con quasi il 70% dei voti e una partecipazione popolare dell’82%, e Moreno ne esce ringalluzzito nei confronti di Correa e della sua schiera, sostenitori del no.

Manifestazione contro il sequestro dei giornalisti di “El Comercio”

L’economia

Rafael Correa

Sotto il profilo economico l’Ecuador non naviga in buone acque, e Moreno dimostra ancora una volta il suo distacco rispetto alla politica di Correa e del suo radicalismo socialista, “colpevole di una cattiva amministrazione dei fondi statali, che ha spianato la strada a una forte crisi nel paese”, iniziata nel 2015, quando il prezzo del petrolio è precipitato e il Paese è entrato in modalità stand-by.

Il piano economico presentato il 31 marzo, infatti, intende ridurre la gonfiata macchina statale e promuovere l’impresa privata. Il governo avvierà un programma di collaborazioni fra pubblico e privato in settori cardine quali le infrastrutture, il petrolio, l’energia, le miniere e le telecomunicazioni, pari ad un investimento da 7 miliardi di dollari e un ritorno per le casse dello Stato di 1,6 miliardi fino al 2021. “È tempo che il settore privato investa” dice il presidente, il cui piano prevede anche lo smantellamento di 7 delle 22 imprese statali odierne. Inoltre Moreno promette importanti tagli al governo centrale, tra ministeri, segretariati, vice ministeri e sottosegretari, il che permetterebbe un risparmio di 1 miliardo all’anno per quattro anni. Stesso discorso e importo riguardano la vendita di edifici e veicoli governativi.

Ma Moreno deve ancora affrontare enormi sfide. Il debito totale dell’Ecuador rappresenta ormai il 67% del PIL, in larga parte detenuto da istituzioni finanziarie cinesi. La crescita non crea lavoro e dipende molto dalla spesa pubblica. Nel 2017 il deficit fiscale è stato pari al 6%, uno dei più alti dell’America Latina, e la ripresa commerciale tarda a riaffiorare, a causa di una limitata competitività. Sebbene il presidente sostenga che il suo governo non aumenterà le tasse ai cittadini e renderà più efficiente il sistema fiscale, si avanzano dubbi sulla sua tenuta economica. L’aumento dei dazi doganali e la rinegoziazione del debito estero non appaiono misure sufficienti.

Si chiude così un anno in cui Moreno ha saputo imporre il suo potere sulla casta politica. Il “lupo travestito da pecora”, come lo ha soprannominato Correa, ha dato una sterzata a una gestione governativa poco trasparente. Ora bisogna vedere come se la caverà col paese reale, nel quale il 22% della popolazione vive ancora sotto la linea della povertà. Un Paese che in questi ultimi giorni è stato ulteriormente scosso da una serie di attacchi narco-terroristici nella regione di Esmeraldas, al confine colombiano, durante i quali, il 26 marzo, sono stati sequestrati tre giornalisti di El Comercio, principale testata ecuadoriana, successivamente assassinati in un clima di frustrante impotenza da parte della cittadinanza e, soprattutto, della squadra di governo.

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Per gentile concessione di Unimondo.org, che ringraziamo.

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