Il futuro di Piedicastello
Da dove si comincia a progettare un pezzo di città? Da un elenco di cose o dall’organizzazione del suolo? Dalle funzioni edilizie -sempre più variabili - o dalla struttura urbana, più persistente, se non immodificabile? Di solito si comincia con un elenco: un polo espositivo, uno stadio, qualche residenza, qualche negozio, un parco. Si modifica all’infinito il palinsesto, salvo poi cancellare tutto di fronte a un’opportunità inattesa o una necessità improvvisa.
Ed ecco che anni di discussioni “strategiche” si dissolvono come neve al sole. Italia Nostra ha proposto da tempo un approccio diverso, partendo proprio da Piedicastello: sostituire l’elenco con un disegno, studiare prima l’organizzazione urbanistica. Stabilire quali parti edificare e quali no, la forma del reticolo delle strade, le dimensioni degli isolati, i caratteri dello spazio pubblico, la distribuzione delle masse edilizie.
La proposta di Campomarzio parte da simili premesse, ma ricade subito nell’approccio consueto, assumendo due funzioni vincolanti (il polo espositivo e lo stadio) saldandole rigidamente in una super struttura attorno alla quale organizzare tutto il resto. Il progetto propone comunque un’organizzazione complessiva, e consente quindi di affrontare le questioni di base.
La più importante riguarda il “dove”: costruire a ridosso del Bondone, nella zona più sfavorita per esposizione solare, rischio geologico e visuale paesaggistica, lasciando inedificato il fronte lungo l’Adige? Il buon senso suggerirebbe il contrario: costruire nella parte più salubre, sicura e amena, lasciando a verde la zona ai piedi della parete rocciosa.
La seconda questione riguarda il disegno delle strade. Non c’è dubbio che il crocevia tra via Papiria e via Verruca debba essere l’embrione del nuovo reticolo stradale, ma la sua geometria deve adattarsi alla forma del terreno e allinearsi al fronte fluviale, elemento generatore di primaria importanza. Altrimenti, la parte più pregiata risulterà organizzata in forme irregolari difficilmente utilizzabili: uno spazio di risulta, uno spreco, insomma.
La terza questione riguarda lo spazio pubblico, che nel progetto si concentra nel grande asse con le ciminiere sul fondo: un’articolata composizione di elementi monumentali (platee, scalinate, specchi d’acqua…) sproporzionata rispetto al tessuto di Piedicastello, che rischia di rimanere un deserto.
Meglio pensare a qualcosa di più compatto e articolato. Per non vanificare lo sforzo generoso prodotto da Campomarzio, quel disegno andrebbe confrontato con altri, da valutare nei loro rapporti col contesto (l’Adige, la parete rocciosa, la case di via Verruca) e nell’adattabilità alle funzioni ipotizzabili. Non è da escludere che si possa trovare lo spazio per uno stadio o un polo espositivo, ma solo entro un disegno che riesca a farli coesistere con l’assetto generale, il carattere del luogo, la struttura del paesaggio.
È noto che bonificare il terreno richiederà molto tempo: impieghiamolo per scegliere quale organizzazione urbana dare al quartiere. Del resto, se avessimo già deciso dove passeranno le strade e quali parti rimarranno inedificate, i costi e i tempi del disinquinamento si ridurrebbero sensibilmente: investire nel disegno della città può dunque essere un ottimo affare.
Trasformare una città è come giocare a scacchi: senza una scacchiera, quantomeno disegnata, dove collocare i pezzi? Trento si prenda tutto il tempo necessario per tracciare il futuro di Piedicastello: per il CTE è disponibile l’ex Atesina, una casella già libera e certamente più adatta.