Fare l’Europa. Poi, faremo gli europei
Giornali, radio, televisione e social sono stati invasi da cronache e confronti politici su argomenti di nessuna rilevanza pratica. Il passaporto austriaco ai sudtirolesi di Bolzano, meschina iniziativa del nuovo governo di destra insediatosi a Vienna, ha provocato una esplosione fortunatamente spentasi in pochi giorni. Ma che se ne fa uno di un secondo passaporto? Uno è fin troppo in Europa, dove basta la carta d’identità. Che significato pratico può avere una simile idea? Ma serviva per riaccendere vecchie passioni, insomma per tornare indietro.
La povera ex ministra Boschi si è trovata a dominare la scena di una implacabile polemica perché aveva osato, senza alcuna pressione, interessarsi della sorte di una banca operante nel suo territorio, sospettata di proteggere la posizione di suo padre che ne è il vicepresidente. Conflitto di interessi! È più che doveroso che una persona, ancorché ministro, si informi delle sorti di una banca che rischia di danneggiare una moltitudine di persone. Eppure questo ovvio comportamento domina da settimane lo scenario della nostra politica con accenti catastrofici.
Ma anche la legge sullo jus soli, che si limita a riconoscere la cittadinanza ad 800.000 ragazzi già perfettamente integrati nella nostra società, ha sconvolto il quadro politico per mesi, concludendosi con un nulla di fatto, nonostante la sua assolutamente irrilevante influenza sulla reale problematicità del paese.
Polemiche inconsistenti. E ce ne sarebbero altre che vi risparmio. Ciò che conta davvero è invece totalmente assente dal confronto politico.
Siamo in campagna elettorale. Il 4 marzo 2018 andremo a votare per il nuovo Parlamento. Assistiamo ad un frenetico lavorio per raccogliere gruppi e gruppetti, individuare candidati, concepire alleanze e coalizioni, dominati dalla preoccupazione che tutto ciò non giovi a superare la paralizzante disposizione del nostro elettorato a dividersi in tre parti equivalenti, nessuna delle quali riuscirà ad esprimere un partito con una maggioranza sufficiente per governare.
Una situazione di stallo che però non è addebitabile al corpo elettorale.
È solo la conseguenza di una politica priva di contenuti che riguardino i problemi reali del nostro tempo. Su di essi infatti non vi è alcun confronto.
La globalizzazione che ha rimpicciolito il mondo, una popolazione che in meno di un secolo è più che raddoppiata, la marea delle immigrazioni, Stati con dimensioni continentali come Cina, India, Stati Uniti... Cosa contano in questa realtà l’Olanda od il Belgio, o la stessa Germania? Non c’è bisogno di essere dei geni per capire che per far fronte a questo mondo ed a quello che si prospetta, l’Europa, con lingue diverse ma con storia e cultura comune, deve subito darsi un ordinamento politico unificato. Ma i popoli non sembrano non avvertire questa esigenza. Essi obbediscono all’istinto di chiudersi, di tornare indietro, di proteggere e salvare se stessi. Ritorna il sovranismo ed il nazionalismo.
Ma la cultura politica dovrebbe capire la estrema pericolosità di una simile tendenza. La politica appunto deve essere una cultura che riconosce i problemi reali della società, individuandone le adeguate soluzioni. L’Europa federale è un passaggio obbligatorio. Solo Macron in Francia ha mostrato una tale consapevolezza. Urge una intesa fra gli Stati europei a ciò disponibili che preveda un Parlamento europeo eletto su liste europee e non nazionali, il quale esprima un governo con poteri per una politica estera e di difesa unitari, una competenza economica e fiscale in grado di controllare i fenomeni economici.
Non è un passaggio facile, ma è inevitabile. I singoli Stati nazionali devono sfumare. I loro poteri non trasferiti all’Europa devono essere decentrati, secondo un modello federale, ad enti territoriali omogenei.
Certo, si tratta di un progetto storico rivoluzionario, ma ogni giorno sempre più maturo. Ed inevitabile, se vogliamo salvare l’Europa. La politica non sembra adeguata. Eppure questo è il suo compito. Se ponesse all’ordine del giorno un tale progetto, su di esso anche l’opinione pubblica dovrebbe confrontarsi.
Del resto facciamoci ispirare dalla storia. L’unità d’Italia non fu voluta ed ottenuta dai popoli italiani. Essa fu voluta e realizzata da Mazzini, Cavour e dai Mille di Garibaldi. Quando fu compiuta, Massimo D’Azeglio disse: “L’Italia è fatta, ora bisogna fare gli italiani”.
Impresa non del tutto ancora conclusa. Ma quell’esperienza ci insegna che ora bisogna fare l’Europa, poi faremo gli europei.