Menù
Home
QT
Questotrentino
Mensile di informazione e approfondimento
Utente
Cerca
QT n. 4, aprile 2017 L’editoriale

I furbetti al governo

“Fisco, la flat tax per i superricchi” titolava il Sole 24 ore. “Il fisco italiano strizza l’occhio agli stranieri ricchi. Da oggi chi ha da molti anni una residenza estera e si sposta in Italia può scegliere di attivare la flat tax sui Paperoni, una tassa fissa da 100.000 euro l’anno”.

Questa notizia è a nostro avviso emblematica e, purtroppo, devastante. Per almeno tre motivi.

Innanzitutto per un motivo di politica fiscale, anzi di politica economica tout court. Far pagare a un milionario la bazzecola (per lui) di 100.000 euro, vuol dire tassarlo per (molto) meno del 10%; un miliardario vero pagherebbe lo 0,01%. È una totale, marchiana ingiustizia fiscale, contraria a tutti i principi di equità, e anche al dettato costituzionale, che recita l’esatto contrario: “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva.” Ed aggiunge: “Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”.

La flat tax può essere una provocazione di un agitatore alla Salvini o alla Trump, non può essere un provvedimento di un governo che intende ispirarsi a minimali principi di equità.

Ricordiamo anzi come in tutto l’Occidente, prima della trionfante ondata neo-liberista di Reagan e Thatcher, le tasse per i ricchi fossero altissime (in “Taxman” i Beatles si lamentavano di come dovessero versare al fisco il 95% dei loro introiti). E di come molti economisti ritengono che il progressivo declino del welfare (che “oggi non ci possiamo più permettere” si dice. Appunto, come mai?) sia dovuto proprio al cambio di rotta fiscale; che poi ha generato quelle immense masse finanziarie (i ricchi non spendono più di tanto, accumulano) che sono improduttive e hanno terremotato il sistema economico mondiale. Insomma, una politica economica vera non può che partire da una rivisitazione profonda del sistema fiscale, che oggi tartassa i lavoratori, il ceto medio, le imprese, e lascia liberi e leggeri i grandi patrimoni. Il governo di centro-sinistra invece fa l’esatto opposto.

La ragione è che si vogliono attrarre super-ricchi, per farli investire in Italia, si risponde. Ancora peggio, e questo è il secondo motivo per cui il provvedimento è disastroso. Questa cultura, delle tasse più basse per attirare i ricchi, è miserabile, da furbetti del quartierino, da piccolo paese periferico come le Isole Cayman, o da grande paese che, come l’Inghilterra per anni nell’Unione Europea, ha fatto i propri comodi con il ricatto dell’uscita. Ma un paese come l’Italia, che si ritiene – dice sempre Renzi - “un grande paese”, e che comunque non ha armi per ricattare, semplicemente non può effettuare una tale politica. Perché se per caso fosse efficace, di sicuro ci sarebbe nella Unione una Polonia che proporrebbe una flat tax a 90.000 euro, e poi una Lituania a 80.000, e via di questo passo. Fino al modello, appunto, delle Isole Cayman.

Mentre invece la politica verso cui si vorrebbe e si dovrebbe andare, è quella dei criteri comuni di tassazione. Ed è qui che si rivela il nulla culturale della nostra politica: non si può fare i tromboni con le celebrazioni del trattato di Roma ecc ecc, e poi naufragare in provvedimenti furbastri che indicano una politica estera in realtà inesistente.

Ma voi, davanti alle cialtronate sulla flat tax, avete sentito qualche voce discorde? Purtroppo no. E questo è il terzo aspetto del disastro. La politica italiana, tutta, è profondamente inadeguata. Per caso Bersani, Speranza, Emiliano, hanno avuto da ridire? No. E perché? Perché il loro orizzonte non è il governo, ma le polemicuzze personali, gli asti. E i discorsi su una politica “che venga incontro alla gente” sono solo foglie di fico, vuoti slogan, al massimo titoli di capitoli che per il resto sono miseramente in bianco. E quindi sulla politica fiscale non si dice niente, perché è una materia difficile, dove si rischia l’impopolarità; ed è meglio dedicare il proprio tempo a compulsare liste di caporioni da convincere a passare dalla propria parte. Questa, ahimé, è la politica.

Ci dispiace essere così pessimisti. Ma questo è quello che vediamo.