Frutticoltura trentina: di nuovo un’eccellenza?
Il progressivo abbandono dei pesticidi più pericolosi migliorerebbe l’ambiente e anche l’immagine dei prodotti trentini. Ma siamo appena ai primi passi...
Fino a pochi anni fa la frutticoltura trentina era un’eccellenza a livello mondiale, nazionale e locale ed erano pochi gli elementi che potessero mettere in discussione questo orgoglioso primato. La chiave del successo è stata la qualità dei prodotti frutticoli certificati da un protocollo di produzione denominato “lotta integrata”, introdotto in Trentino, tra i primi in Italia, verso l’inizio degli anni ‘90.
Fu una necessaria conseguenza degli incidenti occorsi ad agricoltori per l’uso di certi pesticidi di sintesi, alcuni dei quali si conclusero anche con la morte, oltre che per ragioni ambientali. Fu comunque una scelta dibattuta, ma che alla fine si dimostrò lungimirante, in quanto lanciò la frutticoltura trentina tra le eccellenze mondiali.
Dal 1° gennaio 2014 la lotta integrata è diventata obbligatoria in tutta Europa, facendo diventare tale metodo lo standard minimo di produzione e non più una certificazione volontaria di eccellenza. Del resto che il metodo della lotta integrata fosse solo un passo avanti, e che comunque non fosse garanzia di qualità per il territorio, a iniziare dal Trentino, è noto da circa un decennio, quando sono emerse le prime forti criticità di natura ambientale, sanitaria e sociale denunciate da gruppi spontanei di cittadini.
Il limite di sopportazione di molti cittadini residenti in prossimità delle coltivazioni intensive di mele della Valle di Non venne raggiunto e superato nel 2007, quando venne sfondata, in alcune aziende agricole, la soglia dei 30 trattamenti con pesticidi in un anno, e la popolazione venne a conoscenza della pericolosità per l’ambiente e la salute umana delle molecole impiegate, che si spargevano ovunque. Le grossolane modalità di distribuzione dei pesticidi innescavano il cosiddetto “effetto deriva” (ben visibile nella foto di questa pagina), che faceva migrare tali molecole esternamente ai campi agricoli contaminando aria, acqua, suolo, abitazioni e perfino gli organi interni dei residenti ed in particolare dei bambini.
Tale situazione, ostinatamente denunciata dalla popolazione ma ignorata e negata dalla politica del governo locale e provinciale, è ampiamente documentata da una vastissima letteratura tecnica e scientifica. Alcuni tra i più significativi di tali documenti sono riportati nella scheda a fianco.
Il mercato indica la strada da seguire
Anche il mercato non poteva non accorgersi delle criticità della frutticoltura integrata trentina, nonostante fossero mascherate dagli investimenti milionari in pubblicità, manifestandosi, da una parte con una forte riduzione dei guadagni dalla vendita delle mele trentine e dall’altra con una crescita di oltre il 10% all’anno dei prodotti alimentari biologici, segni evidenti di come il mercato cerchi la qualità; infatti le produzioni biologiche e biodinamiche, che tra le altre cose ricordiamo essere coltivate senza pesticidi di sintesi, sono le uniche produzioni che hanno una normativa chiara di produzione che supera i limiti del metodo della lotta integrata o di altre certificazioni che dicono poco o nulla sulla qualità intrinseca del prodotto, quali DOP, IGP, ecc.
Quindi oggi parlare di qualità certificata del cibo significa parlare di produzioni biologiche e biodinamiche; se si vuole aggiungere la sostenibilità del cibo, bisogna aggiungere il concetto di filiera corta (km zero, biodistretti, ecc).
Illusioni? Manie di piccoli gruppi di fondamentalisti ecologici?
Non proprio: anche i produttori locali, ben prima dei politici di governo, si sono accorti di questo ed il progetto di APOT (l’associazione che raduna i vari consorzi di produttori ortofrutticoli del Trentino) “Trentino frutteto sostenibile”, presentato il 19 gennaio al Teatro Sociale di Trento, ne è un esempio che, nonostante il progetto manchi ancora di coerenza e di credibilità, testimonia comunque l’inizio di un cammino verso un’agricoltura più pulita.
I numeri, le statistiche e le indagini di mercato presentate all’evento di fatto non scagionano la frutticoltura intensiva dalle criticità sopra documentate ed in particolare dal permanere di un’eccessiva dipendenza da pericolosi pesticidi di sintesi. Ma da quei dati emergono due elementi confortanti.
Primo: che l’immagine dell’agricoltura trentina è ancora positiva nei confronti del consumatore.
Secondo: che il non utilizzo del pesticida chlorpirifos etil in alcune zone ha eliminato la contaminazione dei corsi d’acqua da quella pericolosa molecola. Quest’ultimo dato indica che la via da seguire deve essere quella di togliere le molecole pericolose piuttosto che sovvenzionare costose macchine “atomizzatrici antiderviva” che di fatto non hanno prodotto la riduzione delle contaminazioni.
Ma il fatto che l’immagine dell’agricoltura trentina sia ancora positiva agli occhi del consumatore è un dato che conforta; l’aver tolto la pericolosa molecola chlorpirifos etil in alcune zone e l’aver riscontrato che di conseguenza i corsi d’acqua non sono contaminati da quella molecola è pure un dato confortante, che indica che la via da seguire deve essere quella di togliere le molecole pericolose.
Un’agricoltura senza i pesticidi di sintesi non solo è possibile (l’agricoltura biologica e biodinamica ne sono un esempio), ma avrebbe ricadute enormi sull’immagine globale dei Trentino che vive principalmente di turismo.
Se tra 10 anni riuscissimo ad arrivare ad un “Trentino pesticidi free”, saremmo la prima provincia al mondo ad averlo, con ricadute economiche, sanitarie, ambientali e di qualità della vita enormi. Questa politica renderebbe inutile il costoso e complesso studio epidemiologico che l’Azienda Sanitaria, con gravissimo ritardo, vorrebbe portare avanti per dimostrare quello che già sappiamo, ovvero che i pesticidi di sintesi fanno male alla salute. Uno studio epidemiologico, che era stato fortemente chiesto dai cittadini 10 anni fa, per essere realmente affidabile richiederebbe oltre 10 anni di monitoraggi ed il farlo ora potrebbe costituire la giustificazione di una classe politica e dirigenziale incapace di fare quelle scelte urgenti che servono per riportare il Trentino all’eccellenza.
Cosa dicono i documenti
Il Rapporto Nazionale sui pesticidi nelle acque del 2013-2014 dell’ISPRA (edizione 2016) evidenzia nel quadro nazionale come in Trentino siano molti i fiumi inquinati da pesticidi oltre i limiti di legge (punti rossi nella figura qui sotto).
A conferma dello studio precedente, dal Piano di Tutela delle Acque del 2015 della Provincia di Trento emerge l’inquinamento da pesticidi di circa 20 corsi d’acqua, di cui 9 in val di Non
Lo studio di Greenpeace del giugno 2015 “Il gusto amaro della produzione intensiva di mele. Un’analisi dei pesticidi nei meleti europei e di come soluzioni ecologiche possono fare la differenza” evidenzia come la Valle di Non sia tra i siti più inquinati da pesticidi di Europa.
Nel 2012 le schede dell’ISTAT documentavano un consumo di pesticidi in Trentino pari a 54 kg/ettaro/anno, con picchi di 80-100 kg/ettaro/anno in zone frutticole particolarmente intensive come la Valle di Non (fonte: C.Ioriatti & al Fondazione Mach “Evaluation of the Environmental Impact of Apple Pest Control Strategies Using Pesticide Risk Indicators” 2011).
Dall’”Indagine conoscitiva sul livello di esposizione non professionale a prodotti fitosanitari in persone residenti in un’area a forte vocazione agricola della provincia di Trento DGP n.1154 dd 9 maggio 2008” dell’Azienda Sanitaria Trentina risultava una contaminazione ambientale interna alle abitazioni e nelle urine dei residenti causata dal pericoloso pesticida chlorpirifos etil.
Da oltre 50 analisi chimiche commissionate dal Comitato per il Diritto alla Salute in Val di Non e pubblicate nel documento “Presenza di fitofarmaci ad uso agricolo in aree residenziali della val di Non (Trento–Italia) 07/04/2012” emergeva una profonda contaminazione da pesticidi esterna alle aree agricole. Nei bambini sono stati trovati i metaboliti del pericoloso pesticida chlorpirifos etil in valori mediamente maggiori di 6 volte rispetto a quelli di riferimento.
Dallo studio del 2015 su cittadini della Val di Non “Organic honey supplementation reverses pesticide-induced genotoxicity by modulating DNA damage response” è emerso che i pesticidi danneggiano il DNA dei cittadini residenti vicino alle coltivazioni, in particolare nel mese di giugno, quando i trattamenti con pesticidi sono massimi.