“Giuseppe Alberti pittore e architetto nel Trentino barocco”
Chiesa, Impero e turcherie. Trento, Castello del Buonconsiglio, fino al 1° maggio.
Dopo i focus su Dosso Dossi e Romanino e in attesa del prossimo su Fogolino, il Castello del Buonconsiglio prosegue l’indagine sui protagonisti della storia dell’arte in Trentino nell’età moderna con un approfondimento su Giuseppe Alberti (1640-1716), il celebre architetto e pittore fiemmese di cui ricorrono i 300 anni dalla morte.
Giuseppe Alberti si avvicina alla pittura durante gli anni di studio a Padova, per poi immergervisi completamente a Venezia, in un lungo soggiorno (1668-1673) che lo porta ad entrare in contatto con pittori quali Carl Loth e Pietro della Vecchia; l’intenso cromatismo appreso negli anni veneziani è già avvertibile nelle lunette eseguite dall’Alberti per l’abbaziale di San Michele all’Adige (1673).
L’interesse per la pittura murale e la grande decorazione barocca è da far risalire agli anni successivi, quando l’Alberti, dal 1675 e per almeno un paio d’anni, si trasferisce a Roma. Ritornato in Trentino, egli sperimenta le suggestioni architettoniche e decorative romane prima nuovamente nella chiesa agostiniana di San Michele all’Adige, poi nella Cappella del Crocifisso nel Duomo di Trento, voluta dal principe vescovo Francesco Alberti Poja e progettata dallo stesso Alberti (1682-1688). Negli stessi anni lavora anche a Palazzo Leoni Montanari a Vicenza e soprattutto a uno dei maggiori cantieri cittadini di fine ‘600, la Giunta Albertiana al Castello del Buonconsiglio (1687-1688), ovvero il collegamento tra il Magno Palazzo clesiano e Castelvecchio, progettato e affrescato dall’Alberti in collaborazione con gli stuccatori Aliprandi e Pelli.
Nel 1689, morto il mecenate Francesco Alberti Poja, Giuseppe Alberti si ritira a Cavalese, senza però rinunciare a intense imprese decorative ecclesiastiche, nella chiesa dei Francescani a Cavalese, nella Cappella del Suffragio nell’arcipretale di Riva del Garda, nella parrocchiale di Pressano e nuovamente nell’abbaziale di San Michele all’Adige.
Curata da Elvio Mich e Luciana Giacomelli, la mostra presenta una settantina di opere fra tele, disegni, incisioni, manoscritti, medaglie, argenti, alabastri ed altri esempi di arte applicata. Molto nutrito, quanto interessante, l’apparato documentario, a iniziare dall’inventario dei beni appartenuti al principe vescovo Sigismondo Alfonso Thun, del 1677, ove sono elencate numerose opere d’arte dislocate nelle stanze del Castello del Buonconsiglio, o le stampe con vedute di città riprese in affresco dall’Alberti nella Sala del Trionfo della Fede al primo piano della Giunta Albertiana.
Il percorso di visita raccoglie numerose opere dell’Alberti presenti sul territorio, dalle lunette raffiguranti i padri della Chiesa provenienti da San Michele (1673) al San Vigilio (1673) del Museo Diocesano, dai Santi Cristoforo e Girolamo prestati da Casa Rosmini (1685-1690) al Ritratto del curato Leonardo Bonelli della canonica di Carano (1665), senza dimenticare le tele facenti parte delle collezioni del Buonconsiglio, come l’Uccisione di Abele (1673) o il drammatico Martirio di Simonino (1677).
Accanto all’opera del maestro fiemmese troviamo lavori di Marco e Pietro Liberi, Francesco Maffei, Johann Carl Loth e altri, alcuni rimasti anonimi, come l’autore delle grandi sagome da presepe d’ambito tirolese che un tempo catturavano lo stupore di molte comunità del territorio.
I dipinti, così come le sculture - si vedano in particolare i busti e i bassorilievi di Cornelis van der Beck - sono alternati nell’allestimento da pregevoli esempi d’arte applicata, quasi a ricordarci come il confine tra arte e artigianato fosse spesso, al tempo, molto sottile. In tal senso troviamo significativi esempi di arte tessile, come la pianeta (veste liturgica) appartenuta a Francesco Alberti Poja, sontuose opere d’ebanisteria, come uno stipo fiorentino intarsiato con pietre dure e marmi, o ancora una cornice intagliata da Lorenzo Haili, l’autore del complesso soffitto ligneo che corona le sale al secondo piano della Giunta Albertiana. Sempre a proposito di arti minori, ci è parsa infine particolarmente suggestiva la scelta di ripristinare l’antico pavimento a formelle di maiolica policroma figurate “alla turchesca” del 1688, un tempo posizionato in due sale della Giunta Albertiana, alternato ad un altro pavimento a formelle bianche e blu prodotto negli stessi anni dalla Manifattura Mainardi di Bassano.