I signori della cenere
Tanta (troppa?) carne al fuoco. Tersite Rossi, Bologna, Pendragon, 2016, pp. 397, € 16.
È una modalità di scrittura spesso adottata, in tempi recenti, soprattutto da giovani autori che lavorano a più mani sullo stesso romanzo: da Luther Blisset, ai Wu Ming, a Tersite Rossi, appunto, nome collettivo del duo Marco Niro-Mattia Maistri, giunto alla sua terza opera narrativa.
Come funziona? Storie diverse, lontane anche nel tempo, per un po’ procedono parallele, poi via via si integrano, dando un senso univoco all’opera. Il tutto su uno sfondo reale, storico, che presuppone un paziente lavoro di ricerca. Per il lettore c’è il pregio della varietà e di una curiosità che si rinnova, ma la cosa funziona a condizione che le varie parti del mosaico si armonizzino, sia nelle tematiche che nello stile. Insomma, la penna che scrive deve apparire una sola.
Questo ci sembra il punto debole de “I signori della cenere”. Leggendo le quasi 400 pagine del romanzo, confesso di aver ripetutamente cambiato parere, da un apprezzamento quasi entusiastico alla tentazione della stroncatura, concludendo con una imbarazzata perplessità.
Rispetto alla prima opera, “È già sera, tutto è finito”, ambientato nell’Italia di Tangentopoli e della mafia imperversante, Tersite Rossi ha enormemente allargato lo scenario e le proprie ambizioni, arrivando a trattare i massimi sistemi e sempre con lo stesso acceso spirito militante. Senza raccontare la trama, ci limitiamo a citare le due tematiche - collegate fra loro - che rappresentano l’ossatura del racconto: la crisi finanziaria mondiale iniziatasi con la vicenda dei mutui subprime, e che nel romanzo si conclude con una guerra civile a livello mondiale indotta dalla privatizzazione delle risorse idriche; e poi l’epico scontro fra chi cerca di riportare alla luce almeno la memoria di una primigenia società presieduta dalla Grande Madre e basata sulla tolleranza, la pace, la condivisione, e chi - i potenti della Terra - vuole soffocare anche il ricordo di quell’antico mondo idilliaco.
I massimi sistemi, appunto; collegarli non era un compito da poco e difatti qua e là il meccanismo traballa. Soprattutto quando entra in scena l’Ordine, misteriosa entità para-religiosa impegnata nel soffocare con ogni mezzo il ricordo della Grande Madre - e qui siamo a fumisterie mistiche alla Dan Brown, piuttosto stridenti col resto. O quando gli uomini del Clan - brain trust degli autentici “poteri forti” mondiali - non soddisfatti di portare al disastro il Pianeta con i mezzi più abietti per saziare la propria avidità, ci provano gusto nel farlo, e ridacchiano sadicamente come i cattivi dei cartoni animati. Poi però, da un capitolo all’altro, la scena muta radicalmente, diventa “normale” e accattivante, con le belle pagine dedicate a un vulcanico banchiere di Wall Street che ricordano la scrittura sincopata e violenta di James Ellroy. O con la dolente storia di un impiegato un po’ fantozziano che dopo il licenziamento perde la testa, e qui mi è venuto in mente il Michael Douglas/Bill Foster di “Un giorno di ordinaria follia”.
Insomma, un romanzo a corrente molto alternata, che accanto a pagine appassionanti, ne ha altre deludenti, soprattutto là dove lo spirito militante prevale sul piacere del raccontare.