Le radici di Lorenzo, mio nipotino di un anno
Una gravidanza indesiderata a vent’anni ti sconvolge la vita. La mia fu una bomba d’acqua gelida che portò tanta sofferenza. La mamma infartò, aggredita da mia suocera che conoscemmo in quell’occasione. “Doveva controllare di più sua figlia, i omeni i va en dove i trova!”. Massima ritenuta offensiva per la loro settima figlia rimasta incinta non si sapeva come perché era ancora vergine. Suo figlio adorato era il terzo maschio di nove figli. Il più piccolo, il più amato, il meno voluto. Vista l’età avanzata, mamma di 45 e padre di 53, nessuno si era accorto della gravidanza. La pancia diventava sempre più grossa e dura, lei era sempre più convinta di avere un tumore. Tutta la famiglia si preparava al peggio, poi senza un aiuto e nemmeno una levatrice, il 24 marzo si svelò l’arcano. Un bellissimo bambino che chiamò Marco.
La mia gravidanza da subito si rivelò complessa come il girotondo creatosi intorno. Matrimonio mosso. “Io, tinta di aria” racconterà che il futuro padre stava facendo il servizio militare a Brunico, artiglieria da montagna. Eravamo senza casa e partivamo da sotto zero. L’unico reddito era quindi il mio stipendio da impiegata in Provincia.
Trovammo casa in affitto in Via Gocciadoro e posto all’Asilo Nido della stessa zona. Matteo nacque il 30 marzo, era un bambino bello come il sole, mi fermavano in strada per ammirarlo. Un bambino buono e tranquillo, gioioso che chiamavo “Matteo cuor d’oro”. Non mi ha fatto perdere le notti, dal suo letto ci vedeva dormire nella stanza di fronte. Qualche influenza, le solite malattie infantili. La presenza dell’adorato nonno Aldo, con il quale era felice e si sentiva sicuro e che perse in modo drammatico. Erano iniziate le vacanze pasquali e avevo chiesto a mia madre se potevo portarle i bambini. Consuetudine era che Alessandra dormisse con mia madre nella stanza dei miei fratelli e Matteo con il nonno. Erano in simbiosi, lui mangiava quello che piaceva al nonno: carne di cavallo, rapanelli che sembravano ciliegie, funghi.
Da subito mia figlia si rivelò difficile, passava giorno e notte a gridare disperata. I medici non capivano cosa avesse perché era sanissima e cresceva di peso, faceva cose in anticipo. Camminava prima degli altri, i denti arrivarono prematuri. Da subito dettò legge in casa. Il suo nome era duro e difficile e lei se lo cambiò. Arriva il momento, quando porgi qualcosa a un bimbo che lui dice, dà Pao, a Ma, dà Gigi, nomignoli semplici. Cambiò Alessandra in Ninni e rimane ancora Ninni e rimane ancora Ninni per tanti.
Iniziò a parlare in fretta, a comporre la sua personalissima antologia. Era una bambina tranquilla, tranquillissima. Aveva paura solo dei coccodrilli e quando salivamo la scala esterna della casa dove abitavamo, lei temeva che i coccodrilli fossero nascosti lì. La prendevo in braccio e la portavo fino a casa. Altri animali che le facevano paura erano i pippopopotami.
Aveva un’attrazione per gli zingari e spesso la sera allungavo il rientro a casa per passare in quella zona che era tra il Palasport e l’Ata Battisti, dove stanziavano le roulotte dei nomadi. Le spiegavo chi erano questi zingari e perché non avevano una casa come noi. Un mondo che la affascinava, nella sua scuola elementare c’era qualche bambino rom.
Quella strada mi obbligava a passare davanti alle fognature a cielo aperto e allora cominciava a gridare perché l’odore era davvero insopportabile. “Puzza, puzza Matteo!” Sono le fogne non è Matteo. Il povero Matteo, cuor d’oro, oltre a trovare i suoi disegni stracciati, i suoi puzzle buttati all’aria, era accusato di tutto. Matteo il saggio diceva: “Ninni è viziata e io sono seviziato!”