LaVis, si è imparato qualcosa?
Il Commissario Girardi, fatto il minimo sindacale, se ne va. E si va avanti, cambiando il minimo. Difficile che basti.
Andrea Girardi, il commissario della LaVis, sta per andarsene. Non è comoda la poltrona di comando della Cantina, e l’avvocato la molla, dichiarando “missione compiuta”.
È vero? Indubbiamente il minimo sindacale Girardi l’ha fatto, e non era semplice. Ha ricostruito un clima positivo attorno alla Cantina, in assoluto deficit di credibilità dopo la gestione dell’Ad Marco Zanoni e ha ottenuto un travagliato assenso delle banche creditrici a un piano di rilancio tante volte annunciato e solo ultimamente sottoscritto. Con questo assenso si sbloccano anche i 10 milioni graziosamente concessi dalla Provincia (leggi Ugo Rossi, che cerca di farsi a Lavis il feudo elettorale), che in cambio acquisisce i muri della Cantina, che poi riaffitta.
Le condizioni poste dalle banche indicano la difficoltà della situazione: vengono sì concessi 5 milioni di nuovo indebitamento (contro i 20 chiesti a suo tempo dallo sfrontato Zanoni), ma a patto che non si contraggano altri debiti senza l’unanime assenso del pool di banche, e che non ci sia alcuna dismissione. Il patrimonio è praticamente azzerato o forse peggio (come sostiene invece la Revisione cooperativa), diminuito ulteriormente dalla cessione dell’immobile alla Pat: è chiaro che non si può pensare a vendere nulla. A garanzia di tutto questo, le banche, che evidentemente non si fidano, hanno imposto nel Cda un loro uomo, Giancarlo Cacciofera, che di fatto avrà diritto di veto.
Questi dunque i risultati di Girardi: ha preso per i capelli la Cantina ormai sul baratro, e gliene va dato merito.
Ma è anche, dicevamo, il minimo sindacale, perché la situazione dei conti rimane appesa ad un filo. E perché anche sul lato gestionale Girardi ha fatto poco. Ha sbaraccato la corte dei miracoli allestita da Zanoni attorno al discusso consulente commerciale Vincenzo Ercolino ed ha messo sotto contratto come direttore generale Massimo Benetello, dal solido curriculum presso diverse importanti cantine.
Però non ha proceduto alla radicale riorganizzazione di cui LaVis aveva assoluto bisogno. Sì, perché i disastri dell’era Peratoner prima, e di quella Zanoni poi, hanno portato a una lenta, drammatica emorragia di soci: se nel 2010 venivano conferiti 200.000 quintali d’uva, oggi i conferimenti sono meno della metà. Così la cantina risulta sovradimensionata: già generosa nel numero di dipendenti 6 anni fa (come è usuale per un centro di potere ammanicato con la politica), oggi si trova con lo stesso numero di dipendenti a lavorare una materia prima dimezzata. E tutti i proclami “deve tornare ad essere una Cantina legata al territorio” ecc. sono vuote parole quando quasi tutte le zone vocate l’uva la portano altrove.
Sarebbe servita un’azione ben più decisa per riacquistare credibilità verso quelli che se ne sono andati. Ma Girardi, e chi lo ha nominato, avevano deciso altrimenti, rinunciando, nonostante qualche dichiarazione contraria, a scoperchiare il pentolone delle passate gestioni, avviando ove possibile azioni di responsabilità nei confronti dei passati pessimi amministratori.
Nel frattempo la Guardia di Finanza ha avviato un’indagine molto approfondita, arrivando al non usuale sequestro di tutta la documentazione in possesso della Revisione. Si appureranno se ci sono stati reati, ad iniziare dalle remunerazioni dei soci sovventori in presenza di perdite, e se i rilievi della Vigilanza sulla correttezza dei bilanci sono fondati.
In questo clima a Lavis si cerca di galleggiare. C’è pure stata una cena in agritur della maggioranza del passato cda, con l’ex Ad Zanoni e l’ex presidente Paolazzi, evidentemente alla ricerca, uscito di scena Girardi, di una presidenza di continuità con il passato, o che comunque non si metta ad aprire gli armadi. Probabilmente per sponsorizzare Alberto Giovannini, del Patt, già uomo di Zanoni, che da presidente della frutticola 5 Comuni aveva accettato il patto di scissione giugulatorio con cui lo stesso Zanoni aveva inguaiato i frutticoltori.
Il candidato più probabile sembra però Pietro Patton, a suo tempo uomo di Dellai, persona corretta, probabilmente il meno peggio tra coloro che garantiscono una certa continuità, ma caratterizzatosi nel cda di Zanoni per non aver mai proferito verbo. Una presidenza quindi di garanzia: che non si facciano troppi cambiamenti.
Peccato che senza cambiamenti la Cantina, una volta bruciati i 10 milioni provinciali, abbia ben poche prospettive.