I soldi sono pochi: sprechiamoli!
Ancora acquisti immobiliari dai religiosi, progetti costosissimi e strampalati, sempre all’insegna dello spreco. Mentre sul resto si taglia senza pietà.
Allineiamo una serie di notizie di questi giorni. La Provincia ha acquistato dalle Suore di Maria Bambina (operazione da 20 milioni) un compendio nella centrale via Borsieri a Trento. Si dà il via allo spostamento della stazione delle corriere per costruire un nuovo Centro Intermodale. Si intende costruire, per 10 milioni, un polo espositivo all’ex Italcementi, e per l’operazione si cercano partner immobiliari internazionali. Parimenti si cercano partner per una torre di 15 piani per uffici provinciali all’ex Dogana.
Spieghiamo poi in dettaglio come tutte queste azioni siano molto discutibili: progetti inutili, quando non dannosi, di sicuro molto costosi. In tempi in cui, d’altra parte, si taglia ovunque, dalla sanità alla cultura, all’ambiente. Ultima notizia: si riducono drasticamente i guardaboschi, vale a dire si risparmia sulla qualità del territorio.
Ma forse la notizia più emblematica è quella legata ai collegamenti con la zona universitaria di Povo-Mesiano: “Non abbiamo i mezzi per potenziare la linea 5” dichiara Trentino Trasporti, “Stiamo studiando per far arrivare una funicolare” aggiungono l’assessore Gilmozzi e il responsabile opere stradali della Provincia. Insomma, non ci sono soldi per far correre un autobus in più, ma ci si attrezza per spendere 27 milioni (e poi 800.000 euro annui di costi di gestione).
A noi sembra che la spesa pubblica in Trentino sia precipitata in uno stato confusionale. Oppure c’è del metodo in questa follia?
È quanto qui cerchiamo di capire.
Le Suore di Maria Bambina
Iniziamo con il vedere i casi in dettaglio. L’acquisto dalle suore sembra il solito monòpoli, cui ci hanno abituato gli anni dell’Autonomia dalle vacche grasse (e su cui Questotrentino polemizzava fin dagli anni ‘80, con diverse denunce sfociate nelle aule del Tribunale): si continuano a comperare immobili per sempre nuove esigenze pubbliche, spendendo milioni su milioni che vanno a finire nelle tasche di imprenditori amici, di potenti finanziarie, di enti religiosi.
Col passare degli anni e degli acquisti, poi, la città si riempie di edifici pubblici dismessi, di piazzali pubblici lasciati a parcheggio. Ma gli edifici dismessi non si ristrutturano e sui piazzali non si costruisce. Si comperano invece altri edifici dai privati (ultimissimo caso, piazzale Sanseverino, lasciato a parcheggio scoperto, e la biblioteca universitaria acquistata in fondo al complesso delle Albere).
Nel complesso di via Borsieri (delimitato anche da via Rosmini, via Travai, via Esterle, vedi immagine) verrà localizzato un minestrone di funzioni: articolazioni dell’Azienda sanitaria (Centro di salute mentale e Centro dei disturbi del comportamento alimentare), la Trento School of Management, e poi, dal momento che non si sa cosa mettere ancora, l’ennesimo studentato universitario, di cui non si sente il bisogno, ma è il jolly sempre pronto quando si vuole giustificare una spesa immobiliare.
Così le suore (o quello che ne resta, il convento chiude per mancanza di religiose) intascano 11,5 milioni, mentre le casse pubbliche ne spendono 20 o forse più, a seguito degli ingenti lavori di ristrutturazione. E altri spiccioli andranno spesi nel murare gli edifici pubblici inutilizzati (un esempio tra i tanti: la ex mensa universitaria al parco Santa Chiara) nel timore che, oltre che dai ratti, vengano infestati dai ben più temuti contestatori anarchici.
Il “Centro intermodale”
È stato presentato a metà marzo alla Commissione urbanistica del Consiglio comunale. In sostanza si tratta di spostare la stazione delle corriere dall’attuale sede al piazzale ex Sit. Ne abbiamo parlato nei numeri scorsi e la presentazione ufficiale non ha fatto che aumentare le perplessità. Intendiamoci, il progettino presentato, come peraltro tutti i rendering di questo mondo, è carino: dà spazio alla sacrificata basilica di San Lorenzo, aumenta il verde di piazza Dante, sostituisce il cavalcavia sulla stazione con un meno impattante sottopasso.
Il punto è che costa parecchio, e soprattutto l’intermodalità, che ora c’è, la peggiora: allontana le autocorriere dai treni, si inventa un nuovo edificio come terminal della nuova linea metropolitana che invece potrebbe stare benissimo nelle ampie stazioni delle FFSS e Trento-Malè tra loro connesse, separa autocorriere e metropolitana da quello che oggi è il terminal dei bus urbani, piazza Dante. La motivazione? Dare centralità alla funivia Trento-Sardagna, che diventerebbe Trento-Monte Bondone. Il che fa ridere: la percentuale di passeggeri della funivia, anche con le più ottimistiche previsioni, sarà solo una frazione di quelli che invece si spostano in corriera, treno, bus urbano, e che con il sedicente “centro intermodale” dovranno interconnettersi spostandosi a piedi, magari trascinandosi dietro i bagagli.
Anche sui soldi si va nella fantascienza: si vagheggiano Fondi Europei, che poi, anche se venissero concessi, sono prestiti. Insomma ci si indebita per peggiorare le connessioni urbane.
A illustrare questo bel progetto era il megadirigente provinciale ing. Raffaele De Col. E mentre parlava, la mente riandava all’appalto del NOT, andato in malora proprio perché si era voluto imporre, contro la legge, la doppia incompatibile presenza dell’ingegnere in due distinti stadi del percorso d’appalto. Ma soprattutto tornava alla mente la presentazione, sempre da parte di De Col, della fantasmagorica “stazione ferroviaria internazionale”, che avrebbe dovuto duplicare, e in effetti sostituire, la stazione di piazza Dante, per trasferirla verso Trento Nord. Un progetto costosissimo, nocivo, figlio dell’era di Dellai. Ora con Rossi, con gli stessi uomini, si spende – forse – un po’ di meno, ma con risultati analoghi e in tempi più bui.
La torre all’ex Dogana e il Polo espositivo all’Italcementi
Patrimonio del Trentino ha presentato due progetti per complessivi 150 milioni di euro alla Fiera immobiliare di Cannes, dove convergono oltre 4.000 investitori da 90 paesi da ogni angolo del mondo. Si tratta della costruzione di una torre di 15 piani per uffici all’ex Dogana (o ex Centro Sociale Bruno) e del riuso, con annesso Polo Espositivo, dell’area Italcementi.
Si tratta di due operazioni in project financing, quella partnership pubblico-privata tanto di moda alcuni anni fa, che doveva essere il grimaldello per costruire il Nuovo Ospedale (poi per fortuna arenatosi causa i pasticci nella stesura dell’appalto, altrimenti avremmo consegnato la sanità nelle mani della ben nota Impregilo).
Le informazioni che fornisce Patrimonio del Trentino sui soldi da investire in queste due operazioni sono vaghissime: quanto spenderà il pubblico, quanto il privato è tutto nella nebbia; e forse è comprensibile, essendo oggetto di contrattazione.
Noi abbiamo forti dubbi. La torre da 15 piani è un’invenzione estemporanea: non ha alcuna autorizzazione urbanistica (“in attesa di approvazione urbanistica” - recita con un certo ottimismo la slide informativa, in realtà nulla in Comune ci risulta presentato) e ci pare giusto ricordare come, alla stessa distanza dal centro, la Commissione urbanistica comunale si sia per anni esercitata in un pesante boicottaggio della biblioteca universitaria di Mario Botta, progetto di ben altro spessore architettonico e di dimensioni molto più contenute (7 piani – non 15 – fatti ridurre a 6, e ancora mai le autorizzazioni arrivavano). Forse quella grottesca vicenda – la biblioteca fu poi spostata all’interno delle Albere, proprietari i potenti della città, e la Commissione non venne interpellata nemmeno di striscio – ha insegnato qualcosa, ma dubitiamo che si possa agevolmente pensare di ottenere facili autorizzazioni. E poi ci sono i problemi dei soldi: chi paga? La Provincia? Con questi chiari di luna? Oppure la torre è in parte a uffici pubblici, in parte va sul mercato? Ma oggi, c’è mercato per altri uffici?
Così per il riuso dell’ex-Italcementi. Ricordiamo come l’area fosse stata acquistata da Isa, la finanziaria vescovile (presidente Diego Schelfi) e poi venduta, con ricco guadagno alla Cooperazione (presidente sempre Schelfi), che se l’è trovata sul groppone, fino a sbolognarla a Pantalone, leggi la Provincia allora di Dellai, che ora non sa che farne.
L’iniziativa di Patrimonio del Trentino può essere positiva, dubitiamo però che accorti investitori internazionali si vadano ad impelagare in mega-progetti sulla destra Adige, quando in sinistra c’è un altro mega-progetto che registra solo invenduti.
Quello che però lascia più perplessi è il previsto Polo Espositivo da 10 milioni, che se capiamo bene potrebbe essere lo stimolo per far partire l’investimento. Nel senso che l’investitore intanto mette al sicuro i 10 milioni pubblici, poi per il resto si vedrà (che, più in grande, è quello che hanno fatto Isa & soci dall’altra parte del fiume: hanno realizzato circa 130 milioni vendendo al pubblico Muse e biblioteca, e allora gli appartamenti invenduti pesano di meno).
La cosa non ci convince, perché quei 10 milioni ci sembrano altri denari prelevati dalle nostre tasche. Il Polo Espositivo, o meglio Trento Fiere dal nome dalla società che lo gestisce, sta benissimo nell’attuale capannone in via Briamasco ristrutturato pochi anni fa. Solo che, quando si è fatto l’intorto di spostare la biblioteca universitaria da piazzale Sanseverino all’estremo sud delle Albere, si doveva in qualche maniera giustificare il pasticcio: si passava infatti da un’idea di ateneo innervato nella città attorno a via Verdi, dal duomo all’Adige, ad uno sparpagliamento di funzioni, con la biblioteca che finiva in tutt’altra posizione.
Si è pensato allora di allargare la zona universitaria alle aree intermedie, in modo da iniziare un qualche collegamento tra le facoltà e la biblioteca. Di qui una convenzione con l’Ateneo per l’utilizzo proprio all’area di Trento Fiere, che da lì viene costretta a sloggiare.
Questo è un altro ricasco dello scellerato spostamento della biblioteca: l’asfissia di Trento Fiere, che non è una realtà di poco conto, ma che senza sede non potrà più realizzare la sua attività. Ed ecco la necessità di stanziare altri 10 milioni (da conteggiare anch’essi a carico dello spostamento della biblioteca, che a suo tempo la rettrice De Pretis vantava come operazione risparmiosa). Ma la Pat questi milioni li ha? Li investe quando entrano in campo, da Cannes, gli investitori stranieri? Secondo noi è un bel pasticcio.
Anche perché non possiamo dimenticare la trasferta, sempre a Cannes, di Patrimonio del Trentino lo scorso anno. Quando alla fiera immobiliare si presentò con un progetto che definimmo demenziale: la trasformazione delle caserme alle Viote in un resort di super lusso, immaginiamo per emiri arabi, neocapitalisti cinesi e mafiosi russi. Fummo facili profeti nel prevedere che nessun investitore avrebbe puntato una lira sulle trasferte dei nababbi alle Viote. E così fu.
Gli attuali progetti non sono così negativi, ma è facile prevedere che non sia loro riservata miglior fortuna.
C’è del metodo
Come dicevamo in apertura, la sintesi di questo andazzo può trovarsi nella vicenda dei collegamenti con la zona universitaria della collina: per la corsa di un altro autobus nelle ore di punta non ci sono i mezzi, però si pensa di spendere una trentina di milioni per un collegamento impiantistico.
A nostro avviso è la spesa pubblica che rischia l’impazzimento. Da una parte ci sono i tradizionali poteri che spingono per il perpetuarsi delle condizioni di favore che in questi anni li hanno arricchiti. E Ugo Rossi, che non è certo un innovatore e che si è circondato di consiglieri della più vetusta scuola dorotea (due nomi su tutti: il senatore Giorgio Postal, testé promosso a presidente del Museo Storico, e l’immarcescibile Marco Marcantoni, or ora nominato nel Comitato di indirizzo della Fondazione Caritro, consolidato partner delle avventure immobiliari e finanziarie di Isa) evidentemente ritiene che lasciapassare per la politica sia il gradimento dell’establishment, ossia del giro di potenti che ruota attorno ad alcune società sempre privilegiate.
Una seconda motivazione per questo apparente impazzimento, va probabilmente ricercata nel tentativo, per quanto è ancora possibile, di rilanciare il settore delle costruzioni. Diventato ipertrofico ai tempi di Dellai (il relativo Pil era di un 30% più alto di quello delle altre regioni italiane e degli altri stati della UE), uscito fortemente ridimensionato dalla crisi, il settore è ancora incistato nella burocrazia provinciale. Sia in termini di relazioni (ricordiamo i tempi in cui i politici rampanti facevano campagna elettorale con automobili graziosamente prestate dall’”amico” che era sempre un imprenditore edile), sia in termini di cultura: se ci sono soldi da spendere, si pensa subito di metterli nel mattone, si costruisce un nuovo ospedale, non si assumono medici o infermieri.
Così si va avanti, costruendo, progettando, annunciando (soprattutto) nuove opere. Senza curarsi del fatto che ormai, in tempi di vacche magre, il tema vero è gestire al meglio quello che si ha, non lanciarsi in nuove fantasiose costruzioni.
Non è un caso che l’ultima legge urbanistica è stata unanimemente apprezzata perché pone limiti (teoricamente) severissimi alla nuova urbanizzazione. Ma poi nella cultura e nei comportamenti pratici dei massimi vertici politici, come pure dei dirigenti ai vari livelli, viene costantemente bypassata. Per cui si lasciano al degrado gli edifici inutilizzati, e si acquistano quelli di Maria Bambina. Non si incrementano gli autobus presi d’assalto e si varano nuove improbabili stazioni delle corriere.
Di questo i congressi dei partiti rigorosamente non parlano.