I frutti avvelenati di 10 milioni buttati
LaVis: ancora qualche mese, per fare nuovi danni
“Dieci milioni buttati” scrivevamo lo scorso luglio, a proposito del maxi contributo concesso dal presidente Rossi alla Cantina LaVis agonizzante. Peggio che buttati: una prosecuzione nella fallimentare politica dell’assistenzialismo alle aziende decotte; e nel caso specifico un sostegno a un’azienda caratterizzata da comportamenti scorretti nei confronti di dipendenti, autorità di vigilanza, della stessa Pat, sanzionati anche a livello giudiziario.
In questi due mesi questo giudizio si è confermato: il miraggio dei dieci milioni non ha fatto che aggravare queste dinamiche negative. Anzitutto a livello giudiziario. LaVis si è sempre rifiutata di pagare soldi dovuti agli ex soci. Ricostruiamo la dinamica: i soci, per statuto, devono lasciare alla cooperativa una quota della loro remunerazione come autofinanziamento, che viene restituita dopo 5 anni. Così un certo numero di agricoltori - quasi 200 - che avevano versato l’autofinanziamento (300.000 euro circa) nel 2007 quando erano soci, nel 2012 se ne aspettavano la restituzione, anche se intanto, in disaccordo con la gestione dell’AD Marco Zanoni, se ne erano usciti. Solo che Zanoni si è rifiutato di operare la restituzione. E allora un folto gruppo degli ex-soci si è rivolto al Tribunale. In sede penale, perché il loro legale ipotizzava l’appropriazione indebita, dal momento che contemporaneamente LaVis, remunerava con interessi del 4,5% altri soci, i soci sovventori, cosa per di più proibita con un bilancio in perdita, come rilevato dalla stessa Vigilanza cooperativa.
Il giudice Ancona non ha ritenuto che ci fosse un’appropriazione indebita, e quindi ha archiviato il procedimento, ma al contempo ha riconosciuto l’esistenza del credito, spalancando le porte a un’azione civile. Il bello che, a questo punto, intervistato dall’Adige, Zanoni riconosce il debito: “Abbiamo sempre cercato di onorare i nostri debiti nei confronti di soci, ex-soci, personale, creditori; siamo decisi a farlo anche in questa occasione”; e se non lo ha fatto finora, è perché “la situazione è complessa”, cioè non ha soldi in cassa (“Noi stessi attendiamo il pagamento di crediti da noi vantati, per esempio con la cooperativa Cinque Comuni per circa 1,2 milioni di euro”. Insomma scarica le sue difficoltà sui frutticoltori della Cinque Comuni. Ma se è vero che Cinque Comuni deve oltre un milione a LaVis, è altrettanto vero che LaVis, quando cantina e frutticoltori erano una realtà unica, aveva acceso un’ipoteca di 6,8 milioni sul magazzino di Cinque Comuni, ipoteca che Zanoni aveva promesso di togliere: insomma, LaVis con Cinque Comuni non ha un credito di 1,2 milioni ma, nella sostanza, un debito di 5,6. Il che la dice lunga sulle arrampicate sugli specchi dell’amministratore delegato, che dichiara “un obiettivo su cui siamo tutti impegnati”: reperire entro la fine dell’anno i soldi per gli ex-soci.
E qui vanno fatte altre due considerazioni. Primo: i soldi di cui si parla sono 85.000 euro. LaVis chiude un bilancio sui 100 milioni, ed è ridotta così male che non riesce a trovare 85.000 euro per non finire prima in Tribunale e poi sulle pagine dei giornali?
Secondo: il discorso dei soci sovventori. Zanoni non trova i soldi che deve agli ex soci, ma trova quelli che non deve dare ai sovventori. Se quest’ultima trovata (retribuire il capitale di rischio dei sovventori quando il bilancio è in rosso) sia un altro reato è un’ipotesi che la PAT o la Vigilanza cooperativa avrà doverosamente segnalato alla Procura. Di sicuro comunque è un comportamento proibito dal codice: non si possono distribuire utili quando ci sono perdite. E qui vogliamo sottolineare un aspetto: tra i soci sovventori c’è lo stesso Zanoni! Il quale dichiarò a suo tempo (L’Adige, 4 novembre 2012) nell’imminenza della sua nomina, di “lavorare presso la cantina a titolo di socio sovventore”, di aver “versato un’ingente somma si denaro nelle casse lavisane” e di voler “automaticamente versare parte del proprio compenso nelle casse lavisane, a titolo di prestito remunerativo”. Insomma Zanoni infrange la legge distribuendo utili che non ci sono, per remunerare, oltre ad altri, se stesso.
Che la situazione della Cantina non sia buona, lo sanno anche le banche. Che di fatto hanno chiuso i rubinetti, limitandosi a posticipare delle scadenze (a chiedere cioè il pagamento dei debiti) da luglio a dicembre. A che scopo? In attesa dei fantomatici 10 milioni promessi da Rossi. E rieccoci alla sciagurata decisione della Giunta, che vorrebbe buttare 10 milioni che finirebbero in un attimo, ma che garantiscono ancora qualche mese di sopravvivenza a una gestione che ne combina di tutti i colori. Perché nel frattempo prosegue la solita condotta economica della Cantina: incremento del fatturato attraverso svendite del vino, soprattutto sulle piazze estere, con relativo incremento delle perdite e svalutazione dell’insieme del vino trentino. E in parallelo svendita degli assets di LaVis a prezzi di favore: l’imprenditore agricolo Tommasi, veronese come Zanoni, dopo aver comperato per poco la toscana Basilica Cafaggio, si appresta ora a ricevere, sempre per quattro soldi, la trentinissima Cesarini Sforza, produttrice dell’omonimo apprezzato Trento Doc, che quindi uscirebbe dall’orbita dei vini trentini.
Caro Rossi, questi sono i risultati delle tue scriteriate operazioni clientelari..