Tanta neve, troppa...
... e il turismo invernale ne soffre
Finalmente tanta neve sulle nostre montagne. Precipitazioni copiose, concentrate specie nei fine-settimana. Ad oggi, a quota 2.000, si sono sommate nevicate che superano i nove metri: sul terreno ne rimangono quasi tre. Si tratta di neve compatta, umida, pesante: fa paura.
Alcuni imprenditori della neve, incontrando gli ambientalisti, sbeffeggiano: “Dove sono i cambiamenti climatici? La finirete di sparare cazzate!”.
È un inverno ricco di precipitazioni come questo (e lo scorso, non dimentichiamo) a confermare gli effetti dei cambiamenti climatici sulle Alpi.
Da due secoli non si registra un inverno tanto mite: da novembre ad oggi le giornate veramente fredde non arrivano alla decina. L’aumento delle temperature medie del pianeta ha modificato le correnti oceaniche e quindi il crearsi e l’evolversi delle perturbazioni. Con l’aumento delle temperature medie a livello globale era inevitabile in determinate zone riscontrare un importante aumento delle precipitazioni e in altre siccità spaventose, vedi la California, area agricola ormai ridotta allo stremo. Nel lungo periodo si acuiscono fenomeni sempre più estremi. Lo annunciavano, con chiarezza e precisione, gli studi scientifici già trent’anni fa.
Troppa neve: la tanto sospirata neve oggi crea problemi inattesi in tante realtà.
Il bellunese è messo in ginocchio: strade e passi chiusi per lunghi periodi (Giau, Falzarego), paesi turistici privati di energia elettrica, comprese Cortina e Sappada, impianti fermi un po’ ovunque. Licenziamenti, costi sempre più importanti per mantenere sciabile almeno il minimo indispensabile. E tante, tante valanghe.
In Trentino le cose vanno un po’ meglio, anche se le disdette a causa delle settimane grigie e piovose sono diffuse, dalla val di Sole fino a Fiemme e Fassa, da Folgaria a Panarotta. Anche da noi le strade vengono chiuse, o per frane alle quote più basse, o per valanghe. Dalla val Gardena ai passi Rolle e Valles, dal Sella al Pordoi. Per giorni e giorni. Vengono interessate da valanghe strutture e malghe che mai avrebbero dovuto essere costruite in zone a massimo rischio. Siamo la provincia delle deroghe, fatte passare per pubblica utilità. Dalle valanghe sono state coinvolte aree sciistiche importanti. Nella zona del Latemar dodici operai sono stati licenziati: la seggiovia da Gardonè a Passo Feudo è chiusa, una valanga storica, prevedibile, ha scavalcato i paravalanghe e ha piegato i piloni dell’impianto. Così è accaduto su Col Valvacin (area Buffaure), a Malga Ces in Primiero, nella zona della partenza dell’improbabile impianto San Martino-Passo Rolle. Il passo Fedaia è chiuso da Natale e sul versante bellunese, all’altezza dell’impianto che collega la Marmolada al giro del Sella, una immensa valanga ha travolto tralicci e si è depositata sulla strada e lungo la pista.
Su quanto accaduto bisogna riflettere anche perché nelle osservazioni contrarie a determinati collegamenti e piste gli ambientalisti avevano rilevato con precisione i rischi. Solo grazie a una buona dose di fortuna non ci sono state vittime.
Fino a quando? E fino a quando, in presenza di fatti concreti, è il caso di lasciare ai concessionari degli impianti la gestione del rischio valanghe? Troppe slavine hanno interessato piste di sci e sono cadute a piste aperte. Non esiste un conflitto di interessi che va a scapito della sicurezza degli utenti?
E ci si deve anche chiedere, vista l’intensità sempre più acuta delle precipitazioni, se non sia opportuno, invece di sostenere economicamente l’apertura di nuove aree sciabili e nuovi impianti, rivedere il piano della sicurezza delle infrastrutture pubbliche e private ed evitare una faciloneria, di stampo clientelare, nel rilasciare deroghe in aree a rischio.
Mentre accadeva tutto questo, il Consiglio Comunale di Folgaria approvava all’unanimità una delirante delibera che quasi impone alla Provincia il rilascio delle concessioni di un’area sciabile sul Cornetto, una zona dismessa fin dagli anni ‘70. E mentre a Folgaria i consiglieri votavano, sugli altipiani pioveva fino a quota 2000. Ed altri rappresentanti politici della zona di Lavarone tornavano a chiedere il collegamento funiviario Caldonazzo-Luserna. Esempi che ci offrono l’idea del livello di responsabilità diffuso nelle periferie del Trentino.