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Oltre la primavera araba

Nuove prospettive per la politica estera dell’Italia?

Il 2014 si apre con la strana sensazione che tutto nel mondo islamico sia di nuovo in movimento o rimesso in discussione. E che europei e americani siano rimasti sorpresi dall’evolversi degli eventi. Solo due anni fa, in piena “primavera araba”, si pensava (almeno negli auspici di tutti), ad un cambiamento irreversibile all’insegna dei valori democratici dell’Occidente. E si lamentava che l’Iran - il paese che con l’ “onda verde” del 2009 aveva dato il via a questo moto verso la libertà e la democrazia - languisse invece nella stagnazione di un regime apparentemente non scalfito dallo spirito dei nuovi tempi. La Turchia di Erdogan viceversa appariva un paese stabile, elevato a modello e faro della via islamica alla democrazia, e peraltro subito si era precipitato a stringere legami d’affari con le nuove élite giunte al potere in Nordafrica, dal Maghreb all’Egitto passando per la Libia. La Siria era in piena crisi: la guerriglia finanziata dai paesi arabi del Golfo e dagli europei (il solito duo Francia-Gran Bretagna) aveva messo alle corde il regime di Assad sulla cui durata pochi erano disposti a scommettere.

Nel giro di un paio d’anni il panorama sembra totalmente stravolto. Assad è ben saldo in sella e sta vincendo la partita contro la coalizione di insorti e qaedisti; la Turchia è in piena crisi “democratica” dopo gli scandali e le minacce di Erdogan ai giudici; l’Iran inopinatamente sta vivendo la sua primavera, certificata dalla recente visita della Bonino, accolta da sorridenti ayatollah; l’Egitto e gli altri paesi arabi del Nord Africa stanno invece vivendo il crollo delle illusioni democratiche. Qualcuno ha così sintetizzato il problema: o si dà agli arabi la democrazia, ma questo porterà al potere le forze anti-sistema (leggi: Fratelli Musulmani), oppure ci teniamo i militari e uno stato laico ma inevitabilmente autoritario e repressivo. Molti hanno ricordato la lezione irakena, là dove gli USA tentarono l’esperimento di libere elezioni, col risultato di portare al potere un partito religioso sciita e filo-iraniano.

Ecco, gli USA: quale il bilancio della nuova politica islamica di Obama? Tutti ricordiamo il viaggio di Obama da poco eletto al Cairo e la sua apertura al mondo musulmano, la sua perorazione per i diritti e la democrazia, che parte non piccola ebbe nel creare il clima che portò poi alle primavere arabe. Ma oggi cosa resta di tutto questo? Apparentemente macerie. L’Egitto è tornato saldamente in mano ai militari che, con l’approvazione entusiastica di metà del paese, hanno deposto un presidente liberamente eletto mettendo fuori legge il partito in cui si riconosceva l’altra metà del paese. In Siria gli USA hanno fatto marcia indietro, e non solo perché - s’è detto - si rischiava di sostituire lo stato poliziesco degli Assad con uno stato islamico in mano ai qaedisti. La Russia di Putin, il vero vincitore, ha battuto il pugno sul tavolo ribadendo l’appartenenza della Siria alla propria area di influenza, qualcosa che in questi ultimi giorni è stato rafforzato con l’annuncio di un colossale accordo economico per lo sfruttamento dei giacimenti di gas sottomarino antistanti la costa siriana. Ma la Russia ha vissuto il suo vero trionfo con la riabilitazione internazionale dell’Iran, cui essa forniva da tempo tecnologie nucleari e militari. L’accordo firmato tra Iran e potenze euro-americane è un (silenzioso) successo della diplomazia russa, che ora può vantare il suo primato e il suo soft power in tutta l’area dei cosiddetti (ex) paesi-canaglie, dalla Siria all’Iran. Obama ha fatto buon viso, cercando di limitare il danno d’immagine, e mettendo davanti a tutto il doppio risultato della distruzione delle armi chimiche di Assad e dello stop al nucleare iraniano. In realtà si è capito che gli USA ne sono usciti tremendamente ridimensionati nel Medio Oriente. E che Israele e l’Arabia Saudita hanno masticato amaro.

Ma è proprio questa nuova situazione, in cui gli USA perdono influenza, che si apre nuovo spazio per l’azione dell’Europa, a patto beninteso di mettere il guinzaglio ai due soliti paesi (Francia e Gran Bretagna) con velleità neocolonialiste che - in assenza di una politica estera UE - hanno supplito con autonome iniziative. L’Italia ha colto la palla al balzo inviando il ministro degli esteri Bonino in avanscoperta a Teheran. Ottima mossa, anche perché l’Italia è il paese di quell’Enrico Mattei che con l’ENI ruppe il monopolio delle “sette sorelle” petrolifere aprendo all’Iran, e da quelle parti hanno la memoria buona. Il Medio Oriente del resto rappresenta, commercialmente, il nostro futuro ben più dell’asfittica area UE.

Per restare al caso dell’Iran, prima delle sanzioni l’interscambio con l’Italia ammontava a 7 miliardi di dollari di cui 5,5 erano importazioni di prodotti petroliferi e solo 1,5 nostre esportazioni. Dato lo sbilancio, c’era già un ampio margine da recuperare e ora, se l’Italia saprà dar seguito a questa prima mossa, ci sono le premesse per fornire alle nostre industrie asfissiate dalla crisi del mercato interno un’eccellente valvola di sfogo. Ma riusciremo ad arrivare prima dei concorrenti europei, o le nostre solite interminabili beghe su IMU e quote-latte ci faranno perdere l’occasione storica che abbiamo davanti?