Giunta Rossi: il nuovo che non avanza
“Dobbiamo cambiare tutto” proclama Ugo Rossi. Ma persone, idee, pratiche sono finora le solite. E ora arrivano le scelte decisive, su cui spingono i poteri forti: a iniziare da Isa/Albere e NOT.
Il passaggio chiave è nell’ultima pagina: “Una quota importante del nostro bilancio annuale non deriva dal gettito fiscale, ma da arretrati che non dureranno all’infinito - leggeva il neo presidente Ugo Rossi di fronte a una platea ormai insonnolita - Un simile quadro non può essere affrontato facendo un po’ meglio ciò che abbiamo sempre fatto. Quello che ci è richiesto è molto di più. È un cambiamento di paradigmi, di strategie, di strumenti e di regole del gioco” concludeva il governatore mentre in sala stampa si sbadigliava. E infatti nessuno poi citava il passo. A torto, perché è quello cruciale. Attenti, diceva infatti Rossi, con i conti che ci troviamo, dobbiamo cambiare tutto. Ma proprio tutto, non limitarci a qualche taglietto qui e là, secondo le ormai note spending review.
Ma la sala stampa al contempo aveva ragione. Perché il grido d’allarme del presidente veniva a pagina 22, dopo che per 21 pagine aveva promesso di tutto e di più. Ferrovie ma anche strade, meno tasse e più aiuti, più sostegno al turismo, alla cooperazione, alla scuola, agli immigrati, alla sanità, all’innovazione, alla cultura... E allora, a che gioco giochiamo?
In questa contraddizione sta a nostro avviso il dilemma in cui si trova la nuova Giunta provinciale. La situazione non permette il perdurare del sistema di potere dellaiano, una modernizzazione del vetusto clientelismo doroteo; e difatti lo stesso Rossi (peraltro rimbrottato dai dellaiani ufficiali dell’Upt e da quelli di complemento del Pd) in campagna per le primarie aveva osato parlare di una “necessaria discontinuità” da quel modello. Ma ora, alla prova dei fatti, sembra titubare; e il suo discorso lo fa preparare da due dorotei di vecchio stampo, l’ex dirigente Mauro Marcantoni, da decenni aduso alle stanze del potere provinciale, e il senatore Dc degli anni ‘80 (!) Giorgio Postal. Logico che con queste premesse il programma di governo, invece di proporre “cambiamenti di paradigmi”, ripresenti pari pari la gestione del potere degli anni della spesa facile.
Visone dorotea
D’altronde per alcuni versi la stessa composizione della Giunta riflette, più che una spinta al rinnovamento, un preoccupante perdurare della visione dorotea della gestione del potere e della clientela. Ci riferiamo in parte allo spezzettamento delle competenze, di cui si è flebilmente lamentato il segretario del Pd Italo Gilmozzi: la solidarietà sociale (alla Borgonovo) disgiunta dall’edilizia abitativa (andata a Daldoss); lo sviluppo economico (a Olivi) disgiunto dalla cooperazione (a Mellarini); l’università e ricerca (alla Ferrari) disgiunte dall’innovazione (allo stesso Rossi), dall’istruzione (ancora a Rossi, con la motivazione “non si può mettere un’insegnante - la Ferrari - a capo della scuola”) e dalla cultura (a Mellarini, che nella vita civile faceva l’usciere, profilo per la cultura evidentemente più qualificante di quello di insegnante e dirigente di biblioteca della Ferrari). Forse in questi scorpori di competenze, tutti a danno degli assessori targati Pd, si può leggere il disegno di tenere sotto controllo l’alleato più grosso; cose da vecchia politica, di certo non a favore dell’efficienza.
Ma c’è dell’altro. Ed è nei nominativi degli assessori. Anzitutto quelli dell’Upt, Gilmozzi e Mellarini, che sono sì i più votati della loro lista, ma anche i più usurati. Gilmozzi ha sulle spalle - anche se non in esclusiva - la responsabilità delle Comunità di Valle e del loro conclamato fallimento, e prima ancora una gestione distruttiva dell’Ambiente, con l’affossamento di ogni autonomia dell’Appa (Agenzia di Protezione dell’Ambiente), che con il suo assessorato ha smesso di fare controlli a sorpresa, per instaurare invece la vergognosa pratica della telefonata preventiva: “Domani arriviamo, datevi una regolata”. Peraltro a Gilmozzi va riconosciuto il merito, all’Urbanistica, di aver fermato la proliferazione delle seconde case, provvedimento tanto salutare quanto coraggioso; mentre del suo sodale Mellarini invece non è rinvenibile alcun provvedimento né coraggioso né significativo: la sua gestione di Agricoltura e Turismo è stata nulla. I due però hanno saputo coltivare le opportune clientele; e tanto per Rossi basta, che dopo dieci anni di non brillanti risultati li conferma ancora, invece di dare spazio ad altri, che dalla stessa Upt, avrebbero potuto portare un soffio di aria nuova.
L’immobiliarista all’Urbanistica
Altra scelta molto discutibile è l’assessore esterno, Carlo Daldoss, con competenze chiave, a iniziare da urbanistica ed enti locali, con la relativa riforma delle Comunità di Valle. Daldoss, chi è costui? Già sindaco di Vermiglio e presidente del Comprensorio Val di Sole, presiede anche il Gruppo di Azione Locale, organismo che gestisce i Fondi europei: e tali fondi sono puntualmente arrivati per la ristrutturazione del suo (delizioso) agritur. Ma è soprattutto un immobiliarista, in tale veste attivo in diverse operazioni in Val di Sole, talora congiuntamente al ben noto Giacomo Bezzi, oggi consigliere di Forza Italia. Sono senz’altro affari suoi; ma Rossi, che non voleva un’insegnante a capo dell’Istruzione, nomina invece un immobiliarista a capo dell’Urbanistica? Una volpe a guardia del pollaio?
La ratio di questa nomina risiede forse nelle primarie del centro-sinistra, il momento vero dell’investitura di Rossi, che battè il favorito Olivi per 137 voti di differenza, dei quali 161 a Vermiglio, feudo di Daldoss. Non vogliamo credere che questa sia la ragione di tale strana nomina, perché ogni portatore di un pacchetto di voti potrebbe avanzare pretese.
“Abbiate fiducia, Daldoss vi stupirà” va dicendo il presidente. Vedremo, di certo le premesse non sono incoraggianti.
Purtroppo altri segnali indicano un permanere della vecchia cultura; e dei vecchi uomini.
Dirigente generale della Provincia e geloso custode dei suoi conti e relativi arcani, è da anni Ivano Dalmonego, tenacemente mantenuto in carica attraverso continue proroghe da Dellai, nonostante dovesse, fin dal 2008, andare in pensione. Arrivata, finalmente, la pensione e l’avvicendamento, chi propone Rossi di nominare alla presidenza del nuovo Comitato per la Valutazione della spesa pubblica? Dalmonego. Di fronte all’opposizione di Donata Borgonovo che, sostenuta da Sara Ferrari, fa presente le esigenze di rinnovamento, Rossi in seconda battuta propone Gianfranco Cerea, insigne docente ad Economia, ma sempre presente da lustri in tutte le commissioni e consulenze provinciali.
Insomma, di “cambiamento di paradigmi” non si vede l’ombra: Rossi finora si è messo nella più totale continuità, nei metodi e negli uomini.
“Meglio con meno”: il nuovo slogan. In teoria.
Eppure i tempi urgono. Le delegazioni trentine a Roma si sono affannate per arginare l’ennesima erosione dei soldi dell’Autonomia. Non è ancora chiaro con quali risultati. Ma la dinamica di medio periodo è lapalissiana. I soldi sono sempre meno: a partire dal 2017 (quando finiranno gli arretrati che Roma ci sta pagando) saranno bruscamente ridimensionate, e le trattative in corso, basate sulla richiesta di avere trasferimenti di competenze invece di tagli, comporteranno comunque più spese (se per esempio si chiede la competenza della Giustizia, poi sono nuovi costi).
Di questo Rossi sembra, da tempo, consapevole; nostro parere, a differenza di Dellai, che invece continuava nella spesa allegra. Il passaggio della sua relazione riportato in apertura, è tutt’altro che rituale: “Non dimenticate che io sono quello che è andato a un’assemblea di artigiani edili a dire che il loro settore era troppo cresciuto, e che la Pat oltre un certo punto non può e non potrà andare” ci ha ricordato Rossi. Gliene diamo atto, e volentieri. Eppure ora, nel passaggio dalla teoria alla pratica, il presidente sembra incespicare, e ripercorrere le strade della tradizionale, dorotea gestione del potere.
“Ha ragione lui, non è possibile gestire il Trentino con molti meno soldi e le stesse idee - conferma Michele Andreaus, docente a Economia - Ma finora non vedo, oltre alle parole, segnali di cambiamento, a partire dagli uomini”.
C’è comunque la forza delle cose, che dovrebbe costringere a cambiare rotta rispetto alle larghe spese clientelari degli anni del dellaismo trionfante. C’è anche una Giunta che, almeno sulla carta, sembra meno appiattita sulla figura del presidente di quanto non fossero i subalterni assessori di Dellai.
“Fare meglio con meno è il nostro slogan, e su questo stiamo lavorando fin dalle prime riunioni - ci dice Donata Borgonovo Re, arrivata all’assessorato alla Sanità sull’onda di diecimila preferenze, molte delle quali in lei avevano individuato una voce indipendente, in grado, da Difensore Civico, di ribattere alle invadenze dell’onnipotente Dellai - Che nel programma di Rossi, con uno sguardo sui 5-10 anni ci stiano dentro progetti anche molto ambiziosi, il disegno largo su come vogliamo il Trentino, mantenendo il buono delle legislature scorse, anzi aumentandolo, ci sta. Poi abbiamo a che fare con una realtà ora anche molto rigida, e per passare dal sogno alla concretezza occorrono momenti intermedi. E il primo sarà la prossima giunta programmatica, per ragionare assieme, giunta e vertici, su scala delle priorità, dandoci metodo di lavoro, spending review, che prima che taglio sarà controllo dei costi e loro commisurazione agli obiettivi. E questa sarà la nostra fortuna, un’opportunità, perché saremo obbligati a lavorare meglio, senza abitudini e impigrimenti, che invece sono fatali quando non sei obbligato a fare scelte”.
I miracolati delle urne
E il Consiglio Provinciale? Il primo giorno della legislatura sembrava un giorno di festa. Per tanti c’era la compunzione verso l’istituzione, ma anche l’euforia per aver fatto Bingo, essere riusciti a salire su un comodo, elegante ascensore sociale.
“Mi son en contadin - diceva uno dei miracolati dalle urne a una dirigente provinciale - farò quel che podo”.
“No - ribatteva questa, gentile ma ferma - No. Lei adesso è un consigliere provinciale. Può, deve informarsi, studiare. Anche l’italiano”.
Auguri. Noi diamo per scontato che ci sarà una parte dell’aula a rimorchio. Ci sarà chi riesce, sui temi cruciali, a sospingere l’esecutivo?
Sentiamo un membro della maggioranza. “Con la riduzione delle risorse, noi ci troviamo di fronte a duri interrogativi: dare a chi ha già, oppure investire diversamente attraverso un ampliamento delle risorse umane, come nel ‘46 con il voto alle donne? - ci dice Mattia Civico del Pd - Se lo schema è che ci sono meno soldi e quindi questi andranno a meno persone, noi abbiamo una restrizione della comunità. L’altra strada invece è quella per esempio del reddito di garanzia associato a un lavoro per la comunità, in una logica non tanto di dare/avere, ma di appartenenza”.
E l’opposizione? Sentiamo i 5 Stelle: “Dati certi sul bilancio non ce ne sono. Il che è già grave - ci dicono Filippo Degasperi e Manuela Bottamedi - Dai comportamenti della giunta precedente non sembrava che ci dovessero essere contrazioni, ha allegramente ingessato i bilanci degli anni successivi, vedi Not, Muse, o il caso del tunnel del Brennero, di cui non sappiamo nemmeno se lo si deve finanziare. Il primo nostro impegno sarà fare luce sulla giungla delle società partecipate dalla Provincia, e tornare a farle fare l’ente pubblico, non l’investitore privato, concentrandosi su scuola, sanità e tutela dell’ambiente”.
La realtà (ISA e NOT) bussa alla porta
Mentre la nuova Giunta e il nuovo Consiglio cercano di chiarirsi le idee, la realtà inizia a bussare. Le intenzioni di Rossi, la capacità del Consiglio di essere stimolo e\o opposizione, stanno per misurarsi con i problemi lasciati aperti da Dellai.
Anzitutto le Albere. La grande speculazione organizzata in combutta tra il sindaco\governatore e i poteri forti della città, malamente arenata. Abbiamo visto nel numero scorso il pasticciaccio brutto della biblioteca, pezza messa da Pacher per mettere a frutto i 30 milioni graziosamente elargiti da Dellai alle Albere attraverso la costruzione\acquisto di un fantomatico Centro Congressi che non serve a nessuno. Pezza peggio del buco: la riconversione del Centro Congressi a biblioteca farà spendere una montagna di soldi per avere una cosa più piccola, poco funzionale, malissimo localizzata. Adesso all’Università si incomincia a capire che se nell’edificio raffazzonato ci staranno i 500.000 volumi, non ce ne potranno stare altri, cioè non ci sarà spazio per i nuovi acquisti. Andiamo bene.
“Ancora non abbiamo firmato niente - ci dice Sara Ferrari neo assessora all’Università - Bisognerà valutare con attenzione le varie opzioni”.
Non è finita. Accanto al Centro Congressi le Albere sta ultimando un albergo a quattro stelle, di cui ultimamente aveva trovato un acquirente. Che però, saputo della trasformazione del Centro in biblioteca universitaria, si è dileguato. E allora le Albere (o meglio, il suo principale azionista, l’onnipresente Isa, finanziaria della Curia) ha iniziato a bussare a Piazza Dante. Ipotizzando la trasformazione dell’hotel in studentato; e magari cercando di piazzare un lotto dei 300 appartamenti invenduti come residenza studentesca.
I soldi a Isa rischiano di non finire mai.
Ci sono poi altre partite. Il primo è il Not, il costosissimo Nuovo Ospedale da costruire non appena si è finito di ristrutturare il vecchio. Soldi per farlo non ce ne sono, e allora si è data vita al project financing, un meccanismo che, applicato alla sanità, ha già dato da altre parti (vedi Udine) risultati disastrosi, in pratica una privatizzazione della sanità, con tutto quello che - America docet - ne consegue. Lo schema messo a punto da Piazza Dante poi, consegnerebbe per 25 anni la sanità trentina nelle mani dell’impresa vincitrice, che deciderebbe lei non solo tutta la gestione del complesso, ma anche la sostituzione delle costosissime - e basilari - apparecchiature sanitarie. Una scelta demente.
L’iter è ora in fase di stallo in seguito a un ricorso alla giustizia amministrativa. Ma subito, in questi giorni, si è scatenata su L’Adige una campagna stampa, con una robusta serie di titoloni in prima pagina, tesa a denigrare il Santa Chiara testè ristrutturato. “‘Non è a norma’ Santa Chiara a fine corsa”. “Non è in regola con le norme antisismiche”. Una serie di allarmismi francamente ridicoli: un edificio appena ristrutturato non è a norma? Com’è possibile? Non sarebbe il caso di prendere a pedate l’assessore responsabile (che guarda caso è Rossi)? E poi, se a casa non hai l’impianto elettrico a posto, la butti giù? “Situazioni da terzo mondo, camere a sei posti” E allora? Si spende per il lusso? “Nel NOT camere singole” Appunto. “Ci sono i bagni in corridoio”. E altre amenità.
Proponiamo a Rossi, quando vuole contrattare i soldi con Roma, di invitare gli interlocutori statali a fare un giro al Santa Chiara e a dirgli che considera l’ospedale da buttare. La trattativa finirebbe subito, ma non nel senso che lui - e anche noi - auspichiamo. Insomma, permane la cultura dello spreco.
“È una scelta molto difficile da ripensare: nell’attuale Santa Chiara ci sono problemi di struttura, di sottoservizi non più adeguati - ci dice l’assessora Borgonovo - Se il progetto rimane, come credo, occorrerà accompagnarlo con una revisione di tutta l’organizzazione dei nostri servizi, dagli ospedali periferici,alla medicina territoriale. E in merito al project financing si dovrà rivedere il problema della governance dell’insieme, quale la parte del pubblico, quale del gestore.”