Abusi in Bellavista
A Nago il Comune ha autorizzato la costruzione di un condominio di lusso "dimenticando" varie sentenze che lo dichiarano per metà illegittimo.
La storia, almeno nella Busa, è piuttosto nota. Ma abbiamo deciso di proporla ai nostri lettori, con gli aggiornamenti più recenti, perché si inserisce di diritto in quella che potremmo chiamare la trilogia gardesana dell’allegro pianificatore urbanistico. E per pianificatore intendiamo ovviamente le amministrazioni comunali della zona.
Infatti tutti e tre i comuni che si affacciano sul lago, Riva, Arco e Nago-Torbole, qualunque sia il colore politico dell’amministrazione, sembrano muoversi con uno schema consolidato: forzare le leggi urbanistiche per venire incontro ai desiderata di grandi costruttori o investitori immobiliari.
Delle vicende immobiliari controverse che riguardano i Comuni di Riva e di Arco abbiamo ampiamente detto nel corso del 2023. Ora ci tocca chiudere il triplete con la storia dell’ecomostro di Nago. Che, tra tutte, è decisamente la più intricata.
Parte, non spaventatevi, dagli anni ’70, quando un vecchio bar che stava in via Bellavista, sulla meravigliosa costa a salire verso le Busatte, nel Comune di Nago, fu trasformato nell’hotel Panorama. Il nome diceva tutto: da quel punto della salita si gode una vista del Garda così ampia e piena che sembra di poter respirare tutto il lago.
A quel tempo - e vedete che il vizio non è solo bipartisan, ma anche antico - furono date delle concessioni edilizie che andavano ben oltre quello che le leggi urbanistiche consentivano. La norma generale avrebbe previsto un volume di circa 1500 metri cubi (ovvero 500 metri quadri di superficie), ma il permesso venne dato per fare più o meno il doppio.
Forse la cosa sarebbe scivolata via senza conseguenze, se il costruttore non si fosse preso anche una strisciolina di terreno dei vicini. I quali all’epoca si erano irritati moltissimo. Non solo per il loro terreno, ma anche perché la costruzione aveva tolto loro buona parte della vista del lago. E quindi, andando a controllare tutto puntigliosamente, avevano scoperto che le licenze edilizie erano fuori dai parametri di legge.
La prima causa in tribunale, per questa parte della vicenda, è del 1973. Causa infinita su cui è stata detta l’ultima parola solo nel 1996, con una sentenza che ha stabilito che l’edificio era in parte abusivo: dei quasi 3000 mc costruiti, solo la metà, 1570, erano autorizzabili secondo la legge e quindi legittimi. Il resto, disse la Corte d’appello di Venezia (in fase di revisione, ordinata dalla Cassazione; capite perché diciamo che la cosa è intricata?) erano costruzione abusiva e la stessa corte ordinava che venissero demoliti. Per dare forma e concretezza ai metri cubi abusivi, si sarebbe dovuto abbattere il secondo e ultimo piano dell’edificio, completamente illegittimo.
Ovvio che nessuno ha mai dato seguito a questa sentenza. Quando mai si abbatte qualcosa di già costruito in Italia?
Cosa fatta capo ha e a quel punto c’è una lunga litania di tentativi di accordo per i danni tra i vicini derubati di terreno e vista lago e i diversi proprietari dell’hotel che si succedono nel tempo. Ma un accordo definitivo non viene mai trovato, anche perché la proprietà dell’hotel a un certo punto comincia a passare più volte di mano e l’albergo stesso cade in disuso e rovina. Lo stallo rimane come una piaga mai sanata.
Facciamo un piccolo salto nel tempo e arriviamo al 2016, quando arriva un nuovo proprietario, la società 3V srl i cui amministratori sono Claudio Zanoni e Alberto Bortolotti, nomi parecchio noti nel panorama immobiliare della Busa.
I due immobiliaristi comprano un boccone molto succoso: non solo il vecchio hotel Panorama, ma anche il contiguo hotel Pineta del Lago, ugualmente chiuso e da rifare. Totale: due milioni e 800mila euro. Un vero regalo per una proprietà che all’origine era valutata circa 9 milioni di euro, ma che il fallimento del proprietario precedente aveva deprezzato.
Ma il Panorama deve avere un genius loci molto beffardo. Perché subito la 3V chiede una licenza edilizia per abbattere e ricostruire su quella splendida terrazza sul lago che era il Panorama.
Leggi provinciali alla mano la società dice: i metri cubi esistenti sono 3400 (nel tempo era stato perfino concesso qualche piccolo ampliamento) e su questi chiediamo gli aumenti di volume concessi dalle leggi provinciali relative a qualità energetica degli edifici e qualche altra cosetta.
Insomma, nel 2016 il Comune di Nago concede una licenza edilizia per costruire oltre 4000 metri cubi. Dimenticando che c’è una sentenza definitiva per la quale sarebbe obbligato a far abbattere metà dell’edificio.
I vicini di nuovo non ci stanno e vanno al Tar. Il quale, nel 2018, annulla la licenza edilizia e una successiva variante e torna a ribadire il concetto: del vecchio hotel Panorama solo una parte, 1570 mc, sono legittimi.
Il resto è abusivo. E come sappiamo, se demolisci una cosa abusiva, non la puoi ricostruire. Quindi del vecchio Panorama si possono ricostruire solo poco meno di 2000 mc di volume, che sono gli originali 1570 legittimi, con l’aggiunta percentuale dei volumi concessi come bonus edilizi. Circa 700 mq di superficie utile.
Facendo i conti in tasca ai costruttori, calcoliamo che l’operazione a quel punto sarebbe costata tra terreno e costruzione all’incirca 2 milioni e 800 mila euro (il valore d’acquisto va diviso spannometricamente a metà con l’attiguo hotel Pineta, ancora lì, pronto per il secondo giro di valzer. Il costo di costruzione di un edificio di lusso si aggirava allora sui 2mila euro al mq).
Ma il valore di vendita di appartamenti di lusso in quella posizione arriva serenamente sui 10mila euro al mq.
Però teniamoci cauti: facciamo che il prezzo di vendita fosse 7mila. Insomma, l’incasso prevedibile era di circa 5 milioni di euro. Soldi in tasca ai costruttori: 2 milioni e centomila euro. Potevano bastare? Noi e voi diremmo che sì, certo che bastano.
E invece non bastano. Perché nel 2019 viene richiesta dalla 3V e concessa dal Comune una nuova licenza edilizia, in sostituzione di quella annullata dal Tar, di nuovo per un volume totale di circa 4000 mc che diventano 1300 mq netti. Guadagno netto in tasca per i costruttori secondo i nostri conti: 5 milioni e 100 mila euro. Come se le sentenze di vari tribunali non esistessero.
Va detto che su questa operazione, fin dal 2016, avevano acceso un faro due consiglieri di minoranza in Comune, Johnny Perugini ed Eraldo Tonelli.
L’impari lotta
Eletti con una lista civica, Perugini e Tonelli non hanno mai mollato l’osso. Hanno fatto ripetute richieste di accesso agli atti, controlli e interrogazioni in consiglio comunale, richieste di verifica all’ufficio urbanistica della Provincia.
A loro dire tutto questo ha provocato un crescente clima di tensione e insofferenza tra maggioranza e minoranza del consiglio. E, dicono, anche un boicottaggio delle loro richieste. Tanto che a un certo punto devono rivolgersi al difensore civico per farsi dare una parte della documentazione (su quanto si fosse incattivito il clima tra i consiglieri di minoranza e la maggioranza, particolarmente con il sindaco, vi diciamo nell’articolo che segue).
Quando poi viene emessa l’ennesima licenza edilizia, nel 2019, Perugini e Tonelli decidono che non resta altro che rivolgersi alla magistratura e ad agosto presentano un dettagliatissimo esposto alla Procura di Rovereto. La quale ad ottobre 2020 ordina una perizia tecnica.
La perizia che arriva in Procura a gennaio 2021 è lampante: “Si può considerare legittimo - scrive il perito nelle sue conclusioni - solo quanto ammesso dalla sentenza 730 del 1996”. Ovvero sono legittimi solo i 1570 metri cubi determinati dalla Corte di Appello di Venezia. E solo su questi vanno calcolati i vari bonus edilizi che portano ad un massimo di poco meno di 2000 metri cubi ricostruibili, la metà di quanto approvato dal Comune di Nago nell’ultima licenza del 2019.
Ma i metri cubi di calce e mattoni, nel frattempo, erano stati tirati su, in base al progetto approvato dal Comune.
Va per la sua strada anche la Procura di Rovereto.
Che prima vorrebbe archiviare, ma Perugini e Tonelli si oppongono. Alla fine il pm chiede il rinvio a giudizio per sindaco, componenti della Commissione edilizia e responsabile dell’ufficio tecnico del Comune. Il gip fissa la prima udienza per giugno dello scorso anno.
E ora fate bene attenzione, perché il genius loci del Panorama colpisce nei modi più impensati.
Il Procuratore chiede di mettere sotto processo il sindaco di Nago, Gianni Morandi, e i membri della Commissione edilizia che ha dato l’ok al permesso di ricostruire l’ecomostro, per un reato oggi molto dibattuto: abuso d’ufficio.
Così, quando si arriva all’udienza davanti al gip, tutti sanno che quel reato traballa: il governo Meloni sta dicendo ai quattro venti che lo vuole abolire. Il giudice, in attesa delle decisioni romane, la rinvia una prima volta a novembre 2023 e poi di nuovo alla prossima primavera. Sapendo, con relativa certezza ormai, visto che il parlamento sta votando l’abolizione del reato, che tutto il processo cadrà perché l’abuso d’ufficio scompare.
L’ecomostro è ormai finito e gli appartamenti sono stati venduti a caro prezzo. Non sappiamo immaginare per quale strada si possa ora riparare a un abuso costruito in barba a più di una sentenza che lo condanna. Anche se, teoricamente, è sempre valido l’obbligo di far demolire le costruzioni abusive. Ma chi si farà avanti lancia in resta per farlo, considerato che chi ha comprato gli appartamenti l’ha fatto in buona fede e giuridicamente una cosa del genere porterebbe a un caos di ricorsi infiniti? Lo farà il Comune di Nago?
Voi che dite?
Se vi cadono le braccia possiamo capirlo.
Non c'è speranza
“Quando siamo entrati in consiglio comunale nel 2015 - esordisce Johnny Perugini, consigliere a Nago per la lista civica ‘Partecipiamo’ - probabilmente in Comune non si aspettavano che avremmo affrontato il nostro lavoro con grande precisione chiedendo sempre di vedere tutti i documenti relativi alle pratiche che arrivavano in consiglio”.
E questo stile di lavoro politico, Perugini e il suo compagno di lista Eraldo Tonelli, usano anche a partire dal 2016, quando cominciano ad occuparsi della prima licenza edilizia concessa per l’ecomostro (di cui vi abbiamo raccontato nelle pagine precedenti).
“Capitavano cose strane - continua Perugini - chiedevamo documentazione e non ci davano tutte le carte, altre secondo noi ce le nascondevano proprio, ce le facevano aspettare una vita. Abbiamo cominciato ad essere sospettosi e ci siamo rivolti più e più volte al Difensore civico, che ci ha sempre dato ragione, per ottenere la documentazione”.
Questo modus operandi, spiega Perugini, influenza tutta la loro attività consiliare e ben presto arrivano al muro contro muro con il sindaco e la maggioranza. Anche perché, guardando le carte, Perugini e Tonelli notano che “c’era mancanza di trasparenza e molte cose sembrava venissero fatte all’acqua di rose”.
Un clima che via via si incattivisce fino a quando, a partire dal 2018, il consiglio comunale di Nago affronta un atto molto importante, la variante urbanistica 13. Dentro ogni variante urbanistica, sempre e dappertutto, vengono stabilite regole che per qualcuno sono una mano santa e per altri uno svantaggio. Nella Busa, con i valori dell’immobiliare che girano, ogni piccolo comma può voler dire bei soldi.
“Il piano regolatore - spiega Perugini - ce lo hanno presentato cinque giorni prima del consiglio, nonostante noi avessimo chiesto più volte di avere informazioni per poterci preparare”.
Inoltre Perugini e Tonelli si ritrovano incompatibili (e quindi non possono né discutere, né votare in consiglio) perché nella variante da approvare ci sono due piccolissime proprietà delle rispettive famiglie sulle quali c’è un upgrade catastale. “C’era questo orto di mio padre che ho ritrovato catalogato come parcheggio pubblico. Ma ci stavano due macchine!”.
Sia Perugini che Tonelli sono così esclusi dal dibattito, ma la variante la controllano ugualmente, come semplici cittadini. E si rendono conto che sull’area dell’hotel Panorama sono state date indicazioni urbanistiche che di fatto sanavano l’abuso esistente. Trovano anche un’altra cosa: una norma tecnica che riguarda una casa della moglie del sindaco che favoriva la signora Morandi. Cosa per la quale il sindaco avrebbe dovuto eventualmente astenersi per incompatibilità. Depositano le loro osservazioni, ma ne parlano anche nelle loro pagine Facebook.
Apriti cielo. A marzo 2020 ricevono una lettera di 12 pagine dall’avvocato Natale Callipari, per conto del Comune, con la quale vengono accusati di ogni nefandezza. “Anomalo esercizio del diritto di accesso agli atti”, gli uffici sovraccaricati dalle loro richieste, c’è “turbamento dell’attività amministrativa”, lo fanno “per interessi personali”. E conclude dicendo che aspetta una risposta in base alla quale si deciderà se querelare i due per diffamazione. In realtà l’avvocato, per conto del sindaco, aveva già da tempo avviato una causa per diffamazione contro i due. Li accusa di diffamazione per aver insinuato nel post su Facebook che, sulla catalogazione urbanistica della casa della moglie, il sindaco aveva un interesse personale. E chiede mezzo milione di danni.
A settembre 2021 il giudice Dies del tribunale di Rovereto rispedisce la domanda al mittente: dice che i due hanno agito nel “corretto esercizio di critica politica”, considera la causa mossa dal sindaco “evidente manifestazione del diffuso malcostume di portare nelle aule di giustizia la comune e legittima, anche se aspra, lotta politica”. E condanna il sindaco a pagare dei danni morali ai due consiglieri, 5mila euro a testa. Non pago, il sindaco Morandi decide per l’appello. Che perde. I giudici d’appello danno di nuovo ragione a Perugini e Tonelli sul diritto di critica politica, però non confermano i danni morali. Sono un po’ più pazienti del giudice Dies di Rovereto nei confronti della lotta politica portata nei tribunali. Però affondano il coltello direttamente nella piaga: è ben vero, dicono i magistrati, che il sindaco non aveva il dovere legale di astenersi dal votare la variante nella quale la moglie otteneva un vantaggio perché la norma era generale. Ma gli ricordano pure che il Tar di Trento (e il Servizio autonomie locali della Provincia lo cita nei suoi pareri) reputa “necessario per partecipare al processo deliberativo l’assenza di situazioni idonee a determinare nell’amministratore una tensione tale da minarne la serenità d’animo. Il servizio ha sempre suggerito l’astensione in tutti i casi in cui il provvedimento possa portare all’amministratore una situazione di oggettivo vantaggio”. Come a dire: legale, ma inopportuno.
L’arma della querela
Abbiamo voluto raccontarvi questa sorta di spin-off della vicenda del Panorama perché non è l’unico caso, nella Busa, in cui lo strumento giudiziario viene usato, a sproposito come dice apertamente il giudice Dies, per bloccare chi solleva dubbi e si oppone politicamente alle scelte delle amministrazioni.
Sono cause che i promotori sanno benissimo che perderanno. Ma intanto la causa pendente è un freno, a volte perfino inconscio, sulle attività di chi si oppone.
È questo l’obiettivo, spesso raggiunto, di quelle che vengono definite cause SLAPP (acronimo per Strategic Lawsuit against Public Participation, cause strategiche contro la partecipazione pubblica).
Nella Busa le cause SLAPP di questi ultimi anni hanno un filo conduttore: si chiama Natale Callipari ed è l’avvocato veronese che ha brandito la spada giudiziaria contro chi si opponeva ai progetti dei suoi clienti.
Callipari è infatti l’avvocato di Gianni Morandi nella causa contro Perugini e Tonelli.
Ma è sempre lui, per conto degli immobiliaristi Hager e Signoretti, che cita in giudizio l’ex sindaco di Riva, Adalberto Mosaner, chiedendo 20 milioni di danni per il banale motivo che Mosaner si batteva in consiglio comunale contro il progetto dei suoi clienti sull’area Cattoi.
È sempre Callipari, a nome dei soliti Hager e Signoretti, che porta in giudizio il consigliere comunale PD di Riva Alessio Zanoni perché ha espresso su Facebook il suo parere politico sulle vicende dell’area Cattoi. Tutte cause perse. In ogni grado di giudizio provato.
Ma non è vincere in tribunale che interessa ai clienti dell’avvocato Callipari. È tenere sotto scacco chi si oppone ai loro progetti. E in parte ci riesce. Sicuramente nel caso dell’ex sindaco di Riva che, per via della causa, è stato costretto per legge ad astenersi completamente dal dibattito politico infuocato sulla questione Cattoi.
Queste cause puntano dritto al cuore della democrazia con il potere del denaro a disposizione di chi le promuove, disposto a spendere bei soldi solo per bloccare gli oppositori.
Nella lotta tra democrazia e denaro vince il denaro.
Quanto all’avvocato Natale Callipari, ci tocca qui ricordare ai nostri lettori che il suo nome esce più volte nell’ordinanza di rinvio a giudizio del processo “Perfido”. Lui non è indagato, ma lo sono alcune sue frequentazioni nella Busa. In particolare lo è quel Giulio Carini che i pubblici ministeri considerano l’anello di congiunzione tra il mondo criminale cresciuto sul porfido e la sfera della politica/affari provinciale.
Con Carini, Callipari va a cena, parla più o meno cripticamente di affari da fare, dell’influenza di Carini da utilizzare. Carini che aveva come “amicone” il presidente del tribunale di Trento Guglielmo Avolio, poi trasferito punitivamente dal CSM proprio per le sue frequentazioni troppo ambigue e la sua disponibilità, almeno a parole, ad “aiutare” gli amici.