Dopo Dellai, dopo Pacher
La rinuncia del vice-presidente, la sua beatificazione sulla stampa e il problema vero, una manifesta inettitudine alla leadership. Ma ora il PD - e il Trentino - possono affrontare i problemi veri.
Alberto Pacher? “Santo subito” ha commentato sulla rete il compagno di partito Roberto Pinter. Ironia velenosa ma perfettamente centrata: alla rinuncia del vicepresidente della Giunta a guidare la Provincia nel dopo-Dellai, i quotidiani hanno reagito strappandosi le vesti secondo il refrain Pacher nome forte, garante di equilibri e uomo simbolo. Il direttore Giovanetti intitolava su L’Adige “La fine di un partito” (il Pd, naturalmente) mentre la cronista politica Patruno (“in piena fibrillazione post-pacheriana”, come veniva sbeffeggiata il giorno seguente sul suo stesso giornale) vedeva, con l’abbandono di Sant’Alberto, spalancarsi le porte a tutte le possibilità e a tutti i nomi, compresi Diego Schelfi (addirittura!) e, previa fantasiosa modifica della legge elettorale, lo stesso Dellai (no, il quarto mandato no! Chiamate Renzi, per favore!).
Questi sperticati panegirici, quest’improvvisa centralità di una figura finora non certo decisiva, non solo ci sembrano fuori luogo, ma anche del tutto fuorvianti. Perché non si affronta la motivazione vera dell’abbandono di Pacher, che è seria ed onesta, mentre non lo sono le ragioni addotte da Pacher stesso (il Pd nazionale schiacciato a sinistra: ma - supposto che sia vero - che c’entra con le elezioni trentine?)
Pacher in realtà parla d’altro perché non se la sente di spiattellare la verità: il fallimento dei suoi quattro anni in Provincia. Non tanto da vice-presidente subalterno a Dellai, ma da assessore. Come titolare dell’Ambiente è stato insignificante nella gestione ordinaria e pessimo nei momenti di crisi (vedi acciaieria di Borgo) portando al discredito le istituzioni provinciali di controllo (in primis l’Agenzia di Protezione dell’Ambiente) di cui oggi non si fida più nessuno. Come assessore ai Trasporti ha oscillato da una parte tra il rigore nel risparmiare i centomila euro tagliando linee e corse degli autobus, dall’altra nelle spese faraoniche, multimiliardarie, di progetti dementi come Metroland: una schizofrenia inaccettabile. Come assessore ai Lavori Pubblici è stato talmente nullo da far rimpiangere il predecessore Grisenti, chiacchieratissimo ma ruvidamente efficiente, e da lasciare in mano l’assessorato al dirigente ing. De Col, peraltro impostogli, con atto d’imperio, da Dellai (che oltretutto lo ignorava, se una questione gli stava a cuore, telefonava lui, da Presidente, ai dirigenti, bypassando l’inutile assessore). Insomma, un disastro.
Alberto Pacher è una persona sensibile, che ha però evidenziato un’incapacità politica imbarazzante. E se non è riuscito a fare l’assessore, come può pensare di fare il presidente? Il quesito deve esserselo posto lui stesso. Ed ha dato la risposta giusta e, dicevamo, onesta: è meglio di no.
Queste valutazioni (e quanto siano diffuse lo ha dimostrato, nel suo piccolo, il clamoroso successo del nostro ultimo numero dedicato alla staffetta Dellai-Pacher, con un’irridente fotomontaggio in copertina) spiegano anche le altrimenti inaspettate reazioni al suo abbandono: il suo partito, il Pd, che incassa sereno, gli alleati invece delusi e stizziti.
Il fatto è che questi ultimi, in parte il Patt ma soprattutto l’Upt, non vedevano male un re travicello alla guida della Giunta, che avrebbe lasciato ampi margini di personale manovra ai propri assessori; per non parlare di Dellai, che pur dall’esterno, probabilmente da Roma, contava di continuare ad essere il Presidente de facto.
L’atteggiamento del Pd è probabilmente guidato dalle stesse ragioni: la rinuncia toglie dai piedi un proprio uomo candidato forte come gradimento degli alleati e degli elettori, ma Presidente debole; e invece permette al Pd di puntare ora su qualcuno che sappia essere Presidente a tutto tondo.
E, al di là degli interessi e dei giochi di partito e dei singoli, questo è quello che interessa al Trentino.
Ecco quindi aprirsi il tema delle primarie. Strettamente legato al profilo programmatico. Frase fatta, si può obiettare. E invece no: in questo momento il Trentino deve decidere come riassettarsi: come gestirsi avendo meno soldi a disposizione. Per questo tutte le politiche dorotee degli ultimi quarant’anni e il dellaismo degli ultimi quindici vanno profondamente rivisti e in parte rinnegati. È un’impostazione nuova della spesa pubblica, ma anche della società, che va ridisegnata. E non è detto che ci si debba perdere. Come illustriamo a pag. 26, il caso della Cantina LaVis è un esempio paradigmatico di spreco di denaro pubblico dagli effetti perversi: la politica si coltiva una realtà economica e la induce a condotte megalomani e controproducenti, la base sociale trangugia tutto, nella (illusoria) convinzione che solo l’acquiescenza porterà la salvezza economica. E di queste situazioni, con le conseguenti regressioni economiche e degradi sociali, il Trentino è pieno. Basti pensare, su scala ancor più grande all’intreccio politica-urbanistica-immobiliaristi-edilizia con i noti risultati, oggi drammatici sul fronte occupazionale.
Insomma, andare oltre il dellaismo oggi è vitale. La “discontinuità”, si dice nel lessico politico trentino.
Ma la storia e le cronache ci insegnano che il ceto politico sempre invoca, ma in realtà è allergico agli approfondimenti programmatici. Per rimanere in casa Pd, è facile ricordare quando, tempo fa, il segretario Nicoletti aveva indetto con mesi di anticipo una due giorni programmatica, ridotta poi a un pomeriggio di discorsetti rituali per mancanza assoluta di preparazione e di interesse (con qualcuno che anche sbertucciava Nicoletti: “ma guarda se deve farci perdere tempo con queste fesserie”).
È anche per questo che risultano preziose le primarie. Perché fanno dipendere l’investitura a candidato ufficiale, non dalla benevolenza e dagli accordi tra notabili, ma dalla capacità di coinvolgere e convincere i cittadini. E quindi spostano il centro della politica dalle dinamiche interne alla casta alle capacità propositive.
Per questo, rimosso l’ostacolo Pacher (non a caso bene accetto dalla casta) le primarie nel Pd e nel centrosinistra (risparmiamo qui al lettore l’uggioso dilemma tra primarie di partito o di coalizione) possono dispiegarsi mettendo al centro i temi veri. In fondo è stata la dinamica verificatasi a livello nazionale, di cui parliamo nell’editoriale a pag. 3.
Abbiamo posto questi interrogativi ad alcuni consiglieri provinciali: “Credo che dobbiamo contribuire tutti a disegnare il nuovo programma - ci dice il capogruppo Luca Zeni - Noi abbiamo disegnato in Consiglio un percorso nuovo: non approveremo una legge sul bilancio preconfezionata, della serie prendere o lasciare, cioè prendere. Ma daremo vita a un lavoro di analisi, il più condiviso e aperto possibile. Per discuterne le linee di fondo: dove tagliare, dove investire, come, perché, con quale disegno”.
“Sarà questo il primo passo per ridiscutere le priorità - conferma il consigliere Mattia Civico - E lo faremo assessore per assessore, entrando anche nei dettagli. Per evidenziare i problemi, condividere le decisioni”.
Poste queste basi, individuate opzioni e linee programmatiche, si potrebbe poi organizzare il confronto delle primarie. Se saranno rose fioriranno.