Pd, occasione mancata?
Il Pd sembra l’unico partito che alle elezioni del 24 febbraio stia arrivando in buona forma. Non invece la destra berlusconian-leghista che, dopo il fallimento governativo e morale, si riaggrega solo per disperazione; non il centro che in Monti ha trovato sì un leader, ma troppo repentinamente convertito dall’algido tecnicismo al politicantismo anche spudorato; non Grillo, persosi in deliri di onnipotenza; non la nuova sinistra di Ingroia, finora contemporaneamente troppo vecchia (gli antichi esausti partitini) e troppo nuova (troppo ridotto il tempo per aggregare nuove storie e nuove esperienze).
Bersani invece, con l’indubbio coraggio delle primarie per la leadership e di quelle, pur più pilotate, per i posti in lista, ha saputo mostrare di innovare, anche se fino a un certo punto, le stantie regole interne. Ai nostri occhi - ma forse anche a quelli dell’elettorato, che ha subito risposto con un’impennata dei sondaggi - il merito maggiore comunque è stato un altro: aver aperto una larga discussione su posizionamento politico e programmi del partito. Tra Bersani e Renzi si è discusso non solo di rottamazione, ma soprattutto del programma socio-economico: l’economia, la società, il lavoro come li intende il tardo liberista prof. Iachino o come li declina il puntuto socialdemocratico Fassina? Il voto ha indicato una scelta decisa. Sarà da vedersi se poi, nel concreto delle non facile scelte di governo, si riuscirà ad essere coerenti ed efficaci, su temi non semplici come tasse, lavoro, pensioni, diritti civili, fiscal compact, politica economica europea (Merkel o Hollande? Hollande, certo, ma non basteranno le chiacchere). Eppure l’asse politico appare segnato.
--
Non così nel Pd trentino. Dove c’è stata la penosa storia delle candidature calate da Roma, a vanificare l’altrimenti bell’esito delle primarie. Ma dove soprattutto c’è una perdurante incertezza di fondo, come si arriva al prossimo rilevante appuntamento, probabilmente storico per il Trentino, il dopo Dellai. C’era tutto il tempo per costruire una discussione, meglio se non solo interna, sull’eredità di quell’esperienza. E su come andare oltre, non solo oltre i danni del leaderismo e del debordare dell’uomo solo al comando, ma reimpostando tutta una serie di politiche, dalla finanza (e debito!) pubblici, alla tutela dell’ambiente, allo spreco miliardario ritenuto volano dell’economia, alla meritocrazia negli incarichi pubblici e para pubblici, all’autonomia delle agenzie a iniziare da quelle di controllo come della scuola e della stessa Università, a un decentramento che non si infili nel buco burocratico delle Comunità di valle.
I temi sarebbero tanti e decisivi. Sarebbero. Perché di questo, del merito delle cose, il Pd non discute. Si è diviso in dellaiani e antidellaiani, fatto forse ineluttabile; ma la frattura non riguarda i contenuti (magari!) bensì le persone. Dando luogo a una serie di conflitti interni di posizione (lo si è visto anche sulle candidature, e ancor più sulle alleanze elettorali), che tendono a prescindere dalla realtà esterna.
Talora anche dalla realtà tout court. È il caso degli ultimi, incredibili sommovimenti con l’ala dellaiana protesa a riproporre come candidato presidente Alberto Pacher.
Pacher??? Possibile? Non dovrebbe essere possibile. Perché l’uomo ha appena solennissimamente dichiarato il contrario (ma in politica, vedi mille altri casi, ultimo l’ex uomo-tutto-di-un-pezzo Mario Monti, le assicurazioni contano zero); perché ha inanellato quattro disastrosi anni da assessore inesistente; perché è ammalato, seriamente ammalato. Una ragione più grave dell’altra. Il solo fatto che si continui a proporre una persona del tutto inadatta, indica il degrado cui, anche in Trentino, è arrivata la vita politica.
Eppure il rimedio ci sarebbe. Un dibattito aperto, franco, anche brutale. Sulle politiche e sugli uomini. Sulla realtà del Trentino, non sulle convenienze politiche. Allora le cordate, i tatticismi, le meschine alleanze dentro la piccola casta, sarebbero spazzate via.
Ma in pochi vogliono questo. Soprattutto chi briga per avere un Re Travicello.
Siamo al solito conflitto: tra la politica come trama da una parte, come confronto di idee dall’altra. Non è cosa che riguardi solo il Pd. Per questo bisognerà vigilare.