Comunità di valle: perché no
In vista del referendum sulle Comunità di Valle, alla Provincia e al PD “piace vincere facile”, come recita una nota pubblicità. E così, anziché approfittare dell’occasione referendaria per sentire cosa il popolo sovrano pensa delle Comunità di valle, si vuole vincere utilizzando un doppio trucco, tanto funzionale quanto poco trasparente e per nulla democratico.
Il presidente Dellai fissa la data del referendum al 29 aprile, durante il ponte del primo maggio e il PD fa come se il referendum non esistesse. Trucchetti di chi ha la coda di paglia, ben sapendo che se andasse a votare il 50% della popolazione le Comunità di Valle sparirebbero dal panorama istituzionale.
Passi per la posizione di Dellai: lo stesso trucchetto lo aveva già utilizzato per affossare il referendum che avrebbe impedito alla Provincia di finanziare le scuole cattoliche. Ma la posizione del Partito Democratico è inaccettabile, perché incentiva la disaffezione al voto e perché, se si crede nelle Comunità, va incentivato il voto convincendo i cittadini della bontà della proposta. Il PD è invece consapevole che i trentini sono contrari alla Comunità, ma siccome sbagliano è bene non farli votare: centralismo decisionista e paternalismo che non fanno onore al primo partito del Trentino e al suo segretario, il quale dichiara che andrà a votare, ma permette al suo partito di non fare propaganda sostenendo, di fatto, l’astensione. La stessa ambiguità manifestata nel votare per Malossini alla presidenza della Commissione dei 12 in quanto professore, pur essendo contrario come politico. E poi il PD si interroga sul perché i suoi candidati perdano regolarmente le primarie!
Tornando al tema delle Comunità, penso si tratti di un ente intermedio che non funzionerà, ma voluto e mantenuto con un duplice scopo:
1) aumentare il personale politico, oltre che la spesa pubblica improduttiva, in una provincia già inflazionata di enti pubblici (ASUC, Magnifiche Comunità, Regole, BIM, Circoscrizioni, Comuni, Comunità di Valle, Provincia, Regione, Stato e Comunità Europea);
2) controllare il consenso attraverso le istituzioni per mezzo dei continui contributi e spese in progetti discutibili.
Si dice che se sparissero le Comunità di Valle resterebbe il problema della eccessiva frammentazione dei Comuni trentini; ma non si è mai vista una semplificazione del quadro istituzionale dove, anziché creare le condizioni di un’aggregazione tra Comuni, si dà vita a nuovi enti che si aggiungono al già citato quadro istituzionale. Il quale certamente rappresenta la ricchezza e la democrazia della nostra Autonomia ma che, nella gestione efficiente e moderna dei servizi per i cittadini, ne rappresenta anche limiti e criticità.
Il quadro istituzionale va riformato o abolendo i Comuni piccoli o trovando la sintesi tra “il campanile” (il senso positivo di appartenenza a una Comunità) e “il campanilismo” (la dimensione negativa del principio di cui sopra), per cui tutti i Comuni devono avere la scuola, la piscina, il campo da calcio, l’ufficio tecnico, l’ufficio paghe e i vigili. Gli strumenti ci sarebbero senza inventarne di nuovi: Conferenza dei sindaci per gestire i servizi intercomunali (acqua, rifiuti, uffici tecnici, personale) e/o l’ Unione dei Comuni (come in Val di Ledro), qualora ce ne fossero le condizioni.
Anziché utilizzare gli strumenti in essere si inventano nuove entità e così sono passati 5 anni dalla legge istitutiva delle Comunità di Valle (all’epoca definita indifferibile e urgente!), ma ancora non si è risolto il problema. I Comuni ci sono praticamente tutti e la Provincia mantiene competenze e personale, mentre le Comunità di Valle sono inutili o devono essere messe in grado di funzionare: il come non lo dice nessuno, tantomeno quei politici che dovrebbero farle operare.
Il referendum è strumentale ai giochi politici (della Lega, per la precisione), ma quando si va su temi concreti a noi cittadini quello che deve interessare è il merito degli stessi, non la maggior o minor vicinanza politica con chi li agita. Nei referendum sta a noi, con il nostro voto, risolvere i problemi concreti, decidendo, con il voto, del nostro futuro. Lo si è già fatto con molti altri referendum (dal divorzio al nucleare) e possiamo farlo anche questa volta facendo capire che le Comunità di valle non le vogliamo e che sostenere o agevolare l’astensionismo è frutto di un vecchio paternalismo e di una vecchia pessima politica che si richiama al popolo sovrano solo quando fa comodo.