Un destino al ribasso
La triste situazione contrattuale degli assistenti educatori, campioni del precariato
Nel marzo del 2003, Questotrentino pubblicò una lettera firmata da alcuni dirigenti di istituiti comprensivi trentini, nella quale si parlava del ruolo degli assistenti educatori all’interno dell’istituzione scolastica e della loro dequalificazione.
Giusto per rinfrescare la memoria, vale la pena di riprenderne alcuni contenuti. L’assistente educatore si inserisce all’interno del servizio scolastico affiancando gli insegnanti di classe e di sostegno nelle attività a supporto dell’integrazione scolastica di bambini con handicap o con disagio. Si tratta di una figura che, in collaborazione con gli insegnanti e con gli esperti (come lo psicologo o il logopedista), costruisce e mette in pratica un progetto educativo individualizzato. La situazione nella scuola pubblica è tale per cui, nei fatti, gli assistenti educatori si sono trovati a svolgere mansioni a tratti simili, o complementari, a quelle degli insegnanti di classe. Eppure essi hanno un altro ruolo, un altro orario e, soprattutto, un altro contratto.
Proprio quest’ultimo aspetto sta assumendo contorni foschi.
A suo tempo, i dirigenti proponevano che la Provincia esaminasse ed eventualmente valorizzasse i titoli di studio ed i crediti formativi (spesso corposi) e le competenze professionali di queste figure, consentendo un’ulteriore qualifica attraverso corsi di formazione e definendo, finalmente, un profilo professionale univoco e riconosciuto.
Questo non è successo. Ed oggi, piuttosto, quello riguardante gli assistenti educatori in Trentino è il tipico esempio di un provvedimento con intento positivo che si trasforma in una graticola per i lavoratori.
Nel 2007, infatti, la legge finanziaria dell’allora governo Prodi introdusse una norma che imponeva ai datori di lavoro una scelta: stabilizzare il personale assunto da più di tre anni con contratti precari, oppure cessare i contratti stessi. Inutile specificare dove sia andata a pendere, tra conferma e cessazione, la bilancia. In tal modo i lavoratori - e in questo caso gli assistenti educatori - si sono ritrovati a lavorare anno per anno, guardando ad un futuro totalmente precario e privo di prospettiva.
Meglio un contratto che un matrimonio
Del resto, i dirigenti scolastici devono definire, ad agosto, un budget che varrà poi da settembre a giugno dell’anno successivo: è inevitabile, quindi, che vengano proposti contratti a tempo determinato. Non è difficile da capire: meglio avere un contratto in scadenza che un matrimonio senza fine. Ma la situazione, in tal modo, diventa paradossale: la figura professionale che si occupa di disagio (l’assistente educatore) vive nel disagio. E non può dare le garanzie di continuità che il suo compito richiede.
Gli assistenti educatori che operano nelle scuole trentine sono assunti da associazioni e cooperative, come l’Anffas (Associazione Famiglie di Persone con Disabilità Intellettiva e/o Relazionale) e la CS4 (Cooperativa Solidarietà Sicurezza Sociale Servizi). Ancora una volta, spunta l’ombra opaca ed equivoca delle esternalizzazioni che, specialmente nel settore della scuola, la Provincia di Trento mette sistematicamente in atto. Il meccanismo delle esternalizzazioni consente alla Provincia di ottenere contemporaneamente, ed in modo discutibile (se non altro da un punto di vista etico-morale), due vantaggi. Anzitutto, l’affidamento di incarichi e servizi all’esterno dà la possibilità di costruire e alimentare una rete strategica di rapporti con gruppi di potenziali elettori (i destinatari dell’affidamento stesso). In secondo luogo, permette di evitare, destinandoli ad altri, i problemi economici, di gestione, di garanzia legati al servizio. In altre parole, attraverso l’esternalizzazione la Provincia può ottenere prestazioni a basso prezzo e a cuor leggero, lasciando che a grattarsi la rogna della borsa scarsa siano altri; tenuti, d’altronde, a garantire il servizio ad ogni costo.
Succede così che gli affidatari dei servizi finiscano per fare i conti con le difficoltà del caso. Emblematico è l’esempio dell’Anffas, già nelle grazie (purtroppo passate) di Lorenzo Dellai, la cui amministrazione si è improvvisamente resa conto di essere in difetto di più di 900.000 euro, ed ora sta limando qua e là per sbarcare il lunario. Il grosso del risparmio, evidentemente, è fatto con il taglio degli stipendi; non intervenendo “al ribasso” sui neoassunti, cosa già deplorevole, bensì giocando sui contratti già esistenti. E senza che venga posto un limite inferiore.
È il gioco proposto dal discutibile articolo 8 dell’ex ministro Sacconi, contestato dalla sola CGIL, per il quale è possibile derogare in peggio i contratti nazionali (su questo esiste, comunque, un accordo tra sindacati e Confindustria a non utilizzarlo in tal senso). Una delle strade che l’Anffas può imboccare, ora come ora, è proprio quella di dare disdetta del contratto provinciale e rifarsi al contratto nazionale. Non sarebbe la prima volta che ciò succede: ma sarebbe la prima in cui si verificherebbe, probabilmente, un intaccamento dei diritti acquisiti. Il che esporrebbe, chiaramente, al forte rischio di ricorsi individuali. Da ciò nasce l’esigenza (così sentita) di un accordo sindacale; per questa ragione, probabilmente, l’Anffas ha coinvolto al tavolo della trattativa, ormai a cose fatte, il sindacato, quasi a legittimare la logica del ribasso con un accordo postumo.
Benzina sul fuoco della fragile posizione di chi lavora con contratti “a sentimento”, come, appunto, gli assistenti educatori. Per i quali, come si diceva, non esiste neppure un contratto unico e paragonabile a quello degli insegnanti di ruolo. Basti pensare che, al lordo, tra un educatore Anffas e uno assunto dalle cooperative c’è una differenza in busta paga di circa 200 euro; che è la stessa che c’è, del resto, tra i contratti delle cooperative provinciali e quelli delle nazionali.
L’idea del contratto unico per la categoria non è particolarmente originale o complessa, e permetterebbe di risolvere alcune magagne. Tuttavia, nonostante abbia detto più volte che bisognerebbe agire in questo senso, l’assessore alla Salute e alle Politiche sociali Ugo Rossi non ha mai dato seguito alle parole e, per il momento, si è limitato ad osservare la situazione con distacco.
Nel frattempo, un numero consistente di lavoratori si ritrova nell’incertezza di contratti che durano qualche mese. La sicurezza dei finanziamenti ed un contratto unico renderebbero tutto più facile: ma queste garanzie sono lontane. Ed il destino dell’assistente educatore, artefice di un lavoro prezioso e delicato ma contemporaneamente emblema del precariato, è legato alle gare d’appalto. È, cioè, un destino al ribasso.