Cosa fanno gli assistenti educatori
E perchè la Provincia li vuole dequalificare?
Un gruppo di dirigenti scolastici e responsabili Area handicap di istituti scolastici della Provincia ha esaminato la recente normativa che vorrebbe inquadrare gli Assistenti educatori di recente trasferiti dal Comprensorio al Servizio Istruzione fra il personale A.T.A. (amministrativi, tecnici, ausiliari ). La scelta operata dall’Assessorato all’Istruzione non è condivisibile, perché disconosce la funzione e il profilo professionale di questi operatori scolastici, oltre che le ragioni della pedagogia. Infatti gli assistenti educatori (non tutti, ma la maggior parte di essi) da molti anni lavorano con mansioni parallele e complementari a quelle degli insegnanti, pur in una diversa collocazione di ruolo professionale, di carico orario e di trattamento economico.
Sono paralleli agli insegnanti laddove per molti bambini e ragazzi in difficoltà hanno in carico il percorso di costruzione di autonomie rispetto all’attività scolastica, che è contesto di apprendimento di comportamenti sociali. Lo sono forse impropriamente, ma di fatto, richiesti di esserlo dalle stesse scuole che di loro hanno avuto bisogno per risolvere le crescenti necessità di sostegno a bambini e ragazzi con bisogni speciali di ogni genere. Nelle nostre realtà scolastiche, e in carenza di personale di sostegno, sono da sempre responsabili di curricoli di insegnamento adattato e di percorsi particolari di esercitazione e rinforzo della scrittura. Insegnano la lettura e la matematica di base a quegli alunni che possono aumentare le proprie capacità di comunicare, di comprendere, di padroneggiare alcune forme di calcolo solo attraverso un percorso concreto, legato alle funzioni e ai compiti della vita quotidiana. Sono più spesso impegnati nella gestione di laboratori di apprendimento attraverso la manipolazione, le attività espressive (disegno, plastica, cucina...) e il fare concreto (falegnameria, rilegatura, cucina, orticoltura).
Sempre all’interno della gestione dei curricoli di autonomia e secondo la loro funzione (cruciale) di sostegno emotivo agli allievi nella scelta e nei momenti di passaggio, accompagnano nei Progetti Ponte per il passaggio alla Formazione professionale; accompagnano a esperienze negli istituti superiori gli alunni che hanno bisogno di un inserimento personalizzato. Normalmente sono titolari della ideazione e programmazione didattica del proprio lavoro; della sua attuazione in classe; della valutazione e della compilazione dei giudizi quadrimestrali e finali; seguono gli alunni a loro affidati fino agli esami di licenza elementare e media.
Sono inoltre complementari agli insegnanti. Sia perché coprono da soli quell’ampia parte di orario nella quale gli insegnanti non avrebbero disponibilità a seguire alunni bisognosi di accudimento e di contenimento continuo; sia perché lavorano in tandem con i docenti curricolari e i colleghi del sostegno su alunni che richiedono percorsi esercitativi o interventi sussidiari molto specifici per poter procedere nel percorso di apprendimento; sia perché addetti ai corpi dei bambini e ragazzi gravissimi che devono nutrire, pulire quando si sporcano, stimolare con modalità e tecniche mirate al modellamento della sensibilità sensoriale, delle risposte agli stimoli e così via; con tutto il corollario di delicate attenzioni necessarie quando si entra in contatto con l’intimità, il pudore e la dignità di persone handicappate che spesso capiscono bene quel che sta loro accadendo intorno (un compito che chiede perizia e alta competenza educativa).
Accudire un corpo è in-segnare la persona e quindi creare apprendimento C’è, nella scelta di costringerli fra il personale A.T.A. (come se fossero addetti alle funzioni di organizzazione e manutenzione della ‘struttura scuola’) anche un grave fraintendimento pedagogico. Si crede infatti che il loro ruolo non implichi un’attività di insegnamento, ma si mantenga nel fare assistenza alla struttura corpo dei bambini loro affidati. E’ tuttavia risaputo che sviluppare le autonomie del fare e del vivere quotidiano appartiene all’attività di insegnare. Mente e corpo non sono staccati; chi accudisce, lenisce e stimola il corpo di un bambino (spesso la sua unica parte funzionante) sta occupandosi anche della mente della persona cui esso appartiene. Chiunque conosca il lavoro con gli handicappati a scuola sa che solo attraverso l’accudimento fisico, la manipolazione, la nutrizione, la modulazione della voce, l’alternanza di suoni e di silenzio o di luminosità e penombra si possono trasmettere a certi ragazzi in gravi condizioni una sensazione, un messaggio, uno stimolo sensoriale. Solo così si offre loro una condizione di benessere che è diritto di ogni persona vivente e si umanizza la loro giornata.
Attraverso gli stimoli ricevuti dall’assistente educatore, giorno dopo giorno, anche un bambino gravissimo si costruisce una sua vita personale e, in-segnato da un’esperienza, viene aiutato a crescere. Dunque, l’azione dell’Assistente educatore produce apprendimento: apprendimento non è solo sviluppare percorsi di Storia, informatica o Inglese.
Disconoscere o interpretare riduttivamente la professionalità e la funzione degli Assistenti educatori potrebbe rivelarsi una notevole perdita per un sistema di istruzione che cerchi di rispondere ai bisogni di crescita culturale e umana della propria comunità con un utilizzo intelligente delle risorse.
In alternativa a una scelta sbagliata (e umiliante per la maggior parte degli Assistenti educatori oggi in servizio, formatisi attraverso anni di esperienza, spesso in possesso di crediti formativi di ottimo livello) proponiamo alla PAT di sistemare questo personale (un numero chiuso, ad esaurimento, ma destinato a restare in servizio ancora per molti anni) con alcuni accorgimenti.
Proponiamo anzitutto che la PAT non consideri gli attuali Assistenti educatori come un insieme unico e omogeneo, ma individui quanti di loro hanno svolto mansioni parallele e complementari ai docenti, distinguendoli da chi ha offerto esclusivamente prestazioni assistenziali. Quindi esamini, valuti e valorizzi, riconoscendoli come crediti, i titoli di studio di partenza e acquisiti e le competenze professionali di questo personale. Ri/qualifichi poi con appositi corsi di formazione (come venne fatto per il personale dei C.F.P.) quella parte di Assistenti educatori disponibili ad un salto di qualità. Il curricolo di tali corsi dovrebbe essere studiato per valorizzare la specificità del ruolo complementare di questi operatori nell’intervento sulle disabilità all’interno del team di classe. Infine definisca un profilo professionale in cui sia riconosciuta la specificità di questo ruolo complementare. Ruolo a cui sia associato, come proprio e specifico, il compito di sviluppare le autonomie personali e sociali interagendo in gran parte con la fisicità dell’alunno handicappato e partecipando comunque in modo profondo alla costruzione della sua identità.
Così, forse, non solo sarebbe evitata una grave ingiustizia e una dispersione di professionalità; ma verrebbe rinforzato il sistema di risorse a disposizione degli istituti per dare risposta ai bisogni dei molti ragazzi gravi, risposta ancora spesso affidata al caso.
S. Casetti, dirig. scol. ‘TN 2’, G. Poletti, dirig. scol. ‘Chiese’, G. Marchesoni, dirig. scol. ‘Rovereto Centro’, C. Tirino, dirig. scol. ‘TN 6’, G. Magalotti, dirig. scol. ‘Cavalese’, A. Biamonte, dirig. scol. ‘TN 3’, L. Prada, dirig. scol. ‘TN VI’, P. Goffo, dirig. scol. ‘TN II’, G. Chemini, dirig. scol. ‘Pergine 2’, F. Vadagnini, dirig. scol. ‘TN 5’, E. Brighenti, resp. Area handicap ‘Pergine 2’, M. Antoniolli, resp. Area Handicap S. E. Cognola, R. Fanini, dirig. scol. Brentonico, A. Trenti, d. s. Riva 2