Le grandi vie della civiltà
Agli albori del mondo globale
È a suo modo illuminante il parere espresso da Cicerone sul commercio, intorno al 45 a.C.: “Il commercio, se è piccolo, è da considerarsi poco decoroso; se, invece, è grande e abbondante e importa molte merci da ogni dove e le distribuisce a molti, senza ricorrere alla frode, non è affatto da biasimare”. Guardando le cose dal centro di un mondo romano che ha ormai largamente sottomesso il bacino del Mediterraneo (Cartagine fu distrutta nel 146 a.C.) e conquistato la Gallia, l’apparente schizofrenia di Cicerone non è affatto strana: è la constatazione del fatto che la potenza di Roma è la capacità di avvalersi e di far funzionare un enorme sistema di traffici. Una rete di scambi che era andata formandosi tra i popoli ben prima della formidabile rete viaria romana, in un arco di tempo plurimillenario, avendo come strade privilegiate il mare e i fiumi.
Dall’epoca della “rivoluzione neolitica”, cioè da quando la domesticazione degli animali e la coltivazione della terra resero alla lunga possibile accumulare più di quello che si consumava, sul legno delle imbarcazioni e le some degli animali cominciarono a circolare dei beni, ma anche cose che andavano al di là degli oggetti scambiati: innovazioni, scoperte, gusti e stili di vita, idee. Insomma: cultura. E talvolta si trapiantavano uomini con tutti loro saperi.
Di fronte alla complessità di questo processo, del quale si sono scoperti fili e gangli cruciali ma che costituisce per molti aspetti una sfida ancora aperta per gli archeologi, la mostra “Le grandi vie delle civiltà: relazioni e scambi fra il Mediterraneo e il centro Europa dalla preistoria alla romanità” (Castello del Buonconsiglio, fino al 13 novembre) suddivide una materia fin troppo vasta in alcune aree tematiche, ognuna delle quali potrebbe costituire il nucleo di una mostra a sé stante.
Tra gli “Strumenti del viaggio” è esposta la ruota più antica finora ritrovata in Europa centrale (3200 a.C., a Zurigo), in un unico pezzo di acero, sorprendente sopravvivenza se si pensa che tutti gli altri reperti qui esposti in metallo legati ai viaggi via terra sono più recenti, soprattutto morsi e finimenti per cavallo e per carro che attraversano l’età del Bronzo e del Ferro fino all’epoca romana matura, cui appartiene, ad esempio, l’ipposandalo (a Torcegno), sorta di rampone per equini adatto al terreno anche gelato della montagna.
Sul versante della navigazione colpiscono le ancore sia in pietra che in piombo del V e IV sec. a.C., anche per le parole beneauguranti che vi sono scritte: “sotìra” (salvezza). Oppure il rostro, terribile innovazione nella tecnica di guerra navale, fatale ai Cartaginesi; e le anfore, diffusissimo e fondamentale contenitore per il trasporto via mare di olio, vino, olive, salse di pesce. Sono solo alcuni esempi per dire del vivo interesse che suscitano molti dei reperti in mostra.
Tuttavia, questa e le successive due sezioni dedicate alle “Materie scambiate” e al “Lungo viaggio delle invenzioni”, potenzialmente tra le più stimolanti del percorso - dense come sono di interrogativi legati alla cultura materiale - mancano a mio parere di qualcosa di importante sul piano dell’efficacia didattica. Da un lato non si capisce perché a fronte del grande lavoro scientifico condensato nel catalogo (con l’apporto di decine di studiosi in vari ambiti archeologici), in cui si svolge un’analisi quanto più possibile approfondita e aggiornata di flussi fondamentali di materiali e tecniche (le conchiglie, la selce, l’ossidiana, le pietre levigate, l’ambra, il rame, lo stagno, il sale, la ceramica, i cibi, le misure, la moneta, la scrittura), non compaiano al contrario sul versante espositivo almeno le più importanti di queste mappe tematiche, capaci di trasmettere anche visivamente le coordinate spazio temporali di determinati flussi di materie e di saperi.
D’altra parte, perché non applicare più estesamente lo strumento della ricostruzione ambientale (come è stato fatto nel solo caso dell’emporio, il mercato che va affermandosi dal VII sec. a.C.) e ancor più dei procedimenti legati a tecniche di produzione cruciali come quelle della metallurgia e della ceramica?
Un’ ampia sezione è dedicata a quel fenomeno di diffusione di oggetti di prestigio (non solo armi ma oggetti da simposio e ornamenti personali) tra i prìncipi dei diversi popoli del Mediterraneo e dell’Europa centrale che affonda lontane radici nell’epoca della civiltà micenea (cui si riferisce Omero nell’Iliade) e procede per vie anche diverse dal commercio vero e proprio (doni tra capi e matrimoni “diplomatici”, bottini di guerra). Dall’VIII sec. a.C. diventa un fenomeno diffuso sia in Italia che a nord delle Alpi, come attestano i corredi delle sepolture, in cui coesistono oggetti di diversa provenienza, fenicia, etrusca, greca, celtica, a conferma del crogiuolo di flussi non solo economici ma culturali e “ideologici”che accomunano le aristocrazie del mare e del continente ben prima dell’avvento del “mondo globale” romano.
Più di queste insegne del potere, però, restano impressi tutti quei piccoli oggetti di denso valore simbolico, per lo più legati alla sfera del sacro, di raffinata semplicità estetica e preziosità materica, disposti nelle sale finali del percorso, che parlano, specie i più antichi, di un diffuso e persistente culto della femminilità, del disco solare, o restano avvolti in un alone di mistero, come le “corna” di ceramica trovate in Baviera, risalenti a mille anni prima di Cristo.