America, democrazia malata?
Michele Guarda, sul n. 7 del 5 aprile di QT (Dio ci salvi l’America (nonostante Bush)), mi attribuisce di avere "lasciato intendere" nell’editoriale del numero precedente (Dio ci liberi da Bush) "che gli Usa sono una democrazia malata". Io una tale affermazione non l’avevo fatta. Avevo soltanto sottolineato le dubbie qualità del candidato eletto (Bush) e la striminzita base di consensi elettorali che aveva raccolto: poco più di un sesto degli elettori. Michele mi smentisce adducendo che "l’affluenza alle urne fu del 51,2 per cento", ma tale percentuale si riferisce agli elettori iscritti, non alla popolazione adulta avente diritto al voto residente nella Federazione.
Infatti, a differenza che da noi, negli Stati Uniti i cittadini maggiorenni che hanno diritto di voto per esercitarlo devono iscriversi spontaneamente nelle liste elettorali. Il 51,2 per cento citato da Michele è commisurato al numero di elettori che si erano presi la briga di iscriversi. Se teniamo conto di quelli che nemmeno si erano iscritti, pur essendo maggiorenni e contribuenti o magari disoccupati, la percentuale dei voti validi è stata di poco superiore ad un terzo. Bush ne ha avuto la metà!
Mi pare poi che sia proprio Michele a prospettare nel suo articolo l’ipotesi che la democrazia americana sia ammalata.
Egli infatti attribuisce la deprecabile politica estera di Bush ad un ritorno dell’isolazionismo, fenomeno non nuovo nella storia di quel grande paese e che costituisce di per sé una anomalia, che diventa addirittura patologica se intacca la più grande, unica potenza del mondo. Un tale atteggiamento riferito al singolo individuo si chiama solipsismo, nelle forme più gravi autismo, che è un morbo vero e proprio.
L’11 settembre poi ha inferto una grave ferita agli Stati Uniti d’America. Ed un corpo ferito è ammalato.
L’Europa può fare qualcosa, molto se unita, per curarlo.