Abusi postali
Egregio Ministro delle Poste, ho votato per il Centro-Sinistra anche coltivando la speranza che codesto Ministero si accorgesse finalmente del comportamento autocratico dell’attuale gestione del servizio pubblico delle Poste. Ma mi tocca constatare mio malgrado che mentre sotto il governo del famigerato Berlusconi ricevevo per lo meno dei riscontri con qualche giustificazione legale di quelli che io chiamo e che sono autentici abusi padronali, dall’attuale Ministero ricevo solo silenzio, il che offende la mia sensibilità di cittadino.
Mi chiedo se per Lei, Capo del Dicastero delle Comunicazioni, sia indifferente il fatto che io, operatore culturale quasi ottantenne, possa spedire della stampa solo come corrispondenza prioritaria, il che comporta un disagio economico a tutti gli operatori culturali, che hanno bisogno di scambiarsi carta stampata di vario genere (dal ritaglio alla rivista, al libro). L’attuale cricca postale ha spinto la propria tracotanza fino ad abolire due entità reali, quali la stampa non periodica, e l’antica, elementare posta ordinaria, che interessa tutta la collettività.
Comprendo che Lei personalmente, in considerazione del Suo potere di acquisto, possa non preoccuparsi nemmeno dell’abolizione del vecchio “postagiro”, dell’abolizione della gratuità del servizio dei conti correnti, né dell’abolizione della gratuità della casella postale, ma Lei, in quanto capo del Dicastero delle Comunicazioni, è tenuto a prendere come riferimento l’interesse della collettività. Lo storico postagiro consentiva al correntista di rimettere danaro a qualsiasi altro correntista, anche estero, compilando un semplice modulo, mettendolo in busta e imbucando in una qualsiasi buca del territorio nazionale. Oggi o si va a fare la coda davanti a sportelli di norma molto affollati anche per la riduzione del personale, o si è costretti a modalità che comportano il possesso del computer, l’uso di Internet, una buona vista e soprattutto una competenza che, come i farmaci, può incontrare il rigetto degli interessati, salvo i casi in cui si possa ricorrere alla “domiciliazione bancaria”, il che porta altri soldi sudati alla piovra bancaria. Con lo stesso postagiro si potevano pagare tutte le bollette degli enti erogatori di servizi o venditori di merce, purché correntisti anche loro. L’unica condizione era la copertura del fondo, che poteva essere ottenuta mediante versamenti periodici.
Quanto ai conti correnti, oggi, per i primi 60 accrediti annui, praticamente per tutto l’anno, le Poste applicano uno scippo (non altrimenti definibile) di euro 1,50, cumulando per tutti i primi 60 un totale di 90 euro: un vero ladrocinio! Per ogni eventuale accredito successivo lo scippo si riduce a 0,50 euro.
Quanto alla casella postale, oggi viene data in affitto annuale con tanto di contratto di locazione.
Le nuove Poste Italiane stanno curando l’aspetto come una vecchia prostituta si imbelletta per apparire ancora appetibile, ma la sostanza resta quella reale. La gestione privata ha prodotto una nuova banca, il Bancoposta (e non ce n’era proprio bisogno), ha abolito i servizi che rendono meno profitti (si dice che voglia abolire gli uffici delle frazioni!), ha ridotto il personale, ricorre a lavoratori precari, e ignora totalmente il vero interesse degli utenti.
L’errore, naturalmente, sta a monte: l’avere privatizzato ciò che è un servizio pubblico e che solo un potere pubblico potrebbe gestire in maniera razionale avendo come punto di riferimento la ragion d’essere del servizio stesso, che non è il profitto privato ma il benessere pubblico. La compiacenza o l’insufficiente vigilanza del potere pubblico ha incoraggiato soggetti che, senza averne i requisiti morali, sono stati investiti di compiti incompatibili con il loro livello civile.
Carmelo R. Viola