Costituzione e Codice Rocco
Mentre sotto i colpi della maggioranza berlusconiana la Costituzione del 1° gennaio 1948 sta crollando a pezzi, il codice penale fascista del 1930 è tuttora in vigore nella sua struttura portante.
Come è possibile questa contraddizione? Come è possibile che in uno Stato costituzionalmente antifascista e democratico lo strumento punitivo sia quello stesso di una dittatura finita oltre sessant’anni fa? E’ per me motivo di stupore, e forse ha ragione Giuliano Vassalli che recentemente ha affermato tra lo sconsolato e l’indignato che la classe dirigente della prima e della seconda Repubblica non ha avvertito i motivi di "insuperabile urgenza" per la riforma del Codice Rocco.
E’ un fatto che la Costituzione è nata subito dopo la guerra in un contesto di valori condivisi, che erano opposti a quelli del fascismo appena debellato. E’ un altro fatto egualmente incontestabile che la stessa classe dirigente non ha avuto il coraggio di abrogare la legge del tiranno e di sostituirla con un nuovo Codice penale. Una delle ragioni consiste, a mio giudizio, nella volontà di non applicare la Costituzione e di lasciare le cose come stavano: volontà che era traghettata attraverso la zattera di salvezza della Resistenza con la continuità dello Stato, con la conservazione della burocrazia fascista a tutti i livelli, con la mancata epurazione, con il mantenimento della cultura molecolare della borghesia, con la difesa dei grossi privilegi.
Questa volontà è stata fortemente contrastata dai partiti antifascisti, da lotte memorabili del mondo del lavoro, dalla nuova intellettualità sorta dalla Resistenza (tanto che nel corso degli anni sono entrate in vigore tra forti resistenze la Corte costituzionale e le Regioni, per fare solo qualche esempio), ma non ha avuto la forza di innovare il Codice penale. Forse la guerra fredda e la divisione dell’unità antifascista hanno avuto il loro peso. Ora il problema è diventato ancora più difficile, perché per gli impianti e gli espianti operati giustamente dalla Corte Costituzionale il Codice penale è diventato un ibrido, incapace di un indirizzo definito che esprima chiaramente la rivoluzione democratica avvenuta con la Costituzione.
Ma la ragione fondamentale per me è un’altra. Solo una società che condivida profondamente valori e principi può varare un codice (penale e civile) che regoli la comunità. Oggi l’Italia è divisa più che mai tra spinte secessioniste, tentazioni populiste e autoritarie, e movimenti di sinistra che tentano di salvare il salvabile ma sono divisi.
Inoltre lo stravolgimento della Costituzione che sta avvenendo sotto i nostri occhi è funzionale al mantenimento del Codice Rocco, perché la maggioranza berlusconiana vorrebbe che i cittadini tornassero a essere sudditi.
Ci riuscirà? Questo è un altro discorso e ce lo dirà il futuro. Ma io non dimentico mai l’antico detto che il Signore Iddio fa perdere la ragione a coloro che vuole distruggere. Laicamente detto: la ragione alla fine prevarrà.