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La Convenzione delle Alpi

Walter Arnoldo

Uno degli argomenti che più seguo, soprattutto sui quotidiani locali, è quello legato alla sempre più attuale e scottante problematica legata alla costruzione di nuove vie di comunicazione che, a breve sembra, dovrebbero tagliuzzare la nostra regione in lungo e in largo. Le varie Pirubi, Valdastico, con annessa Valsugana, tengono banco sulle pagine dei giornali, dividendo, come è giusto e normale che sia, lettori, commentatori, gruppi politici, ambientalisti.

Ma sfogliando il Corriere della Sera del12 febbraio (titolo del pezzo "Alpi, così il turismo rischia di cancellare la neve", a firma Mario Porqueddu), mi ha colpito un argomento che, se non vado errato, sui quotidiani locali è stato trattato solo marginalmente e forse con troppa superficialità. Ho appreso che l’Italia è entrata a far parte, nel 1995, della così detta "Convenzione delle Alpi", un trattato molto importante siglato a Vienna, che comprende Francia, Svizzera, Germania, Slovenia, Liechtenstein, Principato di Monaco, Austria e appunto, Italia. Si tratta, leggo testuale dal Corriere, "di uno strumento per salvaguardare l’ecosistema naturale delle Alpi e promuovere lo sviluppo sostenibile nell’area", anche se, come al solito, "pochi Paesi - che all’inizio si erano dimostrati così solerti e decisi a difendere il proprio territorio, la propria cultura, la propria Natura - hanno ratificato i protocolli della convenzione".

Molto interessante, e sicuramente d’attualità per il Trentino, anche il rapporto di uno studio costato due anni di fatiche, commissionato e portato a termine dal WWF, e che avrebbe individuato nell’arco alpino, ben 23 aree particolarmente ricche di biodiversità e quindi da tutelare. Nove di queste aree da proteggere si trovano nelle Alpi italiane e, anche se dalla cartina del Corriere, un po’ troppo schematica per ovvi motivi di spazio, non si riescono a collocare geograficamente le zone, almeno una di queste vedrebbe coinvolto il Trentino, sembra nella catena del Lagorai; ma, come ripeto, non se ne ha la certezza, dalla mappa del quotidiano nazionale.

Uno degli argomenti più carichi di significati, assieme allo sfruttamento sconsiderato dell’acqua potabile (le Alpi sono la più grande riserva d’acqua d’Europa e certamente anche i cannoni per l’innevamento artificiale hanno le loro belle responsabilità ecologiche), preso in esame dagli studiosi del WWF, riguarda proprio il turismo e come conseguenza più naturale, il traffico. L’indagine mette in risalto, secondo me in maniera veramente clamorosa, il fatto che nelle Alpi, attualmente, viene sfruttato solo il 30% delle potenzialità della ferrovia di valico già esistente, mentre con il treno si riuscirebbero a trasportare 180 milioni di tonnellate di merci all’anno. Il traffico dei Tir aumenta del 9,4% l’anno e solo il 17% dei 150 milioni (!) di turisti alpini usa il treno per spostarsi, sempre riferito alla statistica dei 365 giorni.

Ecco quindi, da semplice cittadino trentino che si pone delle legittime domande sul proprio futuro e su quello altrui e che vorrebbe capirci qualche cosa, che mi ritrovo ad arrovellarmi attorno ai miei interrogativi: perché in Trentino (o nella macro regione che ci comprende), non si prova a sfruttare maggiormente la linea ferroviaria già esistente, se i risultati che si potrebbero ottenere, almeno sulla carta, sembrano così lusinghieri? Perché costruire altre strade su un territorio già al collasso e, come ho letto, meritevole invece di protezione e tutela ambientale?

Ma l’ennesima autostrada, l’ennesimo tunnel, non porteranno altre automobili, (altro inquinamento, altro asfalto), invece di farle diminuire, invece di regolamentarle? E i Tir, quelli non aumenteranno? Sarà corretto progettare altre grandi arterie in Trentino, se poi nelle valli minori, ma a maggior vocazione turistica, mancano altrettante valvole di sfogo (leggi strade) per far defluire il traffico, soprattutto in certi periodi nevralgici delle stagioni turistiche?

L’idea che non riesco a togliermi dalla mente, è quella, magari un po’ troppo semplicistica e sicuramente da ignorante in materia, che altre strade porteranno solo altre macchine, altri ingorghi spaventosi, altri imbuti colossali, altre code chilometriche... Non sarebbe più facile tentare di cambiare la testa delle persone, inculcando nella gente, nel turista del futuro, che esistono anche le partenze intelligenti, le vacanze scaglionate? Ma è proprio un obbligo quello di dover chiudere tutte le fabbriche ad agosto? Ma non si godrebbe di più una vacanza in montagna, in santa pace, a giugno o a settembre? Sì, forse sarebbe il caso anche di cominciare a cambiare la testa, la mentalità, le abitudini così radicate nelle persone: anche questa un’impresa titanica, un’utopia probabilmente.

Mi rendo conto che l’argomento è veramente molto delicato, che non è possibile trasformare il Trentino in una specie di riserva protetta, magari a numero chiuso, però non è neanche ammissibile continuare con questo ignobile tira e molla della politica italiana, come se il futuro del nostro territorio e della vita dei nostri figli, fosse considerato alla stregua di un banale nascondino: prima si firmano le intese internazionali, poi si nasconde la mano. (Nel 2003 la Camera ha approvato il ddl governativo di ratifica, ma al Senato un emendamento del governo ha stralciato proprio il protocollo sui trasporti, uno dei più qualificanti, da quanto si legge sul Corriere).

E intanto perché non provare a stabilire un numero chiuso, giornaliero, di Tir, da far passare sulle strade più a rischio in Trentino, incentivando così, forse, l’uso della strada ferrata?

Penso a cosa succederebbe se entro il duemila e..., l’organismo internazionale X, anzi l’organismo mondiale Y, stabilisse che tutte le nazioni del mondo, con tutte le loro industrie legate ai motori e alle automobili, Tir compresi, hanno l’obbligo di convertire l’industria legata al petrolio, sostituendola con un’alternativa naturale e meno invasiva, non importa qui se a provocatorio titolo di esempio, si menzioni il gas, l’acqua minerale, il vino, la birra o quel che sarà.

Ma cosa escogiterebbero i governanti, i politici di turno, di destra come di sinistra, tanto tutti uguali sono, pur di continuare con i vecchi metodi, con i vecchi poteri, con i soliti interessi "occulti", pur di proteggere i soliti potenti, anche a costo di portare gli equilibri ecologici mondiali, non solo quelli delle nostre povere Alpi, all’inevitabile catastrofe? (Nel latte materno a Schoemberg, lungo l’Autobrennero, gli epidemiologi hanno trovato elevate concentrazioni di nichel e piombo: Corriere della Sera del 12 febbraio, p. 22).

Agirebbero per il bene comune, oppure preferirebbero scegliere l’alternativa dell’autodistruzione? Ma quando l’acqua sarà finita o sarà imbevibile per l’inquinamento, cosa ci staremo a fare sulla Terra? A progettare altre strade? O a studiare come portare l’asfalto su Marte?

Meglio non pensarci, girare il foglio e leggere, come al solito, dei rigori della Juve, delle lacrime dell’Inter, del tempo, dell’oroscopo...