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QT n. 5, maggio 2011 Monitor: Arte

Umberto Moggioli: la collezione del Mart

In seguito alla chiusura della sede di Palazzo delle Albere per adeguamenti strutturali, il Mart ha inaugurato lo scorso marzo la nuova sede dedicata alle raccolte dell’Ottocento, Torre Vanga. Un ambiente sicuramente più raccolto, incapace di mettere in mostra ampi nuclei della collezione, ma che ben si presta a delle mostre monografiche, dedicate magari a singoli artisti. E così è stato per la suggestiva esposizione delle opere di Umberto Moggioli (1886-1919) appartenenti alle collezioni del Mart.

Moggioli nasce a Trento nel 1886; la formazione artistica è però decisamente veneziana, influenzata soprattutto dai maestri Guglielmo Ciardi e Augusto Sezanne. Accanto a quest’ultimo collaborerà nel 1906 all’impresa decorativa del Palazzo della Cassa di Risparmio di Rovereto e probabilmente anche al delizioso quanto poco studiato ciclo dei mesi che orna il palazzo, caratterizzato da uno stile grafico narrativo prossimo ad alcune cartoline realizzate dall’artista proprio in quegli anni.

Tale linearità lascerà presto il passo a pennellate più rarefatte, intrise di luce, capaci di condensare simbolismo e divisionismo in una maniera assolutamente autonoma, filtrata da un’attenta osservazione del dato reale. E non si pensi subito ai suoi celebri paesaggi, che tanta fama gli hanno giustamente portato; il suo tocco è ben apprezzabile anche nella meno nota ritrattistica, documentata in mostra da un nucleo di quattro opere, tutte del 1911, tra le quali spicca per espressività cromatica l’autoritratto dell’artista.

Il tema del paesaggio è piuttosto indissolubilmente legato all’uso eloquente del colore. Colore che per Moggioli ha sempre una doppia e in parte opposta valenza: da una parte espressione dell’interiorità spirituale dell’artista, come in Cipresso gemello (1912), dall’altra indagine del vero, del dato naturale, come in Primavera a Mazzorbo (1912), opera nella quale la terra lavorata, con le sue mille tonalità, pare di una freschezza quasi morlottiana. In ogni caso, in tutti i paesaggi di Moggioli la prima cosa che stupisce è la capacità di raccontare un sogno rifiutando ogni connotazione pittoresca, da cartolina.

Abbracciando fin dai primi anni lagunari la pratica del plein air, l’artista dà vita a delle impressioni in piccolo formato (28 delle quali esposte già nel 1909 aCa’ Pesaro e subito apprezzate da Nino Barbantini), estremamente fresche ed eseguite di getto. Pur immerso nella città più bella del mondo, ai profili canonici di Venezia Moggioli preferisce la libertà ariosa e selvaggia delle isole lagunari, con i suoi cieli, gli alberi animati dal vento, le sue terre aspre lavorate da mani callose, una luce che insaporisce l’aria di colore, come ne Il ponte verde (1911), o in Campagna a Treporti (1913), opera che simbolicamente associa un’anziana contadina piegata sulla terra con un vecchio albero ormai privo di foglie.

Gli anni di Cavaion Veronese, documentati in mostra da opere come Paesaggio di Cavaion sul Garda (1916), Nudo di donna (1917) e Maternità (sempre del 1917) sono segnati dall’influenza di due artisti molto vicini a Moggioli già negli anni di Burano: Gino Rossi e la pittura cloisonné da una parte, Tullio Garbari e il primitivismo dall’altra.

Sul finire del 1917 il Nostro viene chiamato a Roma per la decorazione delle lunette al monumento a Vittorio Emanuele II. Gli anni romani corrispondono all’ultima, intensa fase dell’artista prima della prematura scomparsa, anni che vedranno un nuovo, radicale mutamento di stile e, ancor più, d’iconografia: la pittura di Moggioli si apre inaspettatamente alle scene d’interno, mentre il paesaggio diventa sempre più ravvicinato, quasi una quinta luminosa ove sono collocate figure umane fortemente plastiche. Opere emblematiche di questi anni sono L’eremita ortolano (1918), che presenta in primo piano una varietà di ortaggi che di per sé è una deliziosa natura morta, Viale a Villa Strohlfern (1918-1919) - privo di figure ma pregno della quotidianità domestica dell’artista - e La Primavera (1918). Quest’ultimo dipinto, tra i più noti di Moggioli, è un ritratto della moglie e della figlia denso di luce e d’affetto, tema riproposto anche ne La casa dell’artista. Studio, litografia eseguita nel 1919.

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