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QT n. 2, febbraio 2011 Servizi

La politica secondo Renato

La difesa sgangherata dell’indifendibile Veronesi: emblema della devastante crisi culturale del PD

Renato Veronesi

Abbiamo già riferito (Compagni che insabbiano”, QT di dicembre) delle prime reazioni alla nostra rivelazione (L’accordo indecente, novembre 2010) sull’accordo sottobanco intercorso, per le elezioni del 2005 ad Arco, tra il candidato sindaco di centro sinistra Renato Veronesi e alcuni esponenti della destra.

Ma la risposta di Veronesi, oggi del PD, così come quella del Circolo del PD di Arco, meritano un approfondimento, in quanto indicative di una cultura e di un metodo di fare politica tutt’altro che isolati, sebbene inqualificabili (oppure qualificabilissimi: con aggettivi come “doroteo”, andando al recente passato, o “bassoliniano”, rimestando nelle tristezze del presente).

Per chi non li avesse presenti, ricordiamo in sintesi i fatti. Ad Arco, il 13 maggio 2005, il candidato sindaco margheritino Renato Veronesi si ritrova al tavolo con Alessandro Amistadi (Margherita), Stefano Tamburini (Lega Nord), Marco Angelini (Margherita), Fabio Zanetti (Forza Italia) e Roberto Delaurentis (An). Motivo dell’incontro: attivarsi e impegnarsi “al fine di far convergere” l’elettorato su Veronesi stesso, attraverso “un patto di rilancio in termini culturali ed amministrativi” che potesse “addivenire ad un effettivo riscatto della città”. Un patto di sicuro rilancio: perché Veronesi, in cambio, si impegnava a “nominare quale assessore tecnico nelle proprie file un nominativo proposto dalle forze di centro-destra”, “favorire due altri nominativi della stessa forza all’interno della S.P.A. AMSA di cui una nella posizione vicepresidente”, “favorire la nomina a presidente della Fondazione Comunità di Arco un nominativo suggerito dalla stesse forze politiche (AN, Lega, PPE) procedendo alla nomina di due rappresentanti”. Quei bravi ragazzi del patto d’acciaio, poi, si sarebbero impegnati “ad avviare un percorso collegiale anche in termini di elaborazione amministrativa”. Il seguito è storia: Tamburini è nominato vicepresidente dell’AMSA (di cui Amistadi è confermato presidente), mentre Delaurentis viene nominato presidente della Fondazione Comunità di Arco.

Queste pagine l’hanno già evidenziato: se ciò che è accaduto non è stato voto di scambio, è per lo meno segnale di una condotta immorale. E la vicenda rilancia il dibattito sul delicato tema dell’etica politica.

15 anni di politica locale

Oggi Veronesi è un porporato del PD. La reazione della direzione provinciale del partito, svelati i fatti, è stata, da subito, timorosa e tiepida; infine, il segretario Nicoletti ha chiesto a Veronesi di esporre la propria versione, ed al partito (attraverso la commissione dei garanti ed i suoi organi locali e provinciali) di esaminare il materiale pervenuto e discutere di quanto appreso.

La risposta alle accuse firmata da Renato Veronesi, raccolta in una lunga e farraginosa memoria, dà una chiara idea di come l’ex sindaco percepisca la politica dei nostri giorni. Veronesi non ha, evidentemente, la stoffa dell’esegeta, né la pazienza del narratore, e accumula fatti storici che, dal 1990 ad oggi, ricostruiscono parzialmente la storia della Democrazia Cristiana nel Basso Sarca, prima e dopo l’allegra parentesi di Tangentopoli.

Ed ecco, quindi, che Renato ci parla di quindici anni di politica locale, vissuti alla sua maniera: alleanze, scalate alle poltrone, passaggi da un partito all’altro della galassia post-democristiana. Unico argomento che riguarda l’amministrazione, il Piano Regolatore (si sa, è lì la polpa della politica comunale), naturalmente non inteso - giammai! - come progetto della città, ma come sequenza di commissariamenti, trabocchetti, approvazioni vere e fasulle.

Ciò che colpisce, però, è che in tutte queste pagine di chiacchiericcio con vaghe pretese storiografiche, Veronesi affronta solo di striscio il merito della questione, e cioè il suo accordo ‘da bar’ sottoscritto con la destra arcense. Vi allude appena. Cita almeno trenta nomi storici della DC trentina e nazionale, intramezza con corsivi scoppiettanti, nel tentativo di risvegliare l’attenzione del lettore (o forse di sviare ulteriormente), ma delega a poche righe, nel ridondante racconto, la giustificazione del suo ‘incontro al buio’. L’avversario (alle comunali del 2005) Caproni aveva avviato trattative con il centrodestra. Ecco che allora “anche noi chiediamo - così scrive Veronesi - di poter incontrare il centrodestra. Raccolgo alcuni pareri fra i collaboratori e poi, assieme ad alcuni rappresentanti margheritini, propongo un documento contenente, al di là delle considerazioni generali, alcune disponibilità a ricoprire ruoli che, in parte, si sono, poi, realizzate”.

Tutto qui. Insomma, non c’è niente di grave, è una bolla di sapone, solo una questione di “disponibilità a ricoprire ruoli”.

L’argomentazione è grottesca. Perché mai chiedere disponibilità ad amministrare agli avversari? In base a quale aberrante sentimento? Bontà d’animo? Filantropismo? Buontempo? Amore per il brivido?

In realtà, purtroppo, l’intemerata dell’ex Dc Veronesi permette di capire con chiarezza come mai si è giunti ad un tale livello di degenerazione. La semplicità, sia di eloquio che di ragionamento, è imbarazzante.

Solo due esempi.

Il segretario del PD Michele Nicoletti

Il primo: elezioni del 1999. “Non ci accordiamo sulla distribuzione dei posti in giunta e la Lista Civica, forte di tre Consiglieri, passa all’opposizione”. Ecco il fulcro del pensiero di Veronesi, o meglio, della sua cultura politica: l’accordo di potere, per ripartire e poi dirigere il potere stesso, seguendo quelle che Veronesi stesso etichetta sotto il nome di “opportunità tattiche e strategiche”.

Il secondo esempio riguarda le elezioni del 2010. “L’UPT mi pare interessata alla guida dell’amministrazione rivana e, forse, è disposta a sostenere me anche perché è difficile che sia il Sindaco di Arco che quello di Riva del Garda possano essere entrambi del PD”. Ma Renato fa il ritroso. E poi? “Per l’UPT la piazza di Riva si complica. Credo che accettare Mosaner significhi un candidato sindaco della loro area qui ad Arco. È più o meno così. Chiedono al PD di Arco di valutare il nome di Paolo Mattei, amministratore delle Cartiere del Garda”. Insomma: si compra, si vende, si scambia. Non importa quali partiti o quali candidati prendano più voti: i voti si pilotano secondo il candidato, disinteressandosi del possibile miglior risultato. Elettorale prima, e amministrativo poi. Anche perché l’amministrazione, quella efficace, sul territorio, può tranquillamente finire nelle mani di quegli avversari cui, in effetti, sono affidate poltrone di scambio.

Colpisce, nel ragionamento dell’ex sindaco, l’assenza di morale: Veronesi non si cura, quasi inconsapevolmente, della lealtà verso l’elettore. Come se gli amministratori non dovessero essere espressione dell’elettorato, ma di un meschino sistema di scambio tra partitucoli. Veronesi fa sue e segue, in modo disinvolto, regole perverse, con la stessa naturalezza con la quale si preme la frizione per cambiare marcia.

Dove sta andando il PD?

Altrettanto, anzi forse ancor più sconcertante, è il documento che il circolo PD di Arco ha diffuso a novembre, a difesa di Veronesi. La cui sintassi sconnessa è forse l’emblema dello stato in cui il PD versa: la risposta angosciante al “dove stiamo andando?”. La missiva, firmata dal capogruppo Josef Joerg, è intrisa di quella retorica qualunquista, di berlusconiana fattura, secondo la quale non esistono più la destra e la sinistra (quasi che fossero le mezze stagioni), e la politica dev’essere quella “delle cose da fare più che delle parole da spendere”.

Il documento parte con una scomposta autoesaltazione: “Il circolo PD di Arco rappresenta, a nostro avviso, la miglior sintesi delle diverse culture ed esperienze politiche che hanno guidato il governo della città negli ultimi quindici anni”, ed “ha dimostrato grande capacità nel proporsi come luogo di incontro, di dibattito, di decisione”.

Questa prezioso prodotto della politica italiana si è riconosciuto “sempre e pienamente nei dirigenti che si è dato e nei suoi consiglieri ed assessori comunali”. Quindi anche in Veronesi. Il documento è anche più esplicito: “Tutta la storia di Renato Veronesi fa parte del patrimonio culturale di questo circolo. È difficile pensare che senza di essa il circolo PD di Arco potesse nascere e svilupparsi come ha fatto”.

Il documento, insomma, propone un teorema tanto ridicolmente incensato-rio quanto in realtà illogico: siccome il PD di Arco è una delle cose migliori del mondo, e Veronesi ne è parte integrante, Veronesi è nel giusto.

A riprova dell’assunto, Joerg, in stile brezneviano, si scaglia contro chi ha sollevato il caso, Angioletta Maino, la quale ha il torto capitale di essere “iscritta ad altro circolo” (quello di Riva del Garda) e di essere, ad Arco, “sempre all’opposizione dei componenti di questo circolo, che hanno governato la città”. Insomma, noi siamo i migliori, Veronesi è dei nostri, chi ha tirato fuori la documentazione non lo è, quindi il discorso è chiuso.

E nel merito della questione? L’”accordo indecente”? I posti dati sotto-banco alla destra? Il documento attacca un comunicato della Maino e definisce “falso e pretestuoso ipotizzare che nella presente maggioranza” del Consiglio comunale di Arco “abbiano ancora diritto di applicabilità accordi sottoscritti nel passato”, ribadendo l’autonomia dell’attuale sindaco Mattei. Ma calando un impietoso velo, così, sull’immoralità dell’accordo di Veronesi e sulle nomine alla destra. Una mano lava l’altra, scurdammoce ‘o passato. E poi, via, Veronesi è dei nostri, e tanto deve bastare.

Probabilmente il senso di tanta miseria, nella quale la politica coincide con l’appartenenza a una consorteria, è suggellato dall’acuta considerazione finale di Joerg, il quale fa notare che la gente è “sempre più sfiduciata dalla politica”. Si saranno davvero domandati il perché?

A noi tuttavia, dal momento che il Circolo PD di Arco non è certo la pecora nera del partito provinciale (il quale, anzi, ne ha assunto come buona la difesa omertosa, prontamente assolvendo Veronesi), la miserabile vicenda sembra altamente istruttiva: fa capire come mai, anche nell’Italia del Bunga Bunga, i voti non vadano a sinistra.