La ritirata dell’Occidente
Sarà la Cina il futuro gendarme del mondo?
Mai come in questi ultimi mesi le carte sulla scena mondiale, e asiatica in particolare, si vanno rimescolando. Richiamiamo qui pochi fatti significativi. Al vertice NATO di Lisbona è caduta definitivamente l’illusione di un rapido disimpegno americano dall’Afghanistan già dal 2011 (una promessa elettorale di Obama): se ne riparlerà forse tre anni più in là. Il premier cinese in visita a Mosca ha stilato un accordo che porta lo scambio di merci tra i due paesi da 50 a 70 miliardi dollari annui, con la Russia che garantirà immense forniture di gas alla Cina per i prossimi trent’anni. I nuovi venti di guerra tra le due Coree inducono gli americani a inviare portaerei al largo del mar Giallo, ma questo sfoggio di muscoli ha il sapore di una sceneggiata ritualizzata: l’America oggi pare incapace anche solo di portare Israele a un tavolo di serio negoziato con i palestinesi. Intanto la crisi finanziaria azzanna l’Europa alla gola, l’euro è ostaggio di Grecia, Irlanda e Portogallo...
Quello che ormai emerge nitidamente da questi recenti sviluppi è l’inizio della ritirata dell’Occidente, indebolito dalla crisi finanziaria, da una disoccupazione ormai strutturale, dalla concorrenza sempre più aggressiva delle potenze emergenti. Fino a ieri Cina e India esportavano merci povere di know-how, oggi vendono pannelli solari e computer, acquistano grandi aziende e marchi storici come Jaguar o Rover, soprattutto impongono sui mercati la carta vincente dei bassi salari (India) o la forza di capitali finanziari praticamente illimitati (Cina). Se dagli anni ‘70 ai ‘90 erano gli arabi i primattori sulla scena finanziaria, nell’ultimo decennio si sono aggiunte le grandi banche d’affari cinesi e di Hong Kong.
L’America di Obama è oggi di fronte a un bivio. Continuare a fare da sola il gendarme del mondo è impegno reso sempre più oneroso dal fronte interno: un’opinione pubblica stanca di guerre, ma, soprattutto, un bilancio federale che ha il debito più grande del mondo.
Le guerre costano, mantenere un esercito in grado di intervenire in ogni parte del mondo dissangua un Paese che si sta ancora leccando le ferite del dopo crollo. Di fronte a questa potenza in crisi, l’Asia mostra uno scenario di grande dinamismo. La Cina, com’è noto, ha risposto con una alzata di spalle alla richiesta di Obama di rivalutare la sua moneta, in modo da dare un po’ d’ossigeno alla bilancia commerciale USA. Al contempo, i leader di Pechino non perdono occasione per ribadire discretamente il loro nuovo ruolo di superpotenza planetaria, di dominus dell’Asia e del debito del Tesoro americano, in gran parte finanziato proprio dai cinesi. In silenzio, la Cina sta riconquistando quel ruolo mondiale che aveva perso da secoli, mentre i più importanti istituti di studi strategici ci informano che le sue spese militari crescono incessantemente. In particolare è segnalato un gigantesco programma di riarmo navale: la marina militare cinese, prima addetta alla sola difesa costiera o poco più, sta per mettere in servizio numerose e sofisticate unità d’altura che le consentiranno di pattugliare le vie del petrolio e delle altre materie prime su tutti gli oceani. In questo quadro di epocale mutamento geo-strategico, le attenzioni sono puntate sugli altri tre grandi dell’Asia: la Russia in primis, paese a doppia vocazione europea e asiatica, che evidentemente in questa fase sembra assecondare più i piani cinesi che non quelli dell’Occidente euro-americano; l’India, già filo-sovietica in politica estera all’epoca di Indira Gandhi, che viene fatta oggetto di attenzioni crescenti da parte delle ultime amministrazioni americane; infine il Giappone, il cui destino appare tuttavia segnato dalla vicinanza fatale con il colosso cinese: la sua economia ne ha preso atto da tempo, e l’interscambio tra i due Paesi è in crescita vertiginosa.
La politica americana di presenza a oltranza in Iraq e in Afghanistan va considerata anche alla luce di questo quadro complessivo. Un ritiro puro e semplice dall’Asia significherebbe certificare la ritirata dell’Occidente, dare implicitamente il via libera alla ambizioni della Cina sul Golfo, costringere chi è ancora titubante a scegliere definitivamente di entrare nel blocco di interessi cinese. L’Europa può svolgere un qualche ruolo in questo quadro? Certamente essa può cercare di tenere ancorato a ovest il colosso russo, tenere sveglia la sua anima europea; inoltre, attraverso una più accorta politica mediterranea, l’Europa potrebbe cercare di sviluppare su nuove basi il rapporto con il Nordafrica e il Medio Oriente. Se non saprà farlo presto e bene, c’è da scommettere che anche lì arriveranno i cinesi con la forza di capitali e armi a buon mercato. Allora sì l’ex-.Impero Celeste sarebbe davvero a un passo dall’ imporre al mondo una svolta all’insegna di una “pax cinese”.