Gli inquieti spiriti di Fiume
Una mostra al Castello di Rovereto su scene e protagonisti dell’avventura dannunziana
È dedicata a una vicenda tuttora dibattuta, la mostra del Museo della Guerra che si apre in questi giorni: “Fiume! Scene volti parole di una rivoluzione immaginata”.
L’occupazione della città adriatica come anteprima del fascismo e D’Annunzio come precursore di Mussolini sono le formule prevalenti nel senso storico comune. Al poeta-comandante come sensibile interprete del travaglio del primo dopoguerra ha dedicato pagine significative De Felice, rivalutando lo spessore del “fiumanesimo” politico.
La Fiume di quei sedici mesi, con il suo mondo di volontari e di intellettuali alla ventura, è riletta come laboratorio di creatività libertaria in studi come quello di Claudia Salaris, Alla festa della rivoluzione (Il Mulino 2008). Ma non va attribuita alle revisioni della storiografia degli ultimi decenni, questa diversità di prospettive. Se si rileggono le belle lettere che si scambiarono nel corso di una lunga amicizia Gaetano Salvemini e Ernesta Bittanti Battisti, vi si ritrovano opinioni contrapposte, dagli anni della guerra fino alla più inoltrata vecchiaia dei due antichi compagni di studi. “L’Italia fu conquistata dalla retorica dannunziana: fu quello il terribile disfattismo, in cui minacciò di naufragare l’Italia. Prendete un popolo, tenetelo tre anni nei pidocchi delle trincee; e a guerra finita, mandategli il divo Gabriele a raccontargli che la vittoria non gli è servita a niente, che è un popolo derubato della vittoria, che è un popolo vinto”, scrive Salvemini il 12 giugno 1923, negli stessi fogli in cui ringrazia Ernesta per la lettera che ha scritto qualche mese prima a Mussolini, palesandogli un’incolmabile distanza dal fascismo. All’amica, perdutamente dannunziana, ribadisce senza riguardi: “Ella, cara Ernestina, trova - quanto giustamente - che Dio e Popolo significano libertà: libertà dello spirito e libertà nelle forme; e il fascismo nega questa libertà. Ebbene, cara Ernestina, ricordi che una delle prime spedizioni punitive contro la libertà venne da Fiume nell’autunno del 1919; quando un gruppo di legionari andò da Fiume a Zara a fare strage di socialisti nel teatro di Zara a furia di bombe. Mussolini è stato il secondo capo dato dalle autorità militari al fascismo italiano, dopo che esse avevano perduto la fiducia in D’Annunzio” (citiamo da Salvemini e i Battisti. Carteggio 1894-1957, a cura di V. Calì, Trento 1987).
Ma Ernesta la pensava diversamente: per una fase non breve della sua vita fu convinta al contrario che proprio nello “spirito di Fiume” si fosse trasfusa l’eredità ideale di Cesare Battisti, che intendeva valorizzare e custodire con tutte le sue forze.
L’iniziativa del Museo dedica la parte principale agli aspetti generali, attraverso fotografie poco note e manifestini molto rappresentativi della “parola” di D’Annunzio. Nel catalogo un robusto saggio di Marco Mondini analizza la vicenda in particolare sotto il profilo politico-militare, senza indulgenze verso mitologie vecchie e nuove. La forza di attrazione del mito riemerge in qualche misura nella sezione dedicata ai volontari trentini, che costituirono a Fiume e nelle isole del suo Golfo un gruppo esiguo (di una sessantina in tutto), ma interessantissimo. Alessio Quercioli ne traccia un informato profilo, al quale corrisponde, nella mostra, l’affacciarsi dei giovani volti e delle biografie.
I visitatori potranno imbattersi, di nuovo o per la prima volta, a seconda delle loro letture, in un paradosso di non facile interpretazione. Furono con D’Annunzio a Fiume alcuni dei principali esponenti dell’antifascismo trentino e poi della Resistenza: il leader eroico Giannantonio Manci; il suo alter ego Gigino Battisti; il fratello di Angelo Bettini, Silvio (che non dismise mai il nome di guerra Enzo Schettini, aggiungendolo a quello anagrafico) e altri personaggi non conformisti. Bettini Schettini espatriò in Francia nel 1926, fu esponente dell’antifascismo e oratore apprezzatissimo nella Francia del Fronte Popolare, internato, confinato e incarcerato durante la guerra; venne nominato sindaco di Rovereto su designazione del CLN, fu sindacalista della CGIL e consigliere regionale a Bolzano nella lista del Partito Comunista. Non rimasero dunque fermi al loro patriottismo assolutizzante di ventenni, ma coerenti all’impronta repubblicana, mazziniana, garibaldina di quegli anni lo furono fino in fondo. La stessa matrice rintracciamo peraltro nelle scelte prima convergenti e poi contrapposte di un altro legionario di D’Annunzio proveniente dal Trentino, G.B. Adami, antifascista fino alla metà degli anni Trenta e poi schierato con il fascismo e con Salò. Se spostiamo lo sguardo dagli schemi agli uomini in carne e ossa, i percorsi della storia ci mostrano spesso una suggestiva tortuosità.