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Chi scende e chi sale

Dopo la crisi finanziaria del 2008, nulla è rimasto come prima

La crisi dei mercati e della finanza di questa primavera 2010 seguita al crollo greco sembra ridare corpo ai più funesti presagi che si addensavano già alla fine del 2008, allorché, a seguito del fallimento della Lehman Brothers, il mondo della finanza mondiale si ritrovò in un tunnel di cui si stentava a vedere l’uscita. L’intervento massiccio dei governi, che rispolveravano gli strumenti di un dirigismo di altri tempi prematuramente dato per sepolto dai trionfi del neo-liberismo (ricordate gli inni alla deregulation, alla reaganomics?), d’un tratto faceva emergere la grande fragilità del Dio Mercato. Solo un resuscitato capitalismo di stato, ossia un sistema in cui al dogma della mano invisibile del mercato si era sostituita la concretissima mano degli aiuti statali e di una attenta regia dall’alto, aveva potuto tappare le falle più grosse del Big Business mondiale e, almeno temporaneamente, metterlo in sicurezza. Ma oggi i nodi vengono al pettine.

Gli spaventosi deficit creatisi in USA e Europa in questi due anni d’emergenza devono rientrare in qualche modo, donde la politica dei sacrifici e dei tagli di bilancio. Ma - ecco la contraddizione - tagli e sacrifici deprimono la domanda (consumi e investimenti) e impediscono quella crescita sostenuta del reddito che sola può garantire in tempi ragionevoli il rientro/ridimensionamento dell’enorme debito accumulato. Insomma: il gatto si morde la coda. In questa situazione è bastato che la Cina ci assicurasse di voler continuare ad acquistare i titoli di stato europei e americani per ridare un po’ d’ossigeno alle borse occidentali. D’un tratto però anche i ciechi hanno scoperto che l’economia e la borsa di USA e UE sono letteralmente appese alla buona volontà di Pechino, oggi il maggiore creditore degli USA. Lo Zio Sam non abita più a New York. La Cina non ha abbandonato il dollaro neppure quando questo era scivolato a 1,50 rispetto all’euro, a maggior ragione se lo tiene stretto ora che ha recuperato sino a quasi 1,20. Il governo cinese si è insomma rivelato come il vero dominus della finanza mondiale; tanto più in un contesto in cui gli altri tre paesi del BRIC (Brasile, Russia, India) e i paesi petroliferi hanno gradualmente ridimensionato il ruolo del dollaro come moneta di riserva e di transazione commerciale.

Nel frattempo a Teheran si è tenuto a maggio uno strano summit fra Brasile, Turchia e Iran che ha dato un risultato insperato: l’Iran ha accettato di arricchire il proprio uranio in Turchia, sotto controllo internazionale, togliendo così ai suoi nemici molti argomenti. In questo summit è emerso il Brasile di Lula come nuovo protagonista sulla scena internazionale, riuscendo là dove aveva fallito il cosiddetto 5+1 (i paesi ONU con diritto di veto più la Germania) dopo anni e anni di trattative.

Quasi negli stessi giorni il presidente siriano Assad rilasciava una lucida intervista a La Repubblica in cui dichiarava: la pace nel Medio Oriente è ormai una questione in mano a tre soli intermediari: Turchia, Iran e la Russia di Putin; di Stati Uniti (e tantomeno di Europa) non c’è bisogno, non hanno saputo promuovere la pace ieri, né - indeboliti e pieni di problemi come sono - saprebbero farlo domani. Questo vistoso riavvicinamento tra Turchia e Iran non può che preoccupare Israele, che non da ora osserva la rapida crescita di questi due ingombranti vicini, destinati a divenire i colossi economici e politico-militari della regione; il rientro della Russia (gran tutore dell’Iran) nei giochi del Medio Oriente, la crescente insofferenza degli USA nei confronti delle rigidità israeliane, rafforzano la percezione di un progressivo inesorabile indebolimento geo-politico di Israele, che oltretutto deve mettere in conto i crescenti rischi di eventuali nuovi scontri con forze estremiste (Hamas, Hezbollah) recentemente rifornitesi di missili a lunga gittata.

Come si vede, sia il quadro globale che quello dell’area più calda del pianeta sono in rapido mutamento. Dalla crisi finanziaria mondiale del 2008 nulla è rimasto come prima: l’Europa è a pezzi e conta sempre meno, gli Stati Uniti vedono minata pesantemente la loro già traballante egemonia, il Giappone si è eclissato (la sua potenziale bolla finanziaria, si dice, potrebbe seppellirci tutti). Su queste macerie emergono, sempre più nitide, le forti ambizioni delle nuove potenze del BRIC a livello planetario e, in Medio Oriente, si rimescolano le carte con attori nuovi e determinati a contare sempre di più mentre tante vecchie certezze vacillano.