“Proposta Gilmozzi”: un’occasione sprecata
Acqua: pur salvando le gestioni pubbliche esistenti, la Provincia lascia ancora spazio alla gestione privata dei servizi idrici
Un altro importante tassello si è aggiunto in questi ultimi mesi alla lunga serie di notizie e dibattiti riguardanti l’acqua e la sua privatizzazione.
Dopo il successo della campagna “Acqua pubblica ci metto la firma”, indetta dal Forum italiano dei movimenti per l’acqua a favore della raccolta firme per l’indizione di un referendum abrogativo del decreto Ronchi (11.000 firme raccolte in Trentino, 1.400.000 a livello nazionale), quest’estate i giornali locali, con titoli roboanti, annunciavano che in provincia l’acqua sarebbe rimasta pubblica grazie alla proposta di legge pensata dall’assessore Gilmozzi. Dichiarazione alquanto sconcertante, se si tiene conto che il processo di privatizzazione della gestione dei servizi idrici in Trentino è iniziato già dagli anni ‘90 con la creazione di Dolomiti Energia s.p.a. di cui il 38% del capitale già è in mano ai privati, fra cui la A2A, la società lombarda quotata in borsa che gestisce anche l’inceneritore di Brescia.
Ora che tale proposta di legge è stata inserita nella manovra finanziaria provinciale, andiamo ad analizzare meglio gli sviluppi legislativi trentini.
Si poteva fare di più
Gli articoli 22 e 23 della finanziaria 2011, che traducono in legge la “proposta Gilmozzi” presentata in estate, non risultano certo particolarmente incisivi o rivoluzionari rispetto alla legge nazionale e, dando un colpo alla botte e uno al cerchio, la Provincia sembra cercare di accontentare tutti, finendo invece per farsi sfuggire l’occasione di fare un passo convinto verso una vera ripubblicizzazione dell’acqua e scatenando le ire dei comitati trentini, che hanno indetto per sabato 4 dicembre una fiaccolata di protesta per le vie della città.
Il colpo alla botte lo dà sottraendo alla mannaia incombente della privatizzazione forzata quelle realtà in cui la gestione idrica è fatta ancora in economia direttamente dai comuni o affidata a municipalizzate (prendiamo ad esempio Tione). In tal modo, questi soggetti potranno continuare a gestire il servizio in autonomia e soprattutto in modo pubblico, evitando un cambiamento radicale, repentino e non voluto.
D’altra parte, e qui si parla del colpo al cerchio, la Provincia recepisce in toto la parte di legge nazionale riguardante l’assegnazione della gestione dei servizi a società per azioni miste con partecipazione privata minimo del 40% (ma chi ci assicura che non avranno una quota azionaria maggiore?), oppure a società totalmente private. Ciò si configura come un’ulteriore ed importante spinta verso la privatizzazione dell’acqua, perché togliendo il vincolo della maggioranza azionaria pubblica si lascia libero gioco ai soggetti privati. Ma ciò che si nota di più è il fatto che non vengano formulate proposte alternative all’ormai dilagante tendenza all’affidarsi a società per azioni per la gestione dei servizi pubblici: non è certo un segreto che una s.p.a., proprio per sua natura giuridica, deve produrre utili da ridistribuire agli azionisti e per fare ciò, come già sperimentato molte volte, verranno trascurate la qualità del servizio erogato e le esigenze degli utenti, con conseguente aumento dei costi e dei disservizi. Questo anche in presenza di società a maggioranza o totalmente pubbliche. In aggiunta al fatto che possono finire per essere quotate in borsa, sfuggendo definitivamente al controllo dei cittadini e seguendo regole che non hanno nulla a che spartire con una visione di gestione comunitaria del bene pubblico, dato che a quel punto gli amministratori saranno più attenti all’andamento della borsa e delle quotazioni che al reale livello di qualità del servizio offerto.
In definitiva, salvate le gestioni comuni già esistenti, la Provincia non si sbilancia oltre, ma lascia ai vari comuni la libertà di decidere la forma da dare alla gestione dei servizi idrici.
Nel mondo politico trentino, però, almeno una voce convinta si è levata per sottolineare questa situazione di stallo, quella di Michele Nardelli, che evidenzia la scarsa incisività della proposta. E se per l’occasione interviene anche la Lega, che vede in questa manovra il tentativo di salvaguardare gli interessi di Dolomiti Energia (vedi l’Adige del 22 agosto 2010), viene proprio da dire che poteva essere fatto molto di più, dato che la Provincia ha la competenza primaria in fatto di acqua.
Attualmente, forse parlare di ripubblicizzazione dei servizi idrici risulta ancora difficoltoso e la riconversione della tendenza a privatizzare necessita di tempo e di programmi a lunga scadenza. Tuttavia, tra questa prospettiva e il lasciare libero gioco ai privati, si potevano studiare soluzioni intermedie. Ad esempio, come proposto da Geremia Gios (sindaco di Vallarsa) durante la tavola rotonda “Acqua e profitti in Italia, Trentino e Vallagarina” tenutasi a Rovereto, si può pensare alla creazione di “Fondazioni di partecipazione”, basate sulla partecipazione diretta dei cittadini-utenti che ne avrebbero il pieno controllo, oppure affidare la gestione alle Comunità di valle, come suggerito da Anderle.
L’incognita referendum
Per il momento, però, si stanno facendo i conti senza l’oste, dato che c’è da tenere conto del referendum e dei suoi esiti.
La prima grande domanda concerne la sua attuazione: è vero che la raccolta firme è stata un successo, ma l’iter rimane ancora lungo e con l’incombente crisi di governo il rischio è che venga fatto slittare all’infinito.
Intanto, a livello nazionale, le società di gestione dei servizi idrici stanno già mettendo in atto alcuni movimenti di capitali, creandosi le condizioni ottimali per accaparrarsi un altro pezzo di mercato (e di acquedotti) e di fatto anticipando il decreto Ronchi, cercando così di svuotare di significato la consultazione referendaria. Il Forum nazionale chiede con insistenza una moratoria rispetto alla privatizzazione forzata prevista a partire dal 2011 e che si aspettino gli esiti del referendum prima di avviare il processo. Ma la voce cade nel vuoto, visto che sono già state stilate le linee di attuazione del decreto.
Tuttavia c’è una situazione particolare da sottolineare: nonostante anni di martellanti campagne propagandistiche a favore della gestione privata dei servizi pubblici, i cittadini si sono dimostrati particolarmente attenti, sensibili ed anche preoccupati per il futuro di un bene prezioso e vitale come l’acqua. Il successo della raccolta firme è un segno di cambiamento di mentalità su cui far leva per non lasciare che venga privatizzato del tutto un bene che è e deve restare pubblico. Informazione e sensibilizzazione sono la strada per influenzare il futuro.