Italiani in Libia: una storia cancellata
Uno sgarbo di Gheddafi ha riportato alla ribalta l’inglorioso passato del colonialismo italiano.
Fa specie osservare la memoria corta di tanta stampa italiana, emersa in occasione delle polemiche sulle recenti celebrazioni del patto d’amicizia italo-libico e la famosa esibizione delle Frecce Tricolori. Gheddafi non è esattamente un personaggio amato dai media, che lo dipingono come un genio del male, il capo di un ex stato canaglia, nella migliore delle ipotesi come un eccentrico pericoloso. Eppure, a noi italiani, un episodio dovrebbe dar da pensare: la ostentata esibizione sulla giacca di Gheddafi, durante il G-8 dell’Aquila, della foto di un anziano patriota libico, al Mukhtar, in catene tra militari italiani compiaciuti alla vigilia della sua impiccagione. L’espressione dell’ austero personaggio, dal portamento grave e dignitoso di chi va incontro da eroe al proprio destino, contrastava - s’è detto - con l’esibizionismo pacchiano del leader libico. Certo Gheddafi l’aveva fatto per ragioni propagandistiche, guardando al fronte interno, all’opinione pubblica araba, al mondo africano nella sua veste di presidente dell’ Organizzazione degli Stati Africani. Ma quella foto per noi imbarazzante, quasi uno sgarbo insopportabile, dovrebbe dirci qualcosa di più: è in realtà un piccolo ricordo di quello che ha rappresentato l’occupazione italiana in Libia. Che comportò una feroce lotta anti-insurrezionale con il corredo inevitabile di rappresaglie e fucilazioni, ma non solo. Chi ricorda più gli esperimenti dell’aviazione militare del generale Graziani (condannato più tardi per crimìni di guerra) con i gas lanciati su inermi villaggi libici? Chi ricorda le deportazioni di massa di decine di migliaia di libici, anche in lager italiani, dove morivano poi di stenti come mosche? Una facile retorica, quella del colonialista italiano “buono e amante dei locali” (ricordiamo “Faccetta nera”?), che ha costruito tante “strade, scuole e ospedali” (non si dice così, oggi, anche per l’Afghanistan?), ha cancellato dalla memoria italiana questi orrori. Salvo nei libri di qualche storico, per tutti Del Boca, ben poco trapela nei media di questa antica macchia collettiva. C’è una rimozione consolidata, persistente.
Qualche crepa in questo muro dell’oblio è emersa solo negli ultimi anni attraverso sporadici articoli nelle pagine culturali dei giornali. Persino un film su quei tempi, “Il leone del deserto”, subì un ostracismo totale in Italia: provate a cercarlo... Questa rimozione ha certo motivazioni complesse. Secondo una vulgata dura a morire, l’Italia fascista non avrebbe perseguitato gli ebrei, anzi spesso li proteggeva; le colonie italiane erano poca cosa rispetto agli immensi imperi coloniali altrui, briciole... E poi noi eravamo una “nazione proletaria”, mica di grandi capitalisti! Finita la guerra, c’è stata l’auto-assoluzione: noi italiani non siamo stati cattivi come i tedeschi, non siamo stati predatori e sfruttatori come francesi e inglesi...
Quel guastafeste di Gheddafi, solo lui, è tornato fastidiosamente a ricordarci questo passato rimosso: prima cacciando in malo modo gli italiani dalla Libia, poi chiedendo con ostinazione le scuse e i risarcimenti. Oggi, all’indomani della tragedia dei barconi di immigrati, con malcelata soddisfazione si fanno girare nei nostri giornali le foto dei maltrattamenti subiti in Libia da profughi eritrei e somali. Come a dire: guardate, i libici sono peggio di noi. No, non è così. Un paese come il nostro non ha mai fatto i conti, come la Germania ad esempio, con la coscienza sporca del proprio passato. Gli italiani non hanno massacrato gli ebrei... Peccato che anche gli italiani li rastrellavano, che un campo di concentramento è esistito anche dalle parti di Trieste. Noi italiani nelle colonie abbiamo portato solo il bene... Peccato che in Africa o nei Balcani i nostri massacri di civili non si distinguevano da quelli compiuti dai tedeschi o da altre forze in campo. Ma ora, gettando la maschera del buonismo, abbiamo imparato anche noi a fare la faccia feroce, a ributtare sulle coste libiche (a farli “rimbalzare”, dice graziosamente il rampollo di un noto patriota anti-italiano) gruppi di disgraziati somali e eritrei i cui nonni, 70 anni fa, dovevano vedersela, guarda caso, con i fucili e i lager dei buoni colonialisti italiani.
Consoliamoci pure mostrando le foto degli sgherri di Gheddafi che ammazzano di botte i profughi, ma non andiamo a raccontare che loro sono i cattivi e la civiltà sta dalla nostra parte. Quand’è che faremo anche noi i conti con la nostra storia più sporca, invece di continuare a “rimbalzarla” indietro nell’oblio?