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QT n. 8, settembre 2009 Cover story

Azienda risanata, servizi tagliati

Poste Italiane: utili sempre più alti, a scapito di servizi sempre peggiori. Mandando in crisi il vero capitale dell’azienda, il rapporto dei postini con il territorio. E’ l’ultimo esempio del fallimento italiano delle privatizzazioni.

Foto di Marco Parisi

Non appena si entra in un qualunque ufficio postale si pensa subito di aver sbagliato posto, di essere entrati in una banca o in qualche strano e approssimativo supermercato. Ci offrono libri e cd, grazie a convenzioni con i vari ministeri vi si possono ritirare passaporti, svolgere pratiche per gli immigrati, versare contributi INPS, tramite Banco Posta si può fruire di consulenze bancarie, attivare prestiti e mutui. Una costante: sempre in fila.

E il servizio postale? Che fine ha fatto?

Nell’estate molti sindaci, sostenuti anche dal Consorzio delle Autonomie Locali, hanno elevato alte proteste: per i presìdi chiusi, per gli orari ridotti, per pacchetti interi di posta arrivati con gravi ritardi; e questo non solo nei paesini, ma anche in località turistiche importanti, in capoluoghi di valle. E a Trento, anche nella sede centrale dalle pregevoli architetture razionaliste, il cittadino ormai sa che, varcate le porte, non tornerà indietro prima di venti minuti-mezz’ora di coda, quale che sia la pratica che vi deve sbrigare.

Non aggiungiamo i travagli cui è sottoposta l’editoria e, al suo interno, la distribuzione in abbonamento di QT (ricordiamo solo come negli anni ‘80 Questotrentino arrivasse puntuale nelle case degli abbonati sette ore dopo che avevamo finito la stampa, mentre oggi...)

Insomma, tutto questo si può riassumere con una parola: disservizio. Conseguente alla privatizzazione.

Le cose stanno proprio così? E perché? Oppure hanno ragione gli alti dirigenti di Poste Italiane? Che tranquillizzano, minimizzano, ricordano i riconoscimenti ricevuti da vari - serissimi, ohibò - enti di certificazione (a dire il vero, oggi non più credibili, dopo che se ne sono appurate le connivenze nel mondo delle banche) e scusandosi assicurano che i trascurabili disservizi denunciati non si ripeteranno?

In queste pagine rispondiamo a queste domande, preoccupandoci di dare la parola anche ai dipendenti delle Poste: superficiali, inaffidabili, lavativi (oltre che impenitenti seduttori di casalinghe)?

“Spiace autocitarsi, ma noi di Uil Posta, unici ad opporci, lo avevamo detto: il servizio pubblico, privatizzato e diventato Spa, sarebbe stato costretto all’utile, a discapito del servizio” - ci dice il sindacalista Diego Quaglierini.

In effetti i dati del bilancio di Poste Italiane sono impressionanti: dal ‘99 non solo è sempre in utile, ma con un utile continuamente crescente (vedi grafico sotto): dai 90 milioni del 2003 ai quasi 900 dello scorso anno. Parallelamente, l’importanza del servizio postale vero (il recapito della posta) è andato via via diminuendo: oggi (vedi secondo grafico) i servizi postali rappresentano solo il 30% dei ricavi dell’azienda.

Insomma, due dinamiche di fondo: un’azienda che si è via via razionalizzata, passando dalle perdite ai profitti sempre maggiori, dai 225.000 dipendenti del ‘97 ai 150.000 attuali, e che ha relegato in secondo piano (un terzo dei dipendenti) il servizio postale.

Questo processo non dovrebbe essere necessariamente negativo, anzi, risanare un carrozzone dovrebbe essere cosa buona e giusta. Ma con quali ricadute sul servizio?

Franco, portalettere da 13 anni, ci ricorda come all’inizio, nel ‘96, si trovasse molto bene: “Tutto era pianificato, in caso di assenze c’era il sostituto e la gente era soddisfatta del servizio. Oggi invece la posta viene portata a singhiozzo perché non ci sono le sostituzioni, di maternità, malattia o ferie. Oppure ci sono i precari assunti per un mese, a volte tre e in casi fortunati, pochi, per un anno: privi come sono della minima esperienza di lavoro, dobbiamo assisterli noi; poi abbandonano e si riprende il percorso con altre persone. È un lavoro che mi piace ancora, anche se molte cose non funzionano più; e noi lo scontento della gente lo percepiamo pesantemente”.

“Il lavoro è duro, soprattutto se ogni giorno cambi la zona da coprire - ci conferma Laura, precaria da poco più di due mesi - Può capitare che sia assente più di un postino e quindi dobbiamo saltare da una zona all’altra, anche dove ancora non conosci la realtà”.

Poste Italiane, nella polemica estiva, aveva cercato, contrattaccando, di prendersela con i sindaci che lamentavano i disservizi: i Comuni hanno le indicazioni stradali approssimative, le numerazioni cervellotiche, le caselle postali localizzate nei posti più impensati, ecc: logico che il postino novellino non ce la fa ad eseguire il recapito. Tutte cose vere. “Ma che prescindono - replica Quaglierini - dal dato di fondo che caratterizza e nobilita il recapito: la conoscenza del territorio, delle persone, delle loro esigenze. Per cui il postino è capace di prolungarsi l’orario perché sa che deve consegnare il giornale a una persona anziana che lo aspetta come l’evento del giorno, o la pensione attesa con ansia”.

“È questo rapporto che rende i postini una ricchezza sociale - commenta Alberto, portalettere da 30 anni - Le bollette di Trenta e Unicredit vengono distribuite da TNT: ma il recapito avviene solo in città; per la periferia, o nei casi di indirizzi sbagliati e che tornano indietro, TNT che fa? Affranca la bolletta e la invia tramite le Poste: saranno poi i postini a risolvere i problemi”.

A dire il vero, ci sono una serie di accordi sindacali e prescrizioni governative che definiscono con precisione le regole del recapito. Ma tra il dire e il fare, c’è di mezzo la volontà dell’azienda, che va in una precisa direzione: “Attraverso pressioni, promesse, velate minacce dei vari capi - denuncia Quaglierini - le regole non vengono applicate: la priorità viene data agli obiettivi aziendali - innanzitutto risparmiare sul personale - e secondaria è la consegna della posta, che può anche rimanere in giacenza”.

Angelo esemplifica con chiarezza: “Ferie come merce di scambio, concessione di permessi, chiusura di un occhio o anche due su eventuale corrispondenza non consegnata: questi gli strumenti di dirigenti e quadri per ‘convincere’ i dipendenti ad obbedire a certi strappi alle regole. Per esempio, dovrebbe esserci la disponibilità di una scorta di postini da giostrare per coprire le varie assenze; ma, in virtù del piano aziendale Tendenza Scorta Zero, queste scorte ogni anno sono sempre meno, e si cerca di ovviare con la consegna parziale della corrispondenza su più zone: consegnare solo i quotidiani e non i periodici, consegnare alle case sulla destra della strada e non sulla sinistra, ecc. E spesso sono proprio i precari a doversi sobbarcare questo lavoro. Avete mai visto ragazzi, per niente formati, consegnare posta nel tardo pomeriggio nelle parti più disparate della città?”.

Non aiuta poi la complessa realtà sindacale. La Cgil è minoritaria, la Cisl risucchiata in ottiche spartitorie, e unica a presidiare i principi confederali (visione complessiva, attenzione agli utenti) è la robusta Uil Posta, assediata però dai sindacati autonomi e dalle loro pelose cogestioni. La logica del carrozzone clientelare, con il sindacato a presidiare posizioni di privilegio, è rimasta anche con la privatizzazione (“I lavoratori sono iperprotetti, anche se fanno i lavativi” ammette Alberto; e Angelo rincara: “I sindacalisti trattano con il palazzo per interessi personali; in tanti anni di posta non ho mai visto un sindacalista non avanzare di carriera” - e magari passare alla politica, aggiungiamo noi; “Forse un tempo esisteva il vero sindacato, ma adesso...” commenta Agnese).

In questa situazione, la maggioranza dei lavoratori, che sarebbe motivata, si trova doppiamente frustrata: da un’azienda che sa razionalizzare solo riducendo il numero dei dipendenti e la qualità del servizio, e da un sindacato che globalmente non sa e non vuole opporsi a questo andazzo.

Il prossimo futuro riserverà ulteriori novità: se oggi Poste Italiane svolge in regime di monopolio il recapito di lettere sotto i 50 grammi, con il 2011 ci sarà una liberalizzazione completa. Probabilmente si ripresenteranno i problemi attuali: i vari corrieri estenderanno la concorrenza a Poste Italiane, ma solo nelle città, dove c’è da guadagnare. “E le periferie, chi le fa?” chiede provocatoriamente Alberto.

“L’Unione Europea stabilisce che con il 2011 dovranno scattare garanzie per il cittadino, che ha diritto a cinque recapiti e prelievi settimanali - ricorda Quaglierini - e ogni governo dovrà stipulare convenzioni con le aziende attrezzate a rendere questo diritto effettivo”. Insomma, si ritorna al problema dei controlli e delle Authority, che ormai è una barzelletta.

In compenso a breve su Poste Italiane sta ritornando un boomerang, che potrà dare esiti inaspettati. Negli anni scorsi, l’ansia di ridurre il personale ha portato ad assunzioni garibaldine di decine di migliaia di precari, che poi hanno intentato cause di lavoro per passare all’assunzione a tempo indeterminato; e queste cause le hanno vinte. È giunto in soccorso allora il governo Berlusconi, che fece un decreto ad hoc, “ad aziendam”, secondo il quale, invece di essere assunti, i ricorsisti venivano indennizzati con quattro soldi (sei mesi di stipendio). Due mesi fa, però, la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittimo il decreto.

“Ora Poste Italiane si trova a dover assumere 15.000 persone” annuncia Quaglierini. Si immagina con esiti positivi sul recapito.

Ma un settore strategico per la nazione come il servizio postale non può basarsi sull’episodio contingente di un’azienda che sbaglia clamorosamente la politica del diritto del lavoro e si trova a dover assumere chi pensava di poter sfruttare solo per pochi mesi.

Che il servizio postale sia vitale è assodato. È vero che negli ultimi anni c’è stato un consistente calo della posta, causa lo spostarsi della comunicazione su altri mezzi (e-mail, sms, cellulari, chat); ma è anche prevedibile una prossima espansione del commercio on-line, e quindi delle consegne a domicilio. La rete capillare costruita dalle Poste, in grado di raggiungere tutti i cittadini, è un bene prezioso sempre attuale.

E allora? Dobbiamo rassegnarci al suo decadimento? Come di altre cose in Italia?

E più in generale le privatizzazioni: tanto di moda in tutti i discorsi e programmi negli anni scorsi, non è il caso di prendere atto che sono fallite, e chiedersi il perché?

Abbiamo posto questi interrogativi a Michele Andreaus, professore associato di Economia Aziendale all’Università di Trento, a suo tempo, come tutti gli economisti, fra i fautori delle privatizzazioni.

“Il punto vero è quanto lo Stato vuole investire nei servizi - ci risponde - In questi anni i governi hanno deciso di contenere la spesa pubblica tagliando sui servizi, sociali e non. E così le Poste, che prima erano un costo, oggi per lo Stato, che ne è proprietario, sono fonte di introiti: a scapito del servizio”.

Ma non funzionano neanche le privatizzazioni vere, quelle in cui i proprietari non sono il Ministero del Tesoro, bensì i privati.

“Sono state acquisizioni senza soldi: Romiti per l’Aeroporto di Fiumicino, Colaninno e poi Tronchetti Provera per Telecom, e quindi la cordata di Alitalia, tutti hanno comperato indebitandosi; e poi gli utili li hanno utilizzati non in investimenti, ma per pagare i debiti. È chiaro che poi l’azienda arretra”.

C’è poi il problema dello spacchettamento delle attività: nel servizio di recapito, i corrieri privati nelle città, dove è facile guadagnare, con il timore che paesi e valli non vengano più serviti.

“Lo Stato dovrebbe concordare con il privato di riversare parte del guadagno dalle attività remunerative al sostegno a quelle più povere. C’è una tendenza negativa, invece, a separare: ad esempio nelle ferrovie, ai privati la ricca gestione della Freccia Rossa, allo Stato la manutenzione delle strutture e la gestione dei treni di servizio”.

Qui arriviamo al tema dei controlli: con i privati si fanno convenzioni e si stabiliscono obblighi, ma poi tutto si rivela una barzelletta.

“Le sanzioni o non vengono comminate, o risultano irrisorie. Penso che non sia il caso di dire che lo Stato non riesce a controllar: non vuole. Potrebbe avere tutti gli strumenti per farlo: in Germania e Inghilterra gli aeroporti sono privatizzati, ma funzionano egregiamente”.

Dobbiamo sperare nell’Europa, allora?

“Forse sì. L’auspicio è che la Ue ci imponga degli standard che siamo obbligati a rispettare. Perché vedo in Italia due tendenze: un arretramento dello Stato nel finanziare servizi e spesa sociale con conseguente degrado nei due campi; e una totale mancanza di strategia nelle privatizzazioni. Cito un esempio, la distribuzione dell’energia elettrica, che deve sottostare a prezzi e standard qualitativi stabiliti da un’Authority efficiente e severa. Questo ha spinto a una razionalizzazione del sistema, con l’accorpamento di municipalizzate che, piccoline, non riuscivano a garantire gli standard. Ma ecco che, con il decreto anticrisi, la Lega ha inserito un emendamento che permette alle società dei piccoli comuni di accollare i debiti allo Stato. Io mi chiedo: qual è in tutto ciò la strategia, sulla spesa e sui servizi?”