Dei delitti e delle pene
Legalità, diritti e società civile in un’intervista a Gherardo Colombo, ex PM di Mani Pulite
Ha le idee chiare Gherardo Colombo. Lo si vede dallo sguardo netto, dal fare deciso ma calmo, dall’attenzione e la cura che mette nello scegliere le parole, anche quando si conversa al tavolo di un bar. Colombo è noto per essere stato uno dei magistrati che ha lavorato all’inchiesta su Tangentopoli, come venne chiamato il sistema di finanziamento illecito dei partiti che il lavoro dei magistrati milanesi fece emergere a partire dal 1992. Ritiratosi dalla Magistratura dopo 33 anni di servizio, ora scrive libri e si occupa di editoria ma, soprattutto, gira l’Italia (gratis) per incontrare i ragazzi nelle scuole (quasi una al giorno, dice) e chiunque sia interessato ai temi della legalità, del rispetto delle regole, della giustizia. Ed anche a Trento è venuto a parlare ad una platea di studenti, quelli del Liceo Rosmini.
L’ex PM ne suscita subito la simpatia avvicinandoli, evitando il palco dove siedono gli altri relatori perché pare che chi sta di là abbia più valore di chi sta in basso che, per il solo fatto di trovarsi in posizione diversa, è soggetto a chi sta sopra. Così ne tiene viva l’attenzione per più di due ore, sfoggiando capacità oratorie che non stupiscono, se si pensa al suo passato di pubblico ministero, ma che scorrono fluide su un linguaggio piano e mai banale.
Usa tante metafore che chiariscono i concetti ed è esauriente anche quando evita di rispondere (sul Lodo Alfano), “perché il mio compito è quello di farvi riflettere e non di dire che cosa penso io. Fatevi la vostra opinione: leggetevi il testo della prima legge (la Lodo Schifani n.d.r.), le motivazioni della Corte Costituzionale che l’ha in parte annullata (l’art. 1, ritenuto in contrasto con gli artt. 1, 24 e 111 della Costituzione, n.d.r.) e la nuova legge. Solo chi si fa la propria opinione e trova i propri punti di riferimento diventa adulto”. E non risparmia provocazioni, come quando esorta: “Non vi piace la politica? Se non vi piace fatela voi e a chi non ritenete capace dite ‘Togliti che adesso faccio io’”. O quando, riferendosi agli sprechi, spiega “Sotto il profilo funzionale ridurrei il numero dei parlamentari e eliminerei i loro privilegi. Forse il bicameralismo perfetto è superato e andrebbe ripensato”. E non esita ad aggiungere: “E poi abolirei le province autonome, anche se mi rendo conto che qui non è un tema popolare...”. E i ragazzi lo seguono attenti, alzano le mani con domande di cui solo poche potranno essere formulate tanto che, alla fine, dovrà promettere che risponderà via e-mail a chi non ha potuto parlare.
Giustizia, informazione, gestione del potere sono solo alcuni dei temi toccati; temi che superficialmente si potrebbero etichettare come argomenti per specialisti e non per gente qualsiasi come noi. E allora giova chiudere con una delle tante domande-pungolo lanciate alla platea di giovani: esiste una relazione tra la possibilità di essere felice e le regole?
L’intervista che segue è stata registrata in un bar della città il 30 aprile scorso, prima dell’intervento presso il Liceo Rosmini.
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La legalità e, più in generale, il rispetto delle regole, non hanno in Italia la considerazione e il rispetto che hanno in altri Paesi. Perché?
Per una serie di motivi: il nostro è un Paese giovanissimo e deve ancora maturare. Inoltre per secoli vaste regioni sono state sottoposte a dominazioni straniere, l’autorità veniva quindi sentita dalla comunità come estranea e nemica e questo atteggiamento non è cambiato molto. E poi c’è il Vaticano, che si trova all’interno del nostro territorio ed emana regole (seppur di diversa efficacia) tanto quanto lo Stato. Così, chi crede si trova di fronte, talvolta, a due regole di contenuto opposto sulla stessa materia: da una parte gli si dice “puoi fare così”, dall’altra “è vietato fare così”, come è successo, per esempio, a proposito della interruzione dell’alimentazione di Eluana Englaro. È evidente che quando ciò si verifica lo stesso concetto di regola si svaluta. Secondo me esiste anche un diffuso travisamento del significato del perdono: succede spesso che le persone pensino che il perdono agisca non su quello che si è già fatto, ma su quello che si farà. Il ragionamento è: “So che questa cosa non va fatta, ma so anche che sarò perdonato, e quindi la faccio lo stesso”.
Oltre che in famiglia, è a scuola che si formano i nuovi cittadini. La scuola fa abbastanza per diffondere la legalità, il rispetto, il vivere sociale?
Non parlerei di scuola, che è un concetto astratto nel quale si perde il legame con le persone, ma di insegnanti. Il loro atteggiamento è molto vario: alcuni (si spera siano tanti) hanno ben presente il compito di educare e vi si impegnano con passione; alcuni vedono la scuola essenzialmente come fonte di reddito, e tirano a campare; alcuni hanno le idee un po’ confuse, e in buona fede tengono comportamenti contrari a quanto propongono, trasmettendo attraverso quel che fanno il contrario di quel che dicono. Non credo che si possa dire che nel secondo e nel terzo caso gli insegnanti svolgono un ruolo positivo.
I principi morali sono importanti ma non possiamo chiedere ai cittadini di essere degli eroi. Dovrebbe essere incentivata la legalità e premiati i comportamenti virtuosi.
Non possiamo chiedere ai cittadini di essere eroi, ma possiamo chiedere loro di essere adulti. La differenza tra adolescente e adulto dovrebbe stare nel fatto che mentre il primo sta cercando i propri punti di riferimento, il secondo li ha acquisiti, almeno i basilari. Succede che le persone si lamentino che la legge non è uguale per tutti e si comportino in modo da perpetuare la disuguaglianza. Agli studenti che incontro faccio questo esempio: chiedo se hanno fratelli minori, e se si comportano con loro come se avessero gli stessi loro diritti. Se, per esempio, impongono il programma televisivo. Quasi sempre rispondono di sì, che si impongono ai più piccoli. Spesso perpetuiamo, magari inconsciamente, il modello della disuguaglianza: applichiamo regole contrarie alle leggi, regole che ci facciamo noi, secondo le quali il più forte, il più arrogante, il più ammanigliato prevale.
La corruzione e il malaffare sono in aumento o è solo una questione di visibilità dovuta al grande spazio che questi comportamenti hanno sui media?
Anche dopo l’entrata in vigore della Costituzione tante leggi sono state per lungo tempo più coerenti con la società verticale (cioè organizzata gerarchicamente, n.d.r.) che orizzontale: per esempio, per ben 27 anni dopo la Costituzione il codice civile ha continuato a imporre, in famiglia, disuguaglianza tra uomo e donna; fino ai primi anni ‘60 era vietato alle donne entrare in Magistratura; fino a pochi anni fa le donne non potevano fare il poliziotto o il carabiniere. Esisteva un diverso senso dei rapporti tra i cittadini, e tra questi e il potere, tanto che era quasi impossibile che la magistratura andasse a mettere il naso nel cassetto dei potenti. Tanti comportamenti che oggi sono illeciti allora erano consentiti; tanti altri, che erano illeciti anche allora, non emergevano.
Il magistrato è come il chirurgo: individua il male e cerca di estirparlo. Ma non crede che, oltre che degli effetti della malattia, dovremmo occuparci delle cause?
Non credo proprio che sia questo il suo compito. Il magistrato deve stabilire chi ha ragione e chi ha torto, attribuire esattamente le responsabilità; si tratta quindi di un compito di verifica e di garanzia. È vero invece che bisogna guardare alle cause, mentre di solito ci si occupa del dopo, cioè della repressione e si dimentica la prevenzione. Sa quanti sono oggi i detenuti in Italia? Circa 60.000 e ciascuno di loro costa 150 € al giorno. A fronte di questa spesa non trascurabile, il 68% di loro, quando esce dal carcere, commette nuovamente reati. Le pare uno strumento efficace? Evidentemente no. Ma il carcere è una risposta al bisogno di sicurezza, che a sua volta è una risposta alla paura. E davanti alla paura si dimentica di chiedersi se la pena sia uno strumento efficace per marginalizzare l’illecito.
Un aspetto delicato della giustizia è il rapporto vittima-colpevole. Pare spesso che si garantisca all’eccesso il colpevole e non ci si preoccupi abbastanza delle vittime.
Ci sono garanzie che, dilatando senza ragioni effettive i tempi del processo, allungano pesantemente il percorso di giustizia qualche volta anche a scapito del colpevole che, se il reato non è tra quelli che si prescrivono con una certa rapidità, può essere condannato anche a tanti anni di distanza dalla commissione dei fatti, quando magari è diventato una persona diversa. Purtroppo è vero che c’è pochissima attenzione per le vittime le quali, a volte, vengono pure violentate ulteriormente dalle istituzioni, quando queste agiscono senza alcuna sensibilità rispetto al male che le vittime hanno subito. Attraverso il processo bisognerebbe tendere a far sì che la vittima si senta riparata. Invece la vittima, spesso, è indotta a pensare che il suo unico interesse sia la vendetta, la sofferenza del colpevole.
In questa società multiculturale come si fa ad individuare principi di giustizia su cui costruire un sistema condiviso?
Credo che il riferimento essenziale sia il rispetto della persona, di tutte le persone, che vuol dire, perlomeno, di evitare di trattare gli altri come non si vorrebbe essere trattati.
Cittadinanza responsabile e solidale al Liceo Rosmini
“Cittadinanza responsabile e solidale” è un progetto che va avanti da alcuni anni, rivolto a tutte le classi del ciclo con l’obiettivo di favorire la crescita della coscienza civica degli studenti. L’idea di fondo è quella di usare la scuola come una “palestra delle regole”, abituando i giovani al rispetto di queste e della legalità e alla partecipazione responsabile alla vita sociale. Questo percorso è stato inserito nell’ambito delle materie di studio senza appesantire il programma, coinvolgendo varie realtà del territorio e stimolando i ragazzi all’approfondimento e alla riflessione. Per ogni classe è stata studiata una proposta specifica: alle quarte è stato assegnato il tema “Le regole, le violazioni, le sanzioni: percorsi nella storia e nell’attualità” ed è stata proposta la lettura del libro “Sulle regole” di Gherardo Colombo (recensito sul numero di febbraio 2009 di QT), autore che gli studenti hanno incontrato lo scorso 30 aprile.