Menù
Home
QT
Questotrentino
Mensile di informazione e approfondimento
Utente
Cerca

Corruzione

La parola corruzione è sinonimo di corrosione. I due vocaboli si assomigliano anche foneticamente. Ma ciò che impressiona di più è il loro conturbante identico significato.

Corrosione esprime quel processo che consiste nell’intaccare e decomporre, demolire lentamente ma inesorabilmente un corpo solido. Il cui participio passato suona corroso, cioè sfasciato, distrutto.

Corruzione allude allo stesso fenomeno, ma non applicato ad un corpo solido, bensì a una comunità umana, a una collettività di persone che convivono, operano, producono beni e cultura, entro un modello di regole che ne garantisce l’armonia. Un tale modello è disgregato, decomposto, smontato dalla corruzione quando essa sia diffusa in maniera significativa. Il suo participio passato è corrotto, ma una società invasa dalla corruzione è anche corrosa.

La corruzione, si badi, non è niente di straordinario in un sistema basato sull’economia di scambio. Un tale sistema non è altro che uno sterminato intreccio di do ut des, di scambi di beni e servizi con denaro o altra utilità. La corruzione appunto si verifica quando un pubblico ufficiale, per omettere o ritardare un atto del suo ufficio o per averlo compiuto in violazione dei suoi doveri, riceve denaro od altra utilità (art. 318 e 319 del codice penale). Insomma, anche la corruzione non è altro che uno scambio di favori, da una parte un atto compiuto dal pubblico ufficiale, dall’altra un compenso pagato dal privato. In una cultura pervasa dalla logica del reciproco vantaggio anche la corruzione trova la sua collocazione.

È esattamente ciò che è avvenuto in Italia e che ci è rivelato in questi tempi così calamitosi. Non ci è rivelato da un ministro o da un gruppo parlamentare. Cioè non sono i politici a denunciare le malefatte, anzi spesso ne sono gli autori. Sono i pubblici ministeri, i giudici, a scoprire e perseguire un fenomeno criminoso che, per le dimensioni raggiunte, rivela tutta la sua attitudine corrosiva.

Non è il sud d’Italia a primeggiare. Non è solo la Mafia, la Camorra, la ‘Ndrangheta o la Sacra corona unita. È Milano, attorno all’Expo, è Venezia nei paraggi del Mose, è l’Aquila del dopo terremoto. Ed anche altrove. E i protagonisti non sono solo esponenti politici. Ci sono anche quelli, con ex ministri addirittura in carcere; ma ci sono funzionari pubblici, alti dirigenti della Guardia di Finanza, consulenti e manager dell’industria, imprenditori piccoli e grandi. Il terreno più fecondo sono gli appalti.

Tu mi fai un offerta al ribasso e io ti do l’appalto. Poi, in corso d’opera, aggiorneremo i prezzi e i costi saliranno alle stelle, ma impresa e pubblico ufficiale ne guadagneranno. Pare che per operazioni di questo tipo sia movimentata una massa imponente di denaro. Addirittura ho letto una stima di varie decine di miliardi di euro. Non so immaginare come si possa fare una tale valutazione. Se è possibile calcolare il giro di affari in relazione agli episodi scoperti, non capisco come sia possibile inscrivere nelle statistiche anche l’ammontare del valore dell’intero fenomeno sommerso. È comunque probabile che si tratti di calcoli basati su ipotesi di probabilità.

Ma l’aspetto più grave non è rappresentato dall’ammontare delle somme di denaro coinvolte. Ciò che più è devastante nella prassi della diffusa corruzione è lo smantellamento dello stesso principio di legalità. Una comunità umana convive civilmente solo nel rispetto delle regole che si è data. La violazione della legalità può essere sanzionata. Ma la sua osservanza deve costituire il presupposto condiviso dalla maggioranza dei suoi componenti. Se invece è diffusa una benevola tolleranza verso la inosservanza delle leggi, il sistema vacilla. Vi ricordate quel capo del governo che ebbe a dire che, siccome il carico fiscale è assai pesante, si poteva comprendere la tendenza ad evaderle? È questo un indizio esemplare della mentalità diffusa in Italia. Ora Renzi ha giustamente detto che non c’è bisogno di nuove leggi per combattere la corruzione. Quelle esistenti bastano. Ciò che occorre è che i cittadini che abbiano notizia di atti di corruzione li denuncino. Temo che sia una illusione. Ma certo, se ciò accadesse, sarebbe motivo di sollievo. Può darsi che vi sia una minoranza di italiani disposti a farlo. Basterebbe. Sarebbe l’ulteriore riprova che a salvare l’Italia è sempre la minoranza dei suoi cittadini.