Trentino da esportazione
Globalizzazione fra contributi di mamma Provincia e spirito d’impresa. Comunque l’export trentino continua a crescere.
Ottocentoventiquattro milioni di euro. A tanto ammonta il saldo positivo del commercio con l’estero delle imprese trentine. Il tesoretto in questione rappresenta uno dei dati più significativi, utile a confermare che l’export trentino continua a tirare, nonostante il periodo di vacche magre che caratterizza l’economia in provincia.
In dieci anni, le esportazioni sono aumentate quasi del 43%, passando da un valore complessivo di 2,1 milioni di euro del 1997 ai 3 milioni dello scorso anno.
Performance notevoli se confrontate con le altre regioni del nord Italia, da sempre vocate alle esportazioni. Nello stesso periodo il Piemonte ha aumentato il proprio export solo del 12,5 percento, il Veneto del 29,9 percento e la Lombardia del 31,3 percento. Il Friuli registra una dinamica in tutto simile al Trentino (+42,5%), mentre è l’Emilia Romagna a fare il balzo più significativo con un + 51,6% nel decennio.
Ma allora perché, otto mesi fa, Ilaria Vescovi, neopresidente di Confindustria trentina, nel giorno della sua prima uscita pubblica all’assemblea degli industriali (vedi Industria negletta. Perchè? n.18/2007), sentì il bisogno di lanciare un appello ai colleghi imprenditori affinché fossero più determinati nel cogliere le opportunità dell’internazionalizzazione?
Il motivo è presto detto. La propensione ad esportare del sistema produttivo trentino è ancora troppo bassa. Lo certifica l’Osservatorio provinciale su Economia e domanda sociale, che proprio nei giorni scorsi, ha pubblicato il sistema degli indicatori per il 2008. Un dato su tutti: l’incidenza percentuale delle esportazioni trentine sul valore aggiunto complessivo di agricoltura e industria in senso stretto è pari al 100,1%, un valore decisamente minore rispetto a quello registrato dal Nord-Est nel suo complesso (123,5%) e dell’intera Italia (111,8%).
Inoltre – e questi sono dati dell’Ufficio statistica della Pat riferiti al 2005 – sul territorio le imprese che vedono la partecipazione di capitale straniero sono il 7,9% di tutte quelle con più di 20 dipendenti. In valore assoluto, si tratta di 23 aziende contro le 25 del 2003.
Anche per questo Confindustria trentina lanciò un appello alle aziende locali. "Internazionalizzarsi – sostenne Vescovi alla presenza del presidente Montezemolo e della ministro Bonino - significa, oltre che incrementare il proprio fatturato aziendale e recuperare importanti economie di scala, anche godere di una formidabile opportunità di crescita tecnologica ed organizzativa, e cogliere occasioni di confronto che generano nuove conoscenze, nuove esperienze e nuove professionalità. La capacità di un’impresa di stare sul mercato dipenderà sempre più dalla capacità di partecipare a reti di relazioni di scala internazionale; per acquisire innovazioni, conoscenze e competenze prodotte anche in altri contesti, da integrare e valorizzare con le proprie specificità".
E concluse laconica: "Di contro, una realtà che non investirà con convinzione nella sua proiezione internazionale, finirà non solo per porre in serio pericolo il proprio posizionamento sui mercati, ma anche per compromettere il livello di benessere conquistato". Più chiara di così non poteva essere.
Purtroppo però la capacità dei confindustriali di assumersi in pieno la responsabilità di questa debolezza finì qui. Da lì in poi Vescovi rispolverò l’antico motto: "Mamma Provincia, devi fare di più". Infatti la presidente degli industriali ribadì l’impressione che "in Trentino, in termini di politica economica, si faccia francamente ancora troppo poco".
La richiesta fu allora quella di puntare a ciò di cui le aziende avrebbero davvero bisogno: fiere, certificazioni di prodotto, contatti commerciali, ricerche di mercato, documentazione, assicurazioni sul credito. E magari qualche corso d’inglese, visto che nella ricerca presentata dal professor Mannheimer a Mattarello, la conoscenza delle lingue straniere non è certo il fiore all’occhiello degli imprenditori locali.
Tutto questo per gli industriali dovrebbe avvenire grazie all’intervento della Provincia. L’indagine di Mannheimer è davvero illuminante a questo proposito. Alla domanda rivolta agli industriali trentini che già operano con l’estero, su chi dovrebbe promuovere i servizi per l’internazionalizzazione, il 37% degli imprenditori dice che dovrebbero occuparsene le associazioni di categoria, cui segue con il 28% la Camera di Commercio. Ma quando agli industriali viene chiesto cosa dovrebbe fare la Provincia, ben il 41% reclama "l’erogazione di contributi". Gli imprenditori che chiedono invece più missioni all’estero sono il 17%, più formazione il 12% e più strategia di sistema il 10%. Insomma, gli imprenditori l’internazionalizzazione sembra vogliano farsela da sé, ma con i soldi della Provincia.
Ma sarebbe davvero necessario e utile un ulteriore impegno finanziario della Provincia, considerato il fatto che già ora sono molto poche le aziende che utilizzano gli incentivi messi a disposizione di piazza Dante?
Il dubbio lo sollevò la stessa Vescovi, che però addebitò il fallimento degli aiuti all’internazionalizzazione, non tanto alla scarsa vocazione internazionale degli imprenditori trentini, quanto all’eccessiva complessità delle normative.
Ma forse è proprio la ridotta consapevolezza della necessità di aprirsi al mercato globale come occasione di innovazione in azienda, oltre all’assetto delle imprese trentine, a rappresentare il vero limite all’accesso ai mercati globali.
Per capirlo è sufficiente leggere le risposte dei confindustriali nell’indagine di Mannheimer. Le imprese che operano all’estero (ne sono state consultate 140) lo fanno per lo più come occasione di crescita (si tratta del 42% delle risposte). Rispondono così il 47% delle S.p.A. intervistate, il 58% delle imprese sopra i 50 dipendenti e il 48% quelle con oltre 10 milioni di euro di fatturato. Solo il 10% delle aziende interpellate ha dichiarato di lavorare con l’estero come opportunità di crescita economica e qualitativa.
Tra chi in questo momento non ha particolari intrecci commerciali con l’estero, la maggioranza sono quelli che dell’internazionalizzazione non sentono la necessità (il 32%). Il 22% ammette di non avere le dimensioni adatte e il 14% dichiara di non avere le competenze necessarie. Insomma, sono le aziende medio-grandi (oltre i 50 dipendenti) ad avere ben chiaro di doversi confrontare con il mondo se vogliono crescere.
Il problema è che queste aziende sono mosche bianche nel panorama dell’imprenditoria locale. Secondo gli indicatori Opes riferiti al 2003, rappresentano infatti lo 0,7% di tutte le imprese operanti in Trentino, un dato al di sotto della media italiana (2,3%) e di tutte le altre nazioni sviluppate. Basti pensare che di questa taglia sono ben il 3,3% delle imprese spagnole, il 4% di quelle francesi, il 3,7% di quelle svedesi, il 6,9% di quelle britanniche, per non parlare della Germania che detiene il record con il 10,2% delle imprese che occupano più di 50 dipendenti.
Se a ciò si aggiunge che ben il 93,8% delle imprese locali ha meno di 10 dipendenti, si comprende bene la difficoltà di aggredire i mercato mondiali da parte del sistema produttivo trentino.
Intanto la Provincia stanzia risorse crescenti. Nel bilancio 2008 ha previsto investimenti per 5,8 milioni di euro per la promozione dei prodotti trentini e altri 3,5 milioni per l’istituzione dello sportello per l’internazionalizzazione. Recentemente la Giunta provinciale ha poi approvato il piano di internazionalizzazione per il 2008.
Il piano, che viene attuato da Trentino Sprint, società consortile costituita dalla Camera di commercio e da Trentino Sviluppo, prevede tre progetti. In primo luogo la Provincia punta a consolidare l’interscambio con gli Stati Uniti, mercato verso il quale la bilancia commerciale è saldamente in attivo, con le esportazioni trainate dalle produzioni vinicole e delle macchine per l’industria.
Il secondo progetto riguarda invece la Russia, considerata come mercato strategico per quanto riguarda l’esportazione di macchinari, di prodotti agroalimentari e del settore lapideo. Ma con Mosca il 2008 sarà anche l’anno della collaborazione tecnologica. L’Università di Trento e l’Accademia russa di scienze daranno vita infatti ad un laboratorio congiunto per la ricerca nel campo delle nanotecnologie e biomateriali.
Infine si punta ad esplorare il mercato di uno dei più ricchi paesi del Golfo Persico, gli Emirati Arabi Uniti. In questo caso la Provincia vuole sondare le possibilità di collocare su questo mercato esportazioni di prodotti di alta qualità, tra l’altro, nel campo dei materiali lapidei. Nel piano 2008, invece, la Provincia sottolinea la necessità di monitorare anche l’economia cinese, la più dinamica del mondo negli ultimi anni.
Quello cinese è un mercato verso il quale le imprese trentine stanno aumentando l’export, anche se oggi i valori delle esportazioni sono ancora ridotte. Soprattutto fino ad oggi la bilancia commerciale è in passivo: importiamo infatti più di quello che esportiamo. Complessivamente, nel 2007, le importazioni dalla Cina raggiungono oggi un valore di 92 milioni di euro contro esportazioni di poco superiori ai 34 milioni, trainate per lo più dall’industria meccanica (per circa 27 milioni).
Questo dato conferma la difficoltà, in questa fase di incertezza, da parte delle imprese locali, di riorientare il propri mercati di riferimento. Dubai e Mosca possono essere sbocchi decisamente importanti per le nostre imprese e la Cina lo sarà sempre di più, da qui in avanti.
Mentre il mondo corre verso il consolidamento del mercato globale, oggi le nostre esportazioni restano ancorate all’Europa. Ben il 67% delle vendite all’estero riguardano i Paesi dell’Unione Europea a 27. C’è però da sottolineare come la proporzione stia lentamente modificandosi. Nel 2005 la quota di export all’interno dell’Unione era infatti pari al 68,7%.
Di fronte a questo stato di cose anche il sindacato ha preso posizione per chiedere alle imprese più impegno sul versante dell’internazionalizzazione. "Oggi – ha sostenuto il segretario della Cgil del Trentino, Ruggero Purin, commentando i dati sull’export trentino – è fondamentale che le aziende investano su innovazione e internazionalizzazione per reggere la competizione globale, garantire la crescita economica e quindi rafforzare il nostro sistema di coesione sociale. Se gli imprenditori dimostreranno di credere in questa sfida, anche i sindacati faranno la loro parte. Questa è una scommessa che si vince insieme".
Per Purin bisogna partire dalla consapevolezza che oggi innovazione e internazionalizzazione vanno a braccetto: "Affrontare i mercati internazionali significa puntare sulla qualità dei prodotti ma anche dell’organizzazione del lavoro. Senza produzioni innovative e ad alto valore aggiunto, le nostre imprese rischiano di rimanere spiazzate".
La ricetta per il segretario della Cgil dovrebbe essere quella di puntare sui settori che già oggi trainano le esportazioni – in primo luogo le apparecchiature meccaniche e le macchine per l’industria che da sole rappresentano il 31% delle esportazioni trentine – facendo sì che questi settori sappiano interpretare la sfida della globalizzazione come un’occasione per reinventarsi e diventare ancora più innovative. "Per esempio – argomenta Purin – quello della meccanica può sembrare un settore maturo. Ma è certo che i Paesi in via di sviluppo, almeno per qualche anno, dovranno necessariamente importare le tecnologie per sostenere la propria industria. Quello della meccanica, inoltre, è un settore molto diffuso da noi, come in tutto il Nord Italia. Inoltre quest’ambito ha ancora la possibilità di intrecciarsi all’innovazione nel campo dell’elettronica, dell’informatica e dell’innovazione in campo energetico, creando buone prospettive di valore aggiunto. Per far sì che questo accada, serve però un rinnovato impegno affinché le imprese crescano di dimensioni e diventino vere incubatrici di innovazione, supportate dai nostri centri di ricerca e dal sistema finanziario locale".