Professione guardaboschi
Un lavoro nascosto, una figura importante da rivalutare.
Il guardaboschi è una figura storica e forte della gestione del patrimonio di pascoli e boschi delle Alpi. Ha segnato la storia del territorio, in alcune zone, specie ad Ovest e nelle Prealpi con un ruolo ridotto a compiti di polizia e assegnazione delle parti di legna, mentre nel Triveneto, grazie alla cultura ereditata dall’ìmpero austro-ungarico, su questo lavoro sono cadute responsabilità più importanti, arrivando a coprire la gestione, anche economica, del patrimonio dei boschi. Prima la cultura accentratrice fascista, e poi il marcato distacco delle amministrazioni locali dalla gestione del territorio extraurbano, hanno poi portato alla scomparsa della professione, anche nelle Alpi orientali.
La figura del guardaboschi è ancora presente solo in provincia di Bolzano, comunque ormai assorbita dal servizio forestale provinciale e quindi destinata all’esaurimento, e nel Trentino.
E’ un lavoro invisibile, sicuramente non percepito dagli abitanti dei nuclei urbani più importanti come Trento o Rovereto e sempre marginale anche in tanti minuscoli comuni che non traggono dalla gestione dei boschi un ritorno economico importante: invece nelle zone delle valli dell’Avisio, del Tesino, del Primiero ed in tante ASUC l’importanza di questa figura professionale è ancora significativa.
Nel Trentino ci sono 171 custodi forestali dipendenti da una miriade di consorzi, ben 49, all’interno dei quali troviamo una differenza di comportamenti nella gestione del personale che ha dell’incredibile.
In alcune realtà questi custodi, non certo in assenza di conflitti, vengono coordinati nel lavoro dalle Stazioni Forestali, mentre altrove dispongono di una forte autonomia decisionale, e in altre ancora imperversano comportamenti anomali da parte degli amministratori comunali. Eppure siamo in presenza di una legge provinciale che regola questo lavoro (è del 1976, aggiornata nel 1991), i consorzi ricevono dalla Provincia l’80% dei fondi necessari a pagare gli stipendi, e sempre la Provincia (per quanto in modo sempre più discutibile almeno riguardo la qualità) fornisce anche il vestiario.
Non c’è dubbio che sia necessario un intervento che riporti un minimo di chiarezza in questo lavoro e l’occasione viene fornita dalla nuova legge provinciale in materia di gestione della montagna e delle foreste, la legge 11 del 2007.
All’interno della quale si prevede esplicitamente la riformulazione del regolamento dell’attività di questa professione.
Contemporaneamente al varo della legge i custodi si riunivano in una associazione che oggi li rappresenta quasi al 90%. Un passaggio obbligato, visti i comportamenti per lo meno ambigui tenuti in tutti questi anni dal sindacato che li rappresenta, in via maggioritaria, la CISL, un sindacato che sembra rispondere più alle richieste che provengono dal presidente Dellai piuttosto che ai reali bisogni degli associati.
E’ però doveroso chiedersi: questi lavoratori, visto che sono scomparsi da tutte le Alpi italiane, servono proprio? Perché non accorparli al Servizio Foreste? Sono le domande che si pongono alcuni (pochi) sindaci e qualche dirigente provinciale.
Ci sono settori ai quali la forte autonomia del lavoro del custode risulta fastidiosa. A qualche sindaco, che sul suo territorio non trova redditizia la gestione del patrimonio boschivo, disturba avere una persona che controlla, che interviene in materia di caccia e di urbanistica, che è preposta a conoscere nel dettaglio ogni piega del territorio montano.
Questi amministratori ed alcuni dirigenti avrebbero quindi sposato con esultanza la scomparsa della specificità di questo operatore.
La parte più matura degli amministratori comunali, pur vivendo a volte delle insofferenze specie riguardo i compiti di polizia giudiziaria del custode, si rende invece conto della insostituibilità di questa figura professionale.
I sindaci e gli uffici tecnici hanno ormai lo sguardo concentrato soprattutto su quanto accade nell’area urbana dei loro comuni. Al contrario, i sentieri che portano in quota, la corretta gestione dei pascoli, i bisogni delle malghe e della viabilità di accesso, la stessa gestione del patrimonio boschivo sono aspetti sempre più lontani. Dovessero avvenire emergenze dovute ad eventi calamitosi, non saprebbero nemmeno da dove iniziare per intervenire, perché nessuno li avvisa più di situazioni di pericolo o di depauperamento del patrimonio silvo-pastorale. Il Servizio Foreste della Provincia si trova impegnato in tutt’altri compiti e poi deve risposte operative all’amministrazione provinciale, non ai singoli comuni o alle ASUC. Attualmente il custode forestale rimane quindi l’unico sguardo rivolto all’esterno del territorio urbanizzato dei comuni.
Con un intenso lavoro l’associazione che oggi li rappresenta vuole allargare sia le competenze che l’autonomia della figura del guardaboschi. Nella proposta avanzata al Servizio Foreste, all’Assessorato e al Consorzio delle Autonomie comunali si ribadisce lo stretto legame del custode con la sua zona di vigilanza, la dipendenza dalle amministrazioni comunali (anche in forma associata, o in Consorzi o nelle Comunità di valle), la necessità di mantenere una stretta collaborazione operativa con le Stazioni Forestali. Ma si invitano gli amministratori a guardare oltre e ad offrire così nuove opportunità di impegno leggendo nel custode non solo il poliziotto del bosco o l’esperto di legname e di lavorazioni in bosco, ma anche un operatore e formatore di cultura da inserire nei percorsi scolastici, nel settore del turismo, nella gestione della sicurezza del territorio, da offrire come valore di conoscenze dettagliate alla Protezione Civile.
Se il progetto dell’investimento della Provincia nei territori vuole avere una qualche coerenza, questo passaggio diventa obbligato. Solo con la difesa di questa figura professionale un comune può mantenere e ricostituire la sua autonomia nella gestione del patrimonio boschivo, solo attraverso questo operatore il comune può offrire risposta a tanti residenti che ancora vivono legati ai boschi, o per affetto, o perché richiedono la parte di legna che gli spetta, o per gestire correttamente la raccolta dei funghi e i vari aspetti legati alla caccia. Solo con questa figura così radicata nel territorio si può costruire un legame fra il patrimonio naturalistico ed i nuovi bisogni dei turisti, ospiti che sempre più spesso anche in inverno entrano nei boschi e li percorrono lungo le strade forestali ed i sentieri.
I prossimi mesi porteranno risposte definitive alla situazione qui descritta, che come abbiamo già detto oggi risulta ancora confusa, contraddittoria.
La nuova associazione che raggruppa i custodi trentini è impegnata in un lavoro propositivo che sicuramente porterà gli amministratori dei comuni ma anche i dirigenti del Servizio Foreste ad utili riflessioni.
Le decisioni che saranno prese indicheranno quale ruolo la Provincia di Trento vuole affidare al suo territorio non urbanizzato. Una decisione accentratrice significherà accentuare la cultura dell’abbandono, della marginalità dei boschi, dei pascoli, delle alte quota, cioè investire ulteriormente nella svendita del patrimonio paesaggistico e naturalistico del Trentino, lasciando mano libera, come sta accadendo oggi, e nuove opportunità agli appetiti dei poteri forti.
Recuperare e rafforzare la figura del custode forestale significherebbe al contrario offrire nuovo slancio nel recupero di tradizioni quasi perdute, di attenzioni verso i valori rappresentati dal nostro patrimonio boschivo ed un investimento concreto nel ruolo e nell’autonomia dei comuni.