Sinti e Rom: l’esempio di Bolzano
Dai campi nomadi alle microaree: una risposta civile ad un problema che la demagogia non può risolvere.
Per parlare di Sinti e di Rom senza isterismi è ormai necessaria una buona dose di coraggio: in tempi in cui alla riflessione si sostituisce l’irrazionalità, all’intervento sociale la repressione e al tema della giustizia sociale quello della sicurezza, chi vuole affrontare la questione con pragmatismo rischia di ritrovarsi da solo.
Non è forse un caso, dunque, che sia stata proprio Bolzano ad ospitare la manifestazione "Il presente di un popolo antico", una tre giorni di dibattiti, musica e cultura sinta svoltasi dal 7 al 9 settembre scorsi all’Eurac e organizzata dall’associazione Nevo Drom (fondata dal sinto Radames Gabrielli) con il sostegno di Comune e Provincia. Un incontro aperto non solo alle realtà altoatesine, dal momento che vi hanno partecipato associazioni da tutta Italia.
Il convegno è stato l’occasione ideale per fare il punto sulle politiche locali riguardanti questa minoranza etnico-linguistica e anche - per i numerosi partecipanti arrivati dal Trentino - per misurare le differenze nel cammino compiuto in questo campo da Trento e Bolzano.
Poco più di cinquanta chilometri separano le due province, eppure, dal punto di vista dell’intervento pubblico a favore di Rom e Sinti, la distanza non potrebbe essere più grande. La sensazione è che, nonostante anche in Alto Adige la situazione non sia tutta rose e fiori, il pragmatismo di un’amministrazione decisa a prendere in mano la questione dell’abitare di Sinti e Rom, della scuola per i bambini, della formazione professionale, abbia creato le condizioni per una convivenza meno problematica che in Trentino. E questo nonostante Sinti e Rom siano in Alto Adige molti di più che nella nostra provincia: circa 700 (300 in Trentino), un terzo dei quali Rom arrivati nel corso delle guerre nell’ex Yugoslavia.
Resta lo scandalo di Castel Firmiano, dove il campo nomadi è stato costruito sopra una pericolosa discarica, provocando seri danni alla salute dei Rom che vi abitano e che ancora attendono una nuova collocazione.
Prima questione affrontata dall’amministrazione della vicina provincia è stata quella dell’abitare di Sinti e Rom, partendo dal presupposto che la formula del campo nomadi ha dimostrato, negli anni, tutta la sua inefficacia.
Raggruppare (nascondere?) una minoranza culturale e linguistica, peraltro segnata da secoli di discriminazione, in un’area ristretta e spesso lontana dalla città, equivale a costruire un ghetto, dove anomia e disagio non fanno che riprodursi.
Ce lo spiega il dottor Karl Traugust, dirigente della ripartizione Politiche sociali dell’assessorato alla Sanità e al Servizio sociale della Provincia di Bolzano, che ha partecipato ai lavori del convegno organizzato da Nevo Drom: "In questi ultimi 15 anni, la situazione abitativa di Sinti e Rom in provincia di Bolzano è migliorata molto. Sono state create le prime microaree e anche se non dappertutto la situazione è soddisfacente, come è il caso di Merano e Bolzano. Poi ultimamente c’è stata l’assegnazione di numerosi alloggi da parte dell’Istituto di edilizia popolare (Ipes) e ci sono state buone esperienze di integrazione, anche se problemi ce ne sono sempre, dal momento che il passaggio dal campo alla casa non è mai semplice, perché ha a che fare con abitudini culturali molto radicate".
La provincia di Bolzano ha dunque imboccato con decisione il percorso che porta dal campo alle microaree, una soluzione abitativa che permette di conciliare le esigenze di Rom e Sinti con la necessità di evitare la costruzione di nuovi ghetti.
Si tratta di piccoli appezzamenti di terreno provvisti di aree di sosta per roulottes e dotati di allacciamenti ad acqua, gas ed elettricità, pensati per accogliere una famiglia allargata, evitando così la convivenza forzata tra diversi nuclei parentali nel campo, spesso fonte di dissidi.
Spiega Traugust: "Le microaree sono sicuramente una soluzione interessante e rappresentano un passo importante verso l’integrazione nel contesto sociale. Se non ho un posto dove per diritto posso fermarmi, tutto il resto non può funzionare. Come posso mandare a scuola i bambini, avere un lavoro o un rapporto alla pari con l’amministrazione pubblica se non ho un luogo dove vivere?".
Per il momento questo tipo di soluzione è stata adottata a Lana e a Bressanone, ma l’intervento della Provincia in questo senso è destinato ad ampliarsi, grazie al nuovo piano sociale provinciale che verrà presto discusso in Consiglio.
"L’intervento a favore di queste minoranze linguistiche – dice Traugust - è iniziato nel 1996 con il primo Piano provinciale per la sistemazione dei Sinti e dei Rom, aggiornato nel 2002. Il nuovo Piano sociale prevede poi azioni indirizzate alla formazione professionale e al potenziamento della frequenza scolastica. Inoltre la Provincia di Bolzano sostiene il costo di acquisto del terreno destinato alla costruzione delle microaree e dell’attrezzatura necessaria nella misura del 70%".
Non poteva mancare il riferimento alla svolta securitaria del governo di centro-sinistra, che ha deciso di stringere la vite sulla piccola criminalità, indicando nei lavavetri e nelle comunità Rom e Sinti il pericolo maggiore per la sicurezza dei cittadini italiani: "Credo che la legalità – sottolinea Traugust – sia fondamentale per la difesa dei diritti dei più deboli, ma ci vuole la misura giusta e la repressione va accompagnata con l’aiuto, se no non può funzionare e ci si deve attendere una reazione. Ho la sensazione che i vari Cofferati non sappiano più bene che pesci pigliare, non c’è un’idea vera su come affrontare la questione. Ora però, dopo aver lanciato il sasso, non sanno più come tirarsi indietro".
In provincia di Trento, l’intervento a favore di Sinti e Rom è regolato da una legge vecchia di ben 22 anni e la politica, sia essa provinciale o comunale (vi sono due campi, uno a Trento e uno a Rovereto), non pare avere il coraggio di affrontare la questione, evidentemente per paura della reazione populista delle destre.
Eppure, checché ne dica la Lega, i Sinti sono trentini da molte generazioni, dunque cittadini italiani, e certo nessuno può pensare di risolvere la questione semplicemente espellendoli dal territorio provinciale.
L’iniziativa del partito di Bossi, che manda i suoi attivisti a fotografare il "degrado urbano e l’insicurezza" provocati dai Sinti, ha lo scopo di strumentalizzare il tema della sicurezza e riproduce il meccanismo razzista della stigmatizzazione di una componente della società trentina, identificata sulla base delle sue caratteristiche etniche.
A questa offensiva xenofoba, il Comune deve rispondere con iniziative concrete e di segno opposto: il campo nomadi è una vergogna, di cui gli stessi Sinti sono vittime. E’ necessario dunque costruire –insieme – un’alternativa, magari seguendo l’esempio altoatesino.
Eppure qualche passo in questa direzione è stato fatto: l’assessore provinciale alle Politiche sociali Marta Dalmaso ha commissionato alla Fondazione Michelucci di Firenze (che da anni si occupa di "urbanistica del disprezzo") uno studio sulla fattibilità delle microaree in Trentino, che pare essere però finito in un cassetto.
Durante il convegno di Bolzano è stato posto anche il tema del riconoscimento dello statuto di minoranza linguistica a Sinti e Rom del Trentino-Alto Adige. Per valutare la possibilità di una iniziativa legislativa comune, le associazioni regionali si incontreranno la prossima primavera a Trento.
Sostenitrice dell’iniziativa l’assessore alle Politiche sociali del Comune di Trento Violetta Plotegher, unica rappresentante delle istituzioni trentine presente al convegno di Nevo Drom.
"Per creare una convivenza basata sul reciproco rispetto – spiega Luisa Gnecchi, Vicepresidente della giunta provinciale altoatesina – serve un impegno istituzionale basato su una progettualità forte. Ci possono essere sconfitte, che però non devono abbattere e interrompere il percorso. Noi ci stiamo sforzando di tenere conto di tutti i cittadini, questo è il primo dovere delle istituzioni".