Zingari a Trento
L’alloggio, il lavoro, la scuola, le leggi e i pregiudizi.
Il campo sosta di Trento è chiuso fra il fiume Adige, la tangenziale e l’autostrada. Lo si raggiunge venendo da Trento e svoltando a sinistra appena comincia la salita della strada provinciale della destra dell’Adige, nelle vicinanze di Ravina. Fra il cavalcavia dell’autostrada e un deposito di materiale per l’edilizia, percorrendo la ciclabile verso sud per meno di un chilometro, si entra nell’accampamento. Roulotte, camper e casette sono le abitazioni di circa 125 sinti.
Le persone che abitano il campo sono sinti, trentini da generazioni e dunque italiani a tutti gli effetti. Da anni chiedono la realizzazione delle microaree, sia perché il campo sta per esplodere in quanto troppo popolato, sia per potersi riappropriare di uno stile di vita che è tradizionale per loro.
Per microarea si intende un terreno dove una famiglia di sinti possa vivere col camper, la roulotte o la casa mobile, con la possibilità di costruire una casa con solo il piano terreno, con l’allacciamento delle utenze di acqua, luce e gas, con i servizi igienici e una doccia.
Per dare forza a questa richiesta e al desiderio di essere protagonisti delle scelte istituzionali, i sinti si sono organizzati in due associazioni: l’Associazione Sinti del Trentino e Nevo Drom. Marco Gabrielli, racconta che la vita al campo un po’ è migliorata negli ultimi anni, anche perché l’entrata in appartamenti dell’Itea da parte di parecchi nuclei familiari ha dato più spazio per vivere agli altri. Parlando di microaree, sostiene che le famiglie che vivono in casa difficilmente faranno tale richiesta e quindi non ci sarà bisogno di un gran numero di queste strutture. I suoi due figli, ad esempio, vivono in casa e si trovano bene. Uno abita a Romagnano, l’altro a Bressanone da tre anni. Si sentono integrati: hanno relazioni con i vicini, i bimbi frequentano la scuola e la vita del quartiere. Non ci pensano proprio a lasciare la casa per la microarea. Le persone devono però avere libertà di scelta: devono poter scegliere per la casa o la microarea.
Gabrielli ricorda come la legge provinciale dell’85 abbia rappresentato un segnale di tolleranza nei confronti dei sinti, ad esempio aiutando a scolarizzare i giovani. E prosegue: "Sono i sinti che devono farsi capire di più, devono integrarsi, ma mancano gli strumenti. C’è bisogno di maggior conoscenza da parte di tutti della popolazione sinta, c’è bisogno di interazione fra sinti e gagè (tutti coloro che non sono sinti), c’è bisogno di un’informazione più obiettiva nei loro confronti".
Per poter agire con maggior incisività su questi temi sono nate, come abbiamo detto, due associazioni. Gabrielli è presidente dell’associazione Sinti del Trentino, che fra le altre attività proporrà alla cittadinanza uno spettacolo musicale il 16 dicembre a Trento.
Gabrielli ammette le difficoltà di trovare lavoro, ma esiste anche l’aspirazione ad avere tutti i mesi uno stipendio: 7 persone sono state assunte a tempo indeterminato in ditte di pulizia, ed altre 5 aspettano – da mesi - di essere assunte. Insomma, la popolazione sinta vorrebbe integrarsi, pur mantenendo i valori della propria cultura.
I 10 anni in cui la cooperativa Kaleidoscopio ha gestito il campo nomadi sono serviti a gettare le basi per un rapporto di fiducia con la popolazione e per poter sostenere i sinti in un percorso di integrazione e autoderminazione. Osvaldo Filosi, direttore della Kaleidoscopio, spiega che la cooperativa ha lavorato per crearre momenti di collegamento fra sinti e gagè, fra sinti e Comune: "Si fanno riunioni al campo per discutere le problematiche portate dagli abitanti, si cerca di capire a chi ci si deve rivolgere per quella certa necessità e come. Si sostengono le persone in questo percorso di autonomia e responsabilità personale, rendendole finalmente protagoniste delle loro scelte e cercando di superare le politiche di assistenzialismo. Per rafforzare il senso di rappresentanza e conoscenza della popolazione romanì, sono stati creati con la scuola progetti in cui l’attività è svolta da un educatore della cooperativa affiancato da un mediatore sinto. L’importanza della scuola è riconosciuta da alcune famiglie, ma altre faticano a capire a cosa possa servire una scuola dopo le elementari. L’abbandono scolastico, che avviene il più delle volte alle medie, è legato anche al fatto che un ragazzino di 13 anni è ritenuto adulto nella sua famiglia, mentre in classe vive il disagio di essere considerato come i bambini coetanei gagè: a casa partecipa alle discussioni coi grandi, mentre a scuola non può confrontarsi con nessuno alla pari. Speriamo che la nuova normativa in materia scolastica sia vicina alle esigenze di questa popolazione e incida di più sulla loro frequenza scolastica.
Un tema spinoso, infine, è quello dell’occupazione, perché i sinti faticano a dare continuità al lavoro. Attualmente qualcuno raccoglie ferro, altri fanno pulizie, altri lavorano con cooperative di tipo b (quelle che si occupano di lavori cosiddetti protetti) e alcuni fanno tirocini formativi: vengono avviati al tirocinio 4-5 giovani ogni anno".
L’assessore comunale alle Politiche sociali Violetta Plotegher riassume la situazione dei sinti di Trento ricordando che le prime famiglie sinte e rom trentine (circa 15 nuclei) fecero domanda di casa Itea autonomamente circa vent’anni fa. Nel 2002-2003 23 famiglie del campo fecero richiesta di alloggi, per lo più per poter abbandonare il campo sosta. Dal settembre 2004 ad oggi sono stati assegnati 11 appartamenti, di cui otto negli ultimi due anni.
Le famiglie sinte, titolari di appartamento come da graduatoria pubblica, godono di un servizio di accompagnamento alla vita di casa: la famiglia viene sostenuta dagli operatori nella mediazione fra sinti e condomini, fra sinti e territorio, e per le cose pratiche.
Un grosso limite dell’inserimento e dell’integrazione di questi nuclei che vivono negli appartamenti è la difficoltà nel reperimento di un reddito: trovare lavoro per un sinto è veramente difficile, così non tutti sono stati capaci di integrarsi nel quartiere dove risiedono.
L’assessore Plotegher ritiene che nel 1985, anno di emanazione della legge provinciale n. 15 a tutela della minoranza zingara, che ha portato alla costruzione dei campi sosta e alla scolarizzazione, quella legge fosse una buona risposta, in un momento in cui non si sapeva cosa fare. Ma a quel tempo c’era una conoscenza superficiale della realtà della popolazione sinta e rom di Trento e Rovereto. "Oggi invece è evidente – dice l’assessore - che dal punto di vista urbanistico il campo sosta è l’emblema dell’esclusione. Dà l’idea di essere sostanzialmente uno spazio dove sistemare queste persone soprattutto allo scopo di proteggere la città. I risultati sono l’emarginazione e un affollamento che rende difficile la convivenza interna, tra famiglie, oltre tutto, appartenenti a clan diversi. Resta il fatto che per il 1985 scegliere di emanare una legge di tutela della popolazione zingara è stato un segno di grande coraggio da parte dell’amministrazione comunale. Se non altro, proprio attraverso l’applicazione di questa legge oggi si è potuto capire che i sinti non vogliono vivere né nei campi né in appartamenti, ma nelle microaree.
A queste persone che sono in Trentino da generazioni, e quindi italiane a tutti gli effetti, non serve una legge di tutela per dei diritti che hanno già acquisito; bisogna invece dare risposte diversificate affinché sia possibile andare incontro alle richieste. Si deve partire dalla persona per elaborare poi le risposte ai bisogni: i sinti vorrebbero le microaree e non il campo sosta, vorrebbero case a pianterreno e non al settimo piano… ".
L’assessore ricorda inoltre la grande fatica che si deve fare, a livello politico, per dare cittadinanza piena a queste famiglie, difficoltà che si ritrovano poi, in modo diverso, anche nella mentalità di tanti cittadini, attraverso il pregiudizio. La richiesta di interventi puramente assistenziali è ancora presente non solo nei comportamenti di alcune famiglie di rom e sinti, ma anche nelle abitudini di "normali" cittadini. Ma la pura assistenza fin qui praticata non ha creato nelle persone con disagio quegli strumenti di autonomia che occorrono per vivere; ha innescato invece un comportamento fatto unicamente di richieste e di pretese che ancor oggi permane in alcuni casi. E’ dunque importante che questa popolazione sia maggiormente propositiva.
"Deve nascere dai sinti – dice l’assessore - un linguaggio che sappia dirsi/dire chi sono e quali valori sono importanti per loro: sicuramente dei valori sono già presenti nella popolazione romanì, ma non emergono con sufficiente chiarezza per poter essere spesi nel percorso di integrazione, di cittadinanza.
Se i sinti, probabilmente per le sofferenze subite in passato che hanno innescato la diffidenza, non riescono ad esprimersi in modo da farsi capire, è difficile poter crescere insieme".