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Un alpinista politicamente irrequieto

Tita Piaz fuori dal mito. Luciana Palla, Tita Piaz a confronto con il suo mito, Istitut cultural ladin e Museo storico in Trento, Trento 2006, pp. 288, 18.

Quinto Antonelli

Nella sua bella autobiografia in terza persona Fosco Maraini toglie Tita Piaz dall’iconografia mitizzante per restituirci (con uno scarto un po’ brutale) la sua figura di “popolano abituato ad imporre la propria volontà”, capace di scalare con grande sicurezza, ma così come si va al lavoro, “senza alcuna eleganza”, come un contadino o un muratore deciso a riparare un fienile.

Tita Piaz ai primi del Novecento.

In questa nuova biografia Luciana Palla compie, per certi versi ma con più amore e più rispetto, la medesima operazione di Maraini: riporta dentro la storia un personaggio che era scivolato nella moderna mitologia (alpina). E chiarisce il suo obiettivo fin dal titolo programmatico: Tita Piaz a confronto con il suo mito.

Il confronto è innanzitutto con la precedente biografia di Arturo Tanesini, Il diavolo delle Dolomiti, edito per la prima volta nel 1941 nell’Eroica di Ettore Cozzani e i due volumi di memorie dello stesso Piaz, Mezzo secolo di alpinismo (1947) e A tu per tu con le crode (uscito postumo nel 1949).

Tanesini, uomo del fascismo altoatesino e podestà di Ortisei, costruisce un libro agiografico che censura e deforma le vicende biografiche dello stesso Piaz (“alpinista politicamente irrequieto”, come lo definisce Alessandro Pastore nel suo recente Alpinismo e storia d’Italia), nonché la storia del Trentino. Basta leggere i passaggi che riguardano Cesare Battisti, tutto costretto dentro l’icona del martire irredento o, peggio, la pagina che descrive un Benito Mussolini proto-fascista: “Nella redazione del Popolo [Piaz] conobbe il redattore capo, bella testa bruna e riccioluta da cospiratore romantico mazziniano. Costui era contemporaneamente il segretario della Camera del Lavoro, e spesso dimostrava più audacia degli altri nell’indirizzare le concezioni socialiste verso uno sbocco di appassionato nazionalismo e di ardente interventismo. Quel redattore era Benito Mussolini”. Come a dire (con un anacronismo che rivela la funzione accidentale dei dati e delle date) che nel 1909 Mussolini era già interventista senza motivo di esserlo, senza Intervento, senza Guerra. Quando invece l’audacia di Mussolini (e forse anche quella di Piaz) si indirizzava verso un socialismo rivoluzionario e un anticlericalismo radicale.

La biografia narrativa di Tanesini è, inoltre, fortemente individualizzante: non vi troviamo l’individuo relazionale, in rapporto con il mondo (che si forma e apprende nella relazione): tanto che l’esito finale va nella direzione di una forte ed astorica eroicizzazione del personaggio. Uso “personaggio” a ragion veduta, Piaz è personaggio da romanzo fin dall’iperbolica figura diabolica con cui è caratterizzato. Uomo fuori dall’ordinario, in lui tutto deve essere eccessivo e/o superlativo: perfino la bruttezza secondo una forzatura di Tanesini che non mi spiego, guardando le belle fotografie contenute nel volume di Luciana Palla, se non con le regole ferree della coerenza narrativa una volta entrati nell’immaginario demoniaco. Ma attenzione, la biografia di Tanesini si basava (quando fu scritta) pressoché unicamente sulle memorie inedite di Tita Piaz: tanto che il primo volume della successiva autobiografia riprende l’impianto narrativo messo su dall’amico biografo, la stessa prospettiva, la stessa aneddotica. Così che è lecito chiedersi dove finisce l’intervento dell’uno (Tanesini) e inizia quello dell’altro (Piaz), dato che conosciamo la disinvoltura dell’amico-biografo-giornalista nel riscrivere le cose di Piaz (del ruolo censorio dei curatori del volume postumo, racconta nel suo volume Luciana Palla). Certo nelle sue memorie Piaz racconta anche ciò che Tanesini aveva taciuto: dalla militanza socialista al ruolo avuto nell’espatrio clandestino di alcuni antifascisti italiani. Ma tutto viene costretto dentro quella rappresentazione luciferina (l’io, l’angelo-diavolo ribelle, contro il mondo) già collaudata da Tanesini. Il risultato è, appunto, quello che Luciana Palla denuncia come una mitizzazione di Tita Piaz: la messa a dimora nel senso comune, nell’immaginario collettivo, di un vero e proprio mito destinato a durare nel tempo.

Intendiamoci, il mito (stiamo parlando di mitologie del nostro tempo, niente a che vedere con la mitologia classica) non è di per sé menzognero: la sua caratteristica principale è quella di sopprimere la storia, la complessità e conflittualità della storia, la sua pesantezza (scrive Roland Barthes che nel mito la storia evapora: “è come una domestica ideale: prepara, porta, dispone, il padrone arriva e lei scompare silenziosamente: non resta che rallegrarsi senza domandarsi da dove ci viene il bell’oggetto”).

Ecco, con questa nuova biografia Luciana Palla toglie la figura di Tita Piaz dal mito e la riconsegna alla storia, alla complessità dei rapporti sociali; ne fa un uomo pieno di cose sociali, immerso nel reticolo delle relazioni, dentro un determinato clima politico e culturale, dentro un tempo (il mito avendo soppresso la storia, è senza tempo). Nel far questo, la storica bellunese non fa solo un servizio a Tita Piaz, che qui riacquista vita (anima e sangue), ma anche alla storia complessiva.

Voglio esser chiaro su questo punto: nella biografia di Luciana la figura di Piaz non esce affatto sminuita. Anzi. Mutata la prospettiva, mutato l’ordine dei valori (si lasciano da parte gli aneddoti e le idiosincrasie vere e presunte del personaggio), Luciana mette a fuoco la presenza pubblica di Piaz, scalatore, guida alpina, gestore di rifugi, proprietario di alberghi, operatore economico, amministratore comunale, militante politico.

Con Tita Piaz entrano nella Valle la storia e la modernità: entrano a rompere gli equilibri dei tradizionali rapporti sociali le grandi parole del socialismo, il rifiuto dell’ordine stabilito, le prese di posizione anticlericali, l’insofferenza per la tutela e il paternalismo asburgico. Con Piaz si manifesta, anche in una valle remota com’era la Val di Fassa, la moderna, inevitabile, conflittualità tra l’aspirazione all’uguaglianza e alla giustizia e i privilegi di censo e di classe, tra fede e ragione, tra sudditanza e autonomia personale, tra tradizione e innovazione. E nelle particolari condizioni del Trentino asburgico anche il conflitto tra aspirazioni nazionali e la realtà dell’Impero austriaco.

Luciana si affida qui ad alcuni documenti di tutto rilievo: rilegge in particolar modo il diario del servizio militare, che Piaz tenne tra il 1900 e il 1902 mentre era di stanza a Trento, come la testimonianza di un fondamentale periodo formativo. A Trento Piaz legge il Popolo socialista, assiste ai comizi di Battisti, frequenta con assiduità le biblioteche popolari e i teatri e descrive la dura vita di caserma come la più evidente manifestazione di autoritarismo “tedesco”.

Una volta ritornato in Val di Fassa, si inserisce con un suo accentuato protagonismo in quel primo sfruttamento turistico della montagna: e se come alpinista raggiunge presto una certa notorietà internazionale, come guida alpina e gestore di rifugi si trova presto coinvolto nelle tensioni nazionalistiche (nella “guerra delle bandiere”) che opponevano le associazioni italiane a quelle austriache nel controllo e nella gestione del territorio alpino.

Con l’annessione all’Italia, l’accentuato individualismo di Piaz e la sua ostilità alle convenzioni non tarderanno a comparire mettendolo in urto con i nuovi poteri. Luciana Palla, facendo ricorso a una documentazione per molti versi inedita mette a fuoco due importanti snodi biografici: la partecipazione, innanzitutto, all’Agenzia salvataggi di Gigino Battisti e di Giannantonio Manci tra il 1926-’27, con lo scopo di assicurare una via di fuga ai “sovversivi” ricercati dal Regime e il contrasto durissimo e insanabile che opporrà Piaz alla dirigenza fascistizzata della SAT, che peraltro lo “caccerà” nel 1929 dal Rifugio Vajolet. La seconda e inaspettata “cacciata”, dopo la prima subita (orgogliosamente) nel 1912 da parte del Deutscher und Österreichischer Alpenverein.

Nel 1944 lo ritroviamo infine nelle carceri di Bolzano a stretto contatto con gli antifascisti e i giovani della resistenza, come Giorgio Tosi che lo ricorda nelle sue memorie come un modello di dignità.

In conclusione. Scalzato dal monumento che lui stesso aveva contribuito ad erigere, il Piaz di Luciana Palla ci appare anche come un uomo dalle tante contraddizioni: irredentista e amico di Battisti, nel 1914 veste, pur con riluttanza, la divisa austriaca; saluta l’annessione con una serie di scalate “nazionali”, ma sarà accusato di “austriacantismo”; si dichiara antifascista, ma è amico di fascisti che difenderà anche nel tempo della liberazione; è socialista, ma si vanta dell’amicizia con il Re del Belgio… E’ insomma, finalmente un uomo del Novecento.

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