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Rinnovare la politica? Ci provano

L'Associazione per il Partito Democratico: non solo per unire sinistra e cattolici, ma anche per rigenerare i partiti. Un tentativo generoso: anche realistico?

Riportiamo due fatti emblematici, ad illustrare potenzialità e problemi dell’Associazione per il Partito Democratico. Alla serata di lancio, il 24 giugno la sala del Centro Santa Chiara era strapiena; di più, si decideva di aprirne una seconda, collegata in maxischermo: si riempiva anche quella. D’accordo, a fianco del nostrano Giovanni Kessler e dello sconosciuto Gregorio Gitti (portavoce nazionale dell’associazione) c’era Gad Lerner, che è una celebrità del sistema mediatico nazionale; ma poche ore prima, ad un’iniziativa per il NO al referendum, pur con Lerner non c’erano che alcune decine di persone. E poi era venerdì sera, alla vigilia di un lungo week end, la serata era caldissima, con le Feste vigiliane in corso e la gente nei bar all’aperto a gustarsi un gelato… Eppure in diverse centinaia invece si accalcavano in due sale a discutere di politica.

Gad Lerner

Scattava ancora lo stesso meccanismo delle primarie (quelle vere di Prodi, non la burletta dei Ds trentini) con le decine di migliaia di persone (e i milioni in Italia) in fila per votare. O quello del Festival dell’Economia, con le code di cento metri per assistere a un dibattito. E’ ancora una volta la voglia di partecipare, di conoscere, di districarsi nel confuso mondo della globalizzazione e della fine delle ideologie.

Secondo episodio. Alla fine della serata, il discorso di chiusura toccava al portavoce Gitti. Che riprendeva i j’accuse da più parti pronunciati contro la partitocrazia; e ancora affondava il coltello nella piaga. "Pensate solo a una cosa – infieriva – I dirigenti dei due partiti maggiori del centro-sinistra sono ‘in prorogatio’ (cioè il loro mandato è scaduto, ma continuano a comandare senza legittimazione ndr). Cosa mai potremmo aspettarci da questi…"

Margherita Cogo (vicepresidente della giunta provinciale, dei Ds) in prima fila, non si tratteneva più: "Ma cosa dici? Ma quale prorogatio? Io parlo per il mio partito: la data del prossimo congresso è il 2007…"

La vicepresidente della Giunta provinciale, Margherita Cogo (Ds).

Ne nasceva un batti e ribatti, con Gitti in sempre maggiori difficoltà. Alla fine pensava di scartare di lato: "Beh, per non parlare della democraticità dell’ultimo congresso di Torino…" Ma Cogo incalzava implacabile: "Torino? Ma dopo ci sono stati altri due congressi – poi, con perfida ironia – Guarda, forse ti sei perso qualcosa…" Gitti annaspava, cambiava discorso, ma ormai la sala non lo ascoltava più, se non per rimbeccarlo quando si avventurava in una malaccorta "considerazione provocatoria" sulle quote rosa.

Dicevamo dell’emblematicità dei due episodi: le grandi potenzialità di un nuovo Partito Democratico, e l’esigenza, ampiamente sentita, di un qualcosa che obblighi i partiti a convergere e rinnovarsi; e dall’altra la dialettica, puntuta, tra nuova partecipazione e strutture affermate, con una certa fragilità dei nuovi organismi associativi di fronte ai vecchi partiti, ossificati ma solidi.

Della necessità di far coincidere il percorso verso il nuovo Partito Democratico con un rinnovamento della forma partito, si era fatto interprete Gad Lerner, con la ben nota lucidità. "Quello che oggi preoccupa – aveva osservato – è la crisi profonda della democrazia nel nostro paese; e del senso comune di cittadinanza". Ne sono infatti esempio i rigurgiti di individualismo, come la rivendicazione di una sorta di diritto a non pagare le tasse, o il disprezzo per le regole.

Il fatto è che, dopo la crisi dei partiti di massa e un quindicennio di perdurante provvisorietà, "i partiti sono passati da identità forti a identità deboli, vegetali (l’ulivo, la quercia, la margherita, la rosa, in cui il simbolo vegetale supplisce all’assenza di una chiara definizione identitaria) con scarsa rappresentatività. Siamo ad una partitocrazia (che significa divisione del potere) senza partiti (che significano rappresentanza): e tale vuoto manda in crisi la partecipazione, vero antidoto alla caduta del senso di cittadinanza."

Con una conseguenza: l’attenuarsi delle identità "porta le formazioni, soprattutto quelle più piccole, a rappresentare piccole lobby, e a proteggerne gli interessi attraverso i diritti di veto, che incrociandosi, bloccano le ipotesi riformatrici".

Di qui l’esigenza di formare un grande partito, meno condizionabile e ricattabile. Il che dovrebbe essere favorito dall’attenuarsi delle identità, e "da un conseguente sorgere di un meticciato culturale per cui (a parte alcune questioni in cui ci si mette di mezzo il Vaticano, aggiungiamo noi) è difficile per tanti come me decidere se votare Margherita o Ds. E invece dai partiti le identità vengono brandite come pretesto: perché hanno la necessità di contarsi, per certificare il loro bilancio sociale, in base al quale procedere alla divisione del potere. Così tutti dicono di volere il Partito Democratico; e invece tutti tendono alla spartizione duale. Pericolosissima, perché nella società cresce una crisi di rigetto, che può essere devastante".

L’analisi è lucida. Ma da sola non basta. Che gambe ha questa Associazione?

Essa nasce in Lombardia e Piemonte nella scorsa primavera, in preparazione alle elezioni politiche, con lo scopo di portare al centro-sinistra i voti di chi non vuole riconoscersi nei partiti consolidati. Oltre a Gitti e Lerner, ne fanno parte Michele Salvati, l’economista Bragantini, l’imprenditore Sarfatti (candidato anti-Formigoni alla Lombardia e ora a capo dell’opposizione): insomma, è l’ambiente intellettual-borghese lombardo, subito estesosi al Piemonte (con la presidente della Regione Merceds Bresso) è l’intellighenzia anti-berlusconiana del cuore produttivo del paese.

Gregorio Gitti

Iniziano subito le frizioni con i partiti. "L’Associazione vuole ampliare il ventaglio del centro sinistra, aggiungendosi come lista propria – dice Giovanni Kessler – Prodi sarebbe favorevole a concedere il necessario apparentamento, ma Ds e Margherita dicono no, per non vedersi sottrarre voti. Scelta miope e perdente, perché il Senato in Piemonte è stato perso per 15.000 voti, e alle regionali la lista personale della Bresso aveva di voti ne presi 80.000: così oggi in Senato abbiamo 3 senatori in meno".

Finite le elezioni, l’associazione non si è sciolta, ma si è messa a lavorare in prospettiva del Partito Democratico "per farlo subito; e aprendosi, fin dall’inizio, agli elettori oltre che ai partiti – prosegue Kessler – In queste ultime settimane il processo si è velocizzato, si sente più urgenza. I partiti infatti, dai risultati elettorali si sono resi conto di quanto sia ancor forte il marchio Ulivo, che ha preso molto più di Ds e Margherita messi insieme. Ed ecco che Rutelli, D’Alema, Fassino parlano di Partito Democratico: ma ristretto a Ds e Margherita, e guidato da una commissione paritetica, 10 diessini più 10 margheritini. Questo non ci va".

E perché? Volete il 10+10+10, con i posti anche per voi?

"No. Non ci è stato proposto e non ci interessa. Noi vogliamo una cosa tutta diversa: vogliamo che siano gli elettori dell’Ulivo, regione per regione, a designare questa costituente. Certo, questo può sembrare ai partiti un processo meno controllabile. E può essere così. Però non è un meccanismo contro di loro: che comunque hanno possibilità di orientamento, canali sui media, notorietà, e anche mezzi finanziari, che nessun altro ha. E’ il metodo che è nuovo ed è il primo passo per un partito nuovo".

E a Trento...

"A Trento vedo che ci si è messi a discutere se sarà Dellai il candidato alle provinciali del 2008. Non è questa la priorità; bensì dare le strutture costituenti al nuovo soggetto politico comune. Poi lì ci sarà la discussione e la decisione sulla candidatura, penso attraverso delle primarie."

Il fatto è che, mentre nel resto d’Italia avanzano questi discorsi, in Trentino si è fermi. Dellai non ha ancora assorbito lo schiaffo delle valli alle elezioni di aprile, e sembra più intento a tirar fuori qualche suo coniglio dal cappello a cilindro, piuttosto che inserirsi (magari tenendo ferme le specificità trentine) nel processo nazionale del partito Democratico. E i Ds sono notoriamente a rimorchio su tutto: con il segretario Andreolli che nel partito ha costruito un (piccolo) potere personale, e non vuole certo disperderlo in una formazione più grande.

Insomma, il "Trentino laboratorio politico" è un ricordo del passato.

Per intanto l’Associazione, a livello nazionale, va avanti, con iniziative che potrebbero essere di grosso impatto.

La prima ci sarà martedì 4 luglio a Roma (Hotel Radison). Una giornata articolata in tre momenti. Una prima parte con le proposte dell’Associazione per arrivare a una costruzione democratica del nuovo partito. Quindi una seconda, che si preannuncia di grande peso, in cui si esprimeranno le "esperienze territoriali", ossia gli amministratori che non si identificano nei partiti o che – diciamola tutta – vi sono marginali: Veltroni, Chiamparino, Iervolino, Soru, la Borsellino, Cofferati e altri. Tutti bei nomi; erano invitati anche Dellai e Pacher, ma il primo è con gli emigrati, il secondo in Sicilia al mare...

Infine il terzo momento: una tavola rotonda con i segretari: Rutelli, Fassino, Intini (Rosa nel Pugno), Orlando (Italia dei Valori), il padre nobile Amato.

Il confronto e i temi sembrano decisamente interessanti.
Vedremo.