Il Trio di Parma alla Filarmonica
Grande levatura tecnica ed artistica del trio cameristico parmense, attraverso la lucida rivisitazione di brani sia classici che non convenzionali.
Mercoledì 18 gennaio la Società Filarmonica di Trento ha ospitato il Trio di Parma, formazione tra le più apprezzate e di spicco nel panorama italiano e internazionale della musica da camera; i tre, Alberto Miodini al pianoforte, Ivan Rabaglia al violino ed Enrico Bronzi al violoncello, hanno presentato al pubblico trentino un programma che affiancava a due trii "classici", quello di Haydn in mi bemolle maggiore e quello di Schubert op.100, il Trio di Charles Ives, compositore americano fra i più eclettici che la storia della musica occidentale abbia conosciuto.
Già dall’esecuzione del trio di Haydn sono emersi chiaramente il valore e la levatura tecnica e artistica del Trio di Parma, la cura estrema del dettaglio, l’amalgama cameristico, il gioco degli equilibri fra piani sonori e la comunanza d’intenti nell’interpretazione e nella resa strumentale della partitura; in particolare è stato apprezzato l’impatto timbrico d’insieme, frutto di un certosino studio e di una naturale compensazione fra le diverse personalità dei musicisti, pur singolarmante emergenti. Così l’impeto di Bronzi veniva smussato da un’apparente "freddezza" strumentale di Rabaglia e mentre il preciso e pulito pianismo di Miodini accondiscendeva ora all’uno, ora all’altra, il tutto convergeva in una comune visione dei grandi archi formali che reggono le composizioni nella loro interezza, rendendone appieno la portata espressiva e sviscerandone il più profondo significato.
Il piacere dell’ascolto del trio di Haydn, ha lasciato spazio alla curiosità per la composizione di Ives, compositore d’oltreoceano nato nel 1874 e morto nel 1954. Completamente ignorato dall’ambiente musicale ufficiale del suo paese, egli scisse il lavoro per vivere (fondò una compagnia d’assicurazioni) dall’interesse per la composizione musicale, e ciò gli permise un approccio del tutto anticonformista a quest’arte, anche se la totale indifferenza nei confronti dei suoi lavori lo portò ben presto a smettere di scrivere. Molto aspetti della sua estetica e dei suoi procedimenti compositivi sconcertano ed impressionano ancor oggi; la sua musica, pur non potendo definirsi atonale in senso stretto, arrivò ad assomigliare e in certi casi ad anticipare l’avanguardia musicale europea dei primi anni del secolo scorso, che aveva radici culturali e tecniche ben più profonde e di cui egli stesso ignorava, o quasi, l’esistenza: più ancora, molti aspetti della sua musica si disancorano totalmente dalla tradizione europea, rivendicando una precisa indipendenza sperimentale ed anti-oratoria impensabile nel vecchio continente.
Il Trio, scritto tra 1904 ed il 1905 (ma qualche frammento risale al 1896) e rivisto nel 1911, fu composto in ricordo degli anni passati da Ives a Yale ed infatti i tre movimenti sono infarciti di citazioni di melodie care alla goliardia universitaria, mentre il sottotitolo del brano è "Yalensia & Americana".
La lettura del Trio di Parma è stata di grande profondità critica, non scadendo in un facile e superficiale colorismo, ma mettendo in evidenza la tecnica della stratificazione e dell’accostamento degli elementi che caratterizzano la musica dell’americano, sottolinenando i vari momenti espressivi generanti la vivacissima instabilità formale e allo stesso tempo il fitto gioco dei richiami, delle rimembranze, delle citazioni, dei "segnali acustici" che preservano ogni volta il loro preciso carattere comunicativo.
Ha infine chiuso il concerto il celeberrimo trio op.100 in si bemolle maggiore di Franz Schubert, monumento dell’opera cameristica del compositore e lungo viaggio nei più segreti antri della sua poetica e della sua personale ricerca formale e timbrica.
Anche in questo caso l’interpretazione dei nostri si è dimostrata ineccepibile per capacità ed intelligenza analitica e per resa della grande forma ciclica, in cui i vari temi riecheggiano attraverso i diversi movimenti; altamente professionale e di affascinante eleganza la generosità strumentale, anche se a tratti hanno pesato nello svolgimento del brano eccessive sottolineature dinamiche e di fraseggio dei profili melodici, le cui insistite ripetizioni non hanno contribuito ad alleggerire la "divina lunghezza" del trio in questione.
In appendice, il Trio di Parma ha regalato due apprezzatissimi bis, di carattere molto diverso, che hanno rimesso in luce le qualità della formazione emiliana: nel secondo tempo del terzo trio di Schumann il sentito lirismo e la resa chiarissima dell’intreccio contrappuntistico, mentre nell’ultimo tempo del trio in sol maggiore di Haydn, un "Rondò in stile zingaresco", lo scatenato virtuosismo e l’incredibile controllo strumentale e dell’insieme cameristico.