L’agricoltura ci salverà?
Le Scienze (edizione italiana di Scientific American) dedica il numero di novembre 2005 al problema dello sviluppo sostenibile, con numerosi saggi sulle strategie per la sopravvivenza della specie umana. Nell’editoriale il prof. Enrico Bellone ci ricorda che nel 1960 (45 anni fa) gli esseri umani erano 3 miliardi, oggi hanno superato i 6 miliardi e tra 25 anni saranno oltre 9 miliardi. Nello stesso periodo sono prevedibili una diminuzione degli abitanti delle zone più ricche del pianeta e la triplicazione di quelli dei paesi più poveri. La terra potrebbe collassata anche a causa dell’effetto serra e dalla fine delle fonti energetiche, in particolare dal petrolio. Occorre dunque una innovazione di sistema per tentare di salvare la specie umana in un quadro di sviluppo ragionevole e sostenibile.
Fra gli interventi che mi hanno colpito più profondamente c’è uno scritto di Paul Polak, il quale sostiene che un punto di svolta decisivo potrebbe essere il potenziamento dei piccoli agricoltori. Il mestiere del contadino è di solito quello più trascurato del mondo e davvero riesce sorprendente immaginare che dalle campagne possa venire un mutamento salvifico per uscire dalla "selva oscura" in cui ci siamo inoltrati. L’idea di fondo è questa: il bello è piccolo, e anche più produttivo. Fino a poco tempo fa si è creduto che solo con progetti su larga scala si potesse incrementare in modo adeguato la produzione agricola mondiale. Ciò si è avverato solo in piccola parte, perché gigantesche dighe, canali di irrigazione su tutto il territorio e campi estesissimi hanno presto dilavato il suolo, i bacini artificiali si sono riempiti di limo, riducendo via via la produzione e privando i coltivatori a valle di sedimenti fertili. E così operando non si è riusciti a debellare né la povertà né la fame.
L’India, per esempio, è autosufficiente da 15 anni sul piano alimentare: i suoi granai sono pieni. Ma più di 200 milioni di indiani sono denutriti perché non hanno un reddito per comprarsi il cibo. Il vero problema è di incrementare il loro reddito individuale. Come? Con una agricoltura miniaturizzata e a basso costo tecnologico. La I.D.E. (International Development Enterprises) diretta da Paul Polak ha scoperto e verificato che la pompa idrica a pedali o la irrigazione a goccia su piccoli appezzamenti costano meno e rendono di più. I contadini del Bangladesh che tra il ‘90 e il 2000 hanno acquistato una pompa a pedali sono stati 1.500.000, con una spesa complessiva di 49,50 milioni di dollari. L’aumento complessivo del reddito di quei contadini è stato di 150 milioni di dollari. La spesa complessiva per irrigare la stessa superficie con una diga e un sistema di canali sarebbe stata di 1 miliardo e mezzo di dollari.
In altre zone indiane, dove l’irrigazione dipende solo dalle piogge, fu sperimentata l’irrigazione a goccia (inventata dagli Israeliani in Palestina 40 anni fa) ed ebbe grande successo. Nel 2001, investendo la somma di 3 dollari per un orto di 40 metri i contadini del Nepal ebbero un ritorno del 300% all’anno.
A causa della brevità di un articolo di giornale devo fermarmi qui. La prospettiva è affascinante. La prima vera rivoluzione della specie umana fu l’invenzione dell’agricoltura e dell’allevamento, 8-6 mila anni fa in Mesopotamia. Sarebbe straordinario se i contadini fossero, all’inizio del terzo millennio, i protagonisti del cambiamento per un futuro dal volto umano.